venerdì 19 settembre 2014

Io parlo santagatese!

La lingua inglese ha ormai invaso la nostra vita e lentamente sta soppiantando del tutto l’idioma italico. Non siamo più capaci di parlare solo italiano e  ricorriamo frequentemente a termini anglo-americani e sui social assistiamo ad un vero e proprio  massacro dell’amata lingua italiana; sembra che tanti non siano mai andati a scuola. Se l’italiano l’abbiamo nascosto sotto il tappeto, il dialetto è finito addirittura in soffitta e si parla sempre meno anche nei paesi. Eppure, grazie al web, non  mancano nostalgici ed estimatori della tradizione dialettale italiana. Tanti aprono siti web dedicati al dialetto e non sono studenti universitari oppure professori che dissertano su lingue arcaiche o moribonde; si tratta piuttosto di gente comune, di gente di tutte le età che desiderano raccogliere  quanto più è possibile di ciò che rimane del proprio passato e celebrarlo. Sembra infatti che parlare in dialetto stia diventando quasi di moda, e quella che sembrava prima una minaccia, adesso appare come un fenomeno di costume, l’originalità delle proprie radici da mostrare con orgoglio. Tanti hanno compreso che il dialetto è un legame col passato da mantenere vivo e che dedicare tempo alla riscoperta delle proprie radici linguistiche, permette di scoprire molti segreti sulla lingua dei padri e di riuscire a scoprirne il grande valore. Possiamo definire il dialetto “la lingua dell’anima” e, non a caso, Pasolini scriveva: “Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Bellissimo concetto!
Il dialetto viene considerato patrimonio culturale dell’umanità, assieme alle migliaia di lingue parlate in tutto il mondo, in quanto parte fondante di ogni comunità. Parliamo il nostro dialetto senza vergogna, nei social, con gli amici, in famiglia; esso è un inno alla ricchezza della nostra diversità, del nostro valore culturale che deve essere tramandato e mai dimenticato. Si può essere cittadini del mondo pur conservando le proprie origini.
Buona vita!
maestrocastello

martedì 16 settembre 2014

Il primo giorno di scuola!

Siamo al primo giorno di scuola, Michele porta con sé carta e penna e tanta  tanta ansia. Mentre aspetta che aprano il cancello già immagina ciò che fra poco gli diranno gli insegnanti: che sarà un anno  difficile, che deve impegnarsi, che ha dei doveri. Lui sa quello che da lui vogliono i professori, ma i professori non sanno quello che Michele vorrebbe da loro. Vorrebbe evitare la noia, avere la certezza che varrà la pena ascoltarli. Vorrebbe capire se i loro saperi varranno davvero i suoi sforzi, se credono davvero alle cose che insegnano, guardandoli fissi  negli occhi, e acquisire fiducia. Vorrebbe che gli spiegassero le tante cose di questo mondo che ancora non sa, suscitandogli interesse e stupore; vorrebbe capire i misteri dell’uomo che ha aguzzato l’ingegno per creare arte e bellezza o le sfide di tanti luminari per regalarci progresso. Vorrebbe essere aiutato a decidere della sua vita, a scoprire i propri talenti per poterli meglio coltivare, a fare progetti e al modo per poterli realizzare. Michele vorrebbe avere maggiore stima di sé, tenere a freno le proprie ansie, vorrebbe che gli insegnassero a ragionare, ad avere proprie idee, rispettoso, ma critico; ad essere, insomma, uno spirito  libero. Vorrebbe che gli insegneranno a cullare dei sogni e che, oltre alle loro materie, gli insegnassero il modo di realizzarli. Intanto si apre il cancello e Michele si appresta ad entrare.

Buon anno scolastico a studenti e i loro professori.

maestrocastello

sabato 6 settembre 2014

Onore al merito.

Quella di premiare il merito in Italia è un’idea antica, mai attuata e divenuta ormai un rompicapo; tant’è che in molti sono convinti che da noi non sia attuabile. Renzi l’ha riproposta per la pubblica amministrazione e subito sono sorte inevitabili malintesi. Chi arà preposto a giudicare la maggiore preparazione e l’impegno di un impiegato rispetto ad un altro o di un insegnante rispetto al suo collega di classe o di sezione? Sorge il sospetto che venga delegata questa funzione alla discrezionalità  di un dirigente, interessato magari a premiare la fedeltà e l’omertà; piuttosto che l’impegno e la produttività del sottoposto. Intanto il problema esiste e prima o poi andrà affrontato e risolto in qualche modo. E’ innegabile che non tutti lavorano e rendono alla stessa maniera ed il maggiore impegno andrebbe riconosciuto e premiato. Cito un esempio: lunedì ho passato un’intera mattinata in un ufficio postale per pagare 2 bollettini. L’impiegato allo sportello era lento, spesso spariva per decine di minuti; quasi 2 ore per sbrigare appena 32 clienti (faceva fede il display) e la gente mormorava:” ma quanti caffè prendono questi impiegati?” Ed ecco che verso le 11 e trenta gli dà il cambio una ragazza che in meno di 20 minuti serve 28 persone e così arriva il mio turno che avevo il numero 60 ed esco. Secondo voi chi ha mostrato più impegno fra i due? Chi andrebbe premiato? Magari quello lento, alla fine del mese percepisce uno stipendio anche più alto della ragazza, grazie solo all’anzianità di servizio! Succede la stessa cosa un po’ dappertutto e sarebbe ora di mettere ordine, specie nella pubblica amministrazione, dove il clientelismo impera fin dal 1860, quando, unificata l’Italia,  fu creata la pubblica amministrazione, reclutando dirigenti fra gli ufficiali dell’esercito savoiardo che non avevano più nulla da unificare e andavano in qualche modo impiegati. Nessuno lo sa, ma nelle pubbliche amministrazioni esiste già una forma di retribuzione legata ai risultati, una delle poche, almeno in parte efficaci. Si tratta del cosiddetto “ incentivo alla progettazione “ della legge Merloni sui Lavori Pubblici del 1994, una forma di retribuzione incentivante che funziona in quanto è legata a risultati verificabili oggettivamente. Nei prossimi mesi verificheremo se il governo Renzi avrà “le palle” per generalizzare tale meccanismo, oppure si tratta dei soliti annunci e delle solite pagliacciate all’italiana.

Buona vita!

maestrocastello