giovedì 25 giugno 2015

La notte di San Giovanni, tra credenze e magìa.

Le lumache, che da noi in Puglia chiamiamo ciammaruche, sono state in passato un pasto succulento della nostra gente.
I contadini tornavano dalla campagna con sacche colme di “ciammaruche” che venivano cucinate in succulenti sughi sui quali campeggiava il peperoncino. Ora non restano che sbiaditi ricordi di quella passata civiltà contadina, alla quale tuttavia tendono solo alcune sparute trattorie locali che cercano di far sopravvivere questa antica tradizione culinaria.
È tradizione gustare lumache la vigilia di San Giovanni, perché porta bene.
Riti, tradizioni e superstizioni differenti avvolgono la notte tra il 23 e il 24 giugno in una nuvola di mistero e magia. E’ la notte che segna il solstizio d’estate, quando il sole e’ alla massima inclinazione, quando il giorno e’ piu’ lungo e la notte piu’ breve, quando, secondo un antica credenza, il sole si sposa con la luna, quindi il fuoco con l’acqua..E’ la notte che segna l’inizio dell’estate e inizia anche il percorso del sole verso il declino invernale.Nel calendario liturgico si ricorda la nascita di San Giovanni Battista e in questa festa si esaltano i poteri del fuoco, dell’acqua, della luce e della terra ricca di erbe e frutti.
E’ una notte magica, dove si assiste a uno strano connubio di sacro e profano, e’ una notte di riti che hanno radici antiche, di tradizioni come accendere fuochi  e la raccolta delle erbe.
I falo’ accesi nei campi e sui monti erano considerati purificatori, accesi in onore del sole, per apprezzarne  la benevolenza, per rallentarne l’inesorabile discesa nelle brume invernali. Nel fuoco venivano gettate cose vecchie perche’ si credeva che il fumo che ne scaturiva, tenesse lontano spiriti maligni e streghe e i contadini facevano attraversare il fuoco dal bestiame per purificarlo e preservarlo dalle malattie.
Si passava la notte attorno ai falò, per danzare e banchettare. Ingrediente essenziale di queste cene popolari era appunto la ciammaruca o lumaca; in latino: “Helix pomatia”.
La raccolta delle erbe
Le erbe raccolte in questa notte si credeva avessero poteri miracolosi.
L’iperico, detta anche l’erba di San Giovanni, i cui fiori durano un giorno e una volta appassiti, strofinando i petali con le dita, le macchiavano di rosso, l’artemisia, chiamata anche assenzio, la protettiva verbena, detta anche “erba della doppia vista”, poiche’ si credeva che bevendone l’infuso si vedessero realta’ nascoste, le bacche di ribes rosso, l’aglio, la cipolla, la lavanda, la ruta, il rosmarino, la mentuccia….l’erica, che raggiunge la massima fioritura in questo periodo. Con i fiori e le foglie di lavanda, iperico, rosmarino, ruta e mentuccia, immersi in fusione nell’acqua, si otteneva l’acqua di San Giovanni; si lasciava il catino per tutta la notte all’aperto e alla mattina le donne usavano quest’acqua per lavarsi.. per aumentare la bellezza e allontanare le malattie.
Le erbe raccolte venivano utilizzate per prepare infusi e liquori, ogni paese aveva il suo “elisir d’erbe”.
Un rito propiziatorio diffuso era quelo di versare una chiara d’uovo in una bottiglia d’acqua e lasciarla sul davanzale tutta la notte; secondo la forma che prendeva si cercava di pronosticare il futuro. Raccogliere un mazzetto di erba di San Giovanni tiene lontano gli spiriti maligni
Raccogliere 24 spighe di grano e conservarle per un anno serviva, come amuleto, contro le sventure
Raccogliere 3 spighe di grano marcio e buttarlo nel fiume liberava il grano matura da erbe nocive
A mezzanotte si raccoglieva un ramo di felce e lo si custodiva in casa per aumentare i propri guadagni
La notte tra il 23 e il 24 giugno era detta anche "la notte delle streghe" le quali, si dice, si radunassero a convegno sotto un albero di noci per preparare i loro sortilegi. Per difendersi da questi malefìci alcuni, prima di andare a dormire, ponevano dietro la porta di casa delle scope.
La tradizione vuole che in questi giorni vengano raccolte noci ancora acerbe, bagnate di rugiada per preparare il nocino, ottimo come digestivo e dissetante.
Le lumache, in questa notte, assumevano un significato particolare;  cucinare e mangiare questo alimento avrebbe preservato dalla sfortuna e dal malocchio, Per alcuni rappresentavano un simbolo di fertilità e si riteneva che conciliassero le amicizie, gli amori e i legami di “comparatico” (specie al Sud). Assumevano particolari effetti proprio se venivano consumate nel solstizio d’estate. Essendo le loro corna da sempre considerate simbolo di discordia, si riteneva che seppellite nello stomaco ed affogate di buon vino, si cancellavano anche rancori e ruggini.
La vita colorata di magia appare più affascinante e i nostrti antenati ne avevano di fantasia.
Buona vita!
maestrocastello

domenica 21 giugno 2015

I PAESI DEL BUON VIVERE.

SANT'AGATA DI PUGLIA (FG)
Paesi del buon vivere.
Esistono ancora luoghi salubri dove l'aria sia ancora respirabile, dove puoi mangiare del cibo genuino, dove il tempo scorre lento e non si è presi dall'ansia di vivere in fretta?
Sui monti dauni ci sono paesini a misura d'uomo, con tutte queste caratteristiche, come Accadia, Bovino, Deliceto, Monteleone di Puglia, Orsara di Puglia, Panni, Rocchetta Sant’Antonio e Sant'Agata di Puglia; dove varrebbe la pena stabilirsi per viverci.
La qualità della vita è un concetto importante che, secondo Aristotele ed altri studiosi in ogni campo, concorrono alla felicità dell'uomo.
L'inquinamento è il male moderno che affligge le nostre metropoli e causa l'inquinamento della "speranza" in tanti che un habitat di vivibilità sia ancora possibile.
Poi ti capita di scoprire, come nel caso del mio paese di nascita, Sant'Agata di Puglia, che altri, nei giorni scorsi, lo eleggano a "paese del buon vivere"; allora ti chiedi: esistono ancora posti a misura d'uomo sulla faccia di questa terra? Il caso di Sant'Agata e degli altri paesi dei monti daini è una risposta positiva alla nostra domanda.
Questa è certamente una bella notizia che fa inorgoglire chi ci abita e deve far riaccendere la speranza nei giovani che non vedevano l'ora di scappare. Il lavoro scarseggia anche nelle grandi città, con l'aggravante che la qualità della vita là non è sempre ottimale. Auspico, come lo scrittore e poeta Franco Arminio il Rinascimento dei paesi montani con la riscoperta dei vecchi mestieri che nessuno vuole più fare più o sfruttare la terra, nel senso di tornare a coltivarla.
I nostri paesi sono ancora il luogo dove si può vivere a dimensione d'uomo, dove l'aria è incontaminata, il cibo sano; dove le tradizioni del passato hanno ancora un valore, dove la vita conserva il passo lento di sempre, dove non perdi mai la tua identità, perché vivi in una comunità e te lo ricordano gli altri chi sei e chi sei stato, grazie ad una memoria collettiva non dimentica dei valori essenziali della vita e delle qualità delle persone. Quando un ambiente ha una buona qualità di vita, significa che la maggioranza della sua popolazione può fruire di una serie di vantaggi politici, economici e sociali che le permettono di sviluppare con discreta facilità le proprie potenzialità umane e condurre una vita relativamente serena e soddisfatta; quella che Aristotele chiamava, appunto "eudaimonia", cioè: felicità!
maestrocastello

martedì 16 giugno 2015

I RACCONTI DEL LUNEDÌ.
Da “S.U.D. Sempre Uniti Dovunque”
di Pietro Paolo Danza.
Ogni uomo.
Ogni uomo è schiavo delle sue abitudini, amanti virtuose o nefaste che condizionano rapporti, velleità e comportamenti che nell’egoismo umano sono così prevalenti da diventare inviolabili e abitudinarie.
Nella nostra Sant’Agata di Puglia ognuno si è portato dentro il quotidiano, ciò che ha trovato, imparato a rispettare o rigettare e la ripetitività monotona di arti, mestieri e comportamenti erano come geneticamente scontati.
Per generazioni i figli facevano il mestiere dei genitori, spesso più per dovere che per amore.
A queste regole non si era certo sottratto Giovanni, ormai ottantenne, quando decise di piantare in contrada “la Liscia” le barbatelle per un nuovo vigneto, prima di estirpare il vecchio, che non garantiva più l’autosufficienza.
Ogni mattina lui era in quel terreno per tenere tutto sottocontrollo, dagli ulivi all’orto e al piccolo seminativo, per garantire il necessario per la famiglia.
Tutti i paesani che avevano terreni in quella zona e passavano davanti alla sua proprietà, lo salutavano, urlando con affetto di non stancarsi troppo perché gli ottantenni non sono compatibili con determinati ritmi e sforzi, consigli e raccomandazioni sempre andati a vuoto, perché, come ricorda un vecchio detto santagatese: “Chi nasce quadre, nun mor tunn” (Chi nasce tondo, non muore quadrato).
Giovanni continuò ad usare il suo terreno con tutta la pazienza, l’amore e la speranza di chi è nato nella terra, vissuto nella terra con un solo desiderio: morire nella terra.
Il suo sogno si avverò poco dopo e proprio come incollato all’ultimo vitigno, la prima figlia, non vedendolo rientrare, lo trovò ormai morto.
Sul suo volto serenissimo uno strano sorriso come di chi ha realizzato l’ultimo suo desiderio.
Riflessioni:
Perché un uomo così anziano dovrebbe piantare frutti che mai mangerà?
Questo racconto breve di Danza mi fa pensare ad un altrto racconto che lessi tempo fa. Un uomo prossimo a morire stava piantando un albero di ribes nel suo giardino. Un uomo, trovandosi a passare di lì, gli chiese: " come mai pianti un albero di cui non assaggerai mai i frutti?"
E l'anziano: " Da sempre ho avuto un albero di ribes nel mio giardino e ne ho mangiato sempre i frutti maturi; eppure non l'ho avevo piantato io quell'albero. Ora è giusto che renda il favore a quelli che verranno dopo di me"
Ditemi voi se questa non è saggezza?
Buona vita!
maestrocastello