domenica 27 aprile 2014

Finalmente santi, insieme!

Quattro papi oggi in piazza San Pietro per celebrare l'apoteosi della santità. Papa Wojtyla e papa Giovanni verranno proclamati santi della Chiesa, per me santi già lo erano, questi due testimoni del nostro tempo, esempi luminosi di santità  alla nostra portata qche mediante la loro fede ed il loro fervido amore danno speranza al mondo. Sono due figure di santi moderni, due esempi tanto rari di virtù in un mondo come il nostro dove l’egoismo è ormai assurto a valore. L'uno ha preso esempio e nome dall'altro, "il papa buono" e il " papa operaio", incamminati entrambi sulla strada che porta a Dio. Quando pensiamo ai santi, ci immaginiamo persone che fanno continuamente miracoli, che quando camminano nemmeno toccano  i piedi per terra; invece  tutto il fascino di queste due creature deriva proprio dal fatto che sono persone comuni, come noi, di umile estrazione sociale,  avvezze alla fatica delle braccia e al sudore della fronte, due creature sofferenti nel fisico che non lo davano a vedere, che hanno speso la loro vita a mettere in pratica il Vangelo.Con loro, Dio ci ha fatto dono come di due grandi pannelli solari che assorbivano energia celeste e la trasmettevano al mondo, illuminandolo  di luce divina. Oggi celebriamo non due supereroi, ma uomini di fede e di pace, difensori dei deboli e dei poveri, dei diversi e dei bisognosi, di cui il mondo ha tanto bisogno!

Buona vita!

maestrocastello

giovedì 24 aprile 2014

la Madonna nera di Foggia, tra fede e folklore

L'Incoronata di Foggia vanta una tradizione antichissima che risale addirittura all'anno mille. Il conte d'Ariano, appassionato cacciatore,  fu colto dal buio e passò la notte in un casolare nel folto della foresta, nei pressi del fiume Cervaro. Una luce vivissima attraversò la selva. Il conte attratto dal chiarore, giunse ai piedi di un albero dalla cui sommità una misteriosa Signora, avvolta in aura sfolgorante, gli indicava una statua poggiata fra i rami di una quercia. Nello stesso tempo un contadino che si recava al lavoro con i suoi buoi, tale Strazzacappa, alla vista della Signora, capì subito di essere in presenza della Vergine Santissima, prese il paiolo che gli serviva per il magro pasto giornaliero, vi versò dal cornetto la razione d'olio d'oliva che avrebbe dovuto bastargli per tutto il mese, e, fatto un rozzo stoppino, l'accese in onore della Madonna.

Il nobile conte di Ariano fece costruire una cappella che poi divenne un Santuario famoso che durante il passato millennio è stato luogo continuo d'incontro e di fede di di pellegrini devoti a Maria. La storia di questo luogo ha avuto alterne vicende, di grande splendore e di totale abbandono.

La basilica odierna è stata realizzata negli anni '60 su progetto di Luigi Vagnetti ed oggi si erge solitaria nell'antico bosco di querce a vegliare sul Tavoliere delle Puglie, ricco di grani, olivi e vigneti. Moderno e antico si fondono insieme mirabilmente in una continuità spirituale. Il santuario conserva gelosamente tutto un patrimonio di tradizioni legate al particolare culto della Madonna, come la vestizione della Madonna che avviene il mercoledì precedente l’ultimo sabato di aprile, la Cavalcata degli Angeli che si svolge il venerdì successivo alla vestizione della statua. Una tempo la gente umile si esprimeva più con la plasticità dei gesti che con le parole, oggi i pellegrini si esprimono con più sobrietà. I pellegrini di una volta, quando arrivavano al ponte sul Cervaro, usavano togliersi i calzari e percorrere gli ultimi due chilometri a piedi nudi.

Ora questa usanza, insieme ad altre pratiche penitenziali più o meno spettacolari, non c’è più.E’ rimasto il triplice giro che ogni compagnia compie intorno al Santuario, come un chiedere permesso alla Vergine, prima di essere ammessi al Suo cospetto. Suggestiva è la Cavalcata degli Angeli che serve a ricordare il tripudio di quella lontana notte dell'anno mille , in cui la Vergine apparve al conte d'Ariano e all'umile Strazzacappa: cavalli superbamente bardati, ornati di lustrini e sonagliere, insieme a centinaia di fanciulli vestiti da angeli, da santi e da fraticelli girano per tre volte intorno al santuario in mezzo a decine di migliaia di fedeli che accompagnano il corteo col canto di antiche laudi; insomma, un mixer di folklore e di fede.

maestrocastello

24 aprile 214

sabato 19 aprile 2014

Buona Pasqua
a chi non si lascia infrangere i sogni,
a chi ricerca la pace,
a chi non pensa solo a se stesso,
a chi non ha perso ancora la speranza
che un giorno ci sarà un mondo migliore.
Buona Pasqua!

maestrocastello

Una vita che non conosce tramonto.

Non c'è dubbio: la crocifissione è il soggetto più rappresentato nella storia dell'arte. È ovvio: la Croce è il simbolo del cristianesimo, ma è anche un soggetto drammatico e spettacolare che stimola gli artisti a dare il meglio di sé. L'altro evento più importante della fede cristiana, invece, è forse quello meno rappresentato: la Resurrezione. Va anche detto che per un artista rappresentare la Resurrezione di Cristo è un'impresa complicata. I vangeli riportano nel dettaglio i momenti della morte, ma non c'è una riga su come sia avvenuto il Suo ritorno alla vita. Ci sono i racconti del ritrovamento della tomba vuota, delle apparizioni ai discepoli; ma della pietra che rotola via dal sepolcro c'è il buio fitto. Forse è per questo che gli artisti hanno immaginato la scena come un'esplosione di luce, con la figura di Gesù che si alza nell'arIa, sopra la tomba; mentre le guardie stramazzano a terra per lo spavento. Piero della Francesca ha scelto una strada diversa. Nessun Gesù volante, niente effetti speciali; la Resurrezione è un risveglio. Cristo esce dalla sua tomba in modo silenzioso, il corpo porta i segni del martirio, ma si erge in modo imponente e tranquillo, tanto che le guardie nemmeno se ne accorgono e continuano a dormire. Il Cristo risorto di Piero della Francesca è una soglia che porta il ritorno nel mondo, quel piede appoggiato al sarcofago segna un prima e un dopo. Il Suo corpo glorioso che glorfica il creato. Se guardiamo gli alberi alle Sue spalle: a sinistra sono spogli, secchi, smorti in un inverno senza luce; a destra esplodono di luce, in una vita che non conosce tramonto.
Benvenuto alla vita, buona Pasqua di Resurrezione!

maestrocastello


venerdì 18 aprile 2014

Si muore non quando si deve, ma quando si può.

Un altro grande se n'è andato: poeta, scrittore, artista visionario Gabo, al secolo Gabriel Garcia Marquez, un giovane di ottantasette anni che ha saputo avvicinare alla letteratura milioni di persone ed ha ispirato tanti altri a prendere in mano la penna. "No si muore quando si deve, ma quando si può", amava dire.
E’ morto Gabo, ma la poesia  non è morta; se è vero che la casa della poeti non avrà mai porte; ed è in quella casa magica che Marquez ha saputo vestire di parole le sue ardenti emozioni. “Non c’è atto di libertà personale più splendido” – diceva - “che sedermi ed inventare il mondo  davanti ad una macchina da scrivere”.  Milioni di abitanti del pianeta si sono innamorati della sua patria, la Colombia, affascinati dai suoi libri. “Cent’anni di solitudine” è il titolo del suo magistrale capolavoro che gli è valso un Nobel (‘82) ed ha entusiasmato tante generazioni. Il presidente colombiano Manuel Santos  prevede per la sua gente “mille anni di solitudine e tristezza” per la morte del più grande dei colombiani di tutti i tempi. I poeti, però, non muoiono, perché la poesia  è arte ed incanto, non ha gambe per camminare, eppure arriva dappertutto, crea brividi, crea emozioni e le emozioni non muoiono insieme ai poeti; così lui continuerà a vivere nel cuore della sua gente attraverso i tanti insegnamenti che ha lasciato. Leggiamo nella poesia "la marionetta", una specie di testamento spirituale: " Dio mio, se io avessi un poco di vita...non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che le amo" oppure " se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei che si sciogliesse al sole."  e ancora " Agli uomini proverei quanto sbagliano al pensare che smettono di innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi."  Un artista così non morirà mai.

maestrocastello

mercoledì 16 aprile 2014

lavare i piedi, pratica di umiltà.

 In Oriente, dove si viaggiava a piedi scalzi o con i sandali, al rientro in casa era necessario lavarsi  i piedi per togliere la sabbia  e la polvere. Era un gesto di cortesia e di accoglienza che il padrone di casa offriva sempre all’ospite. Il servizio era però talmente umiliante che non si poteva  imporlo neanche ad uno schiavo ebreo. Gesù compie il gesto di uno schiavo per amore dei suoi amici. Ai vespri del Giovedì Santo la liturgia assume un tono sommesso e finisce nel silenzio: si spogliano gli altari che raffigurano il corpo del Signore allorché fu spogliato e ridotto male dai soldati o, veramente, perché fu abbandonato dai discepoli che nella Scrittura Sacra sono chiamati “vestimenta di Dio”. Anche le ostie vengono portate via, come Gesù nel Getsemani, la luce del presbiterio viene spenta, tace l’organo, si legano le campane; insomma inizia il “grande silenzio”. Questa giornata segna la data del testamento spirituale, non scritto, che Gesù volle fare agli Apostoli, sapendo che li stava per lasciare. Dopo che si fu alzato dalla cena, il Signore versò dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli. Ci pensate, un Dio in ginocchio davanti a noi per lavarci i piedi? Lava i piedi a tutti, anche a Giuda. Un amore che arriva fino a farsi inchiodare e morire per amore; ecco spiegato il mistero della cena. Questo esempio lasciò loro. “Intendete quello che ho fatto a voi, io Signore e Maestro?” e disse poi “Vi ho dato l’esempio, affinché anche voi facciate ugualmente”. Uno di loro, Simon Pietro,  gli disse: ” Signore, che Voi a me lavate i piedi? ” Lui rispose “ Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me”. Gesù con quel gesto intendeva raccomandare loro la pratica dell’umiltà e se l’ha fatto Lui che è Dio; quanto più dovremmo farlo noi. E’ questa appunto una grande lezione di umiltà che insegna come dovrebbe essere il carattere di un cristiano. Le ricorrenze possono rappresentare un’occasione per guadarci nel profondo, se solo tralasciamo l’aspetto coreografico della Pasqua. Cristo non è morto una sola volta; ma muore ogni volta per la presunzione della gente, per l’aridità di chi non tende una mano ad un fratello, per l’egoismo di chi bada solo a interessi personali più che ai problemi della collettività, pur avendone le possibilità. “Esempio vi ho dato, affinchè lo stesso anche voi facciate. Se io, Signore e maestro vostro, vi ho lavato i piedi; quanto più dovete l’un l’altro lavarvi i piedi?”. Tutti quelli che si dicono cristiani, oggi, si lavano i piedi l’un l’altro? 
 Siamo umili!
maestrocastello

domenica 13 aprile 2014

Jesus.

I riti che anticipano la Pasqua sono molteplici e tutti densi di un significato profondo che ogni bravo cristiano deve saper cogliere e non  fermarsi solo all’aspetto coreografico delle tante funzioni religiose di questi giorni che sono senz’altro toccanti. Ma io mi raccolgo in preghiera! Dirà qualcuno. Non basta! la preghiera deve potersi tradurre sempre in gesti concreti per avere una sua valenza; altrimenti recitiamo la parte  dei ciarlatani, siamo cristiani solo a chiacchiere. Tanti che si definiscono cristiani praticano poco il Vangelo ed è per  questo che oggi la strada di Gerico è così poco battuta. Recitiamo meccanicamente le preghiere, ma poi non le mettiamo in pratica.
“Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Ma noi, i nostri debiti, li rimettiamo veramente ai nostri debitori? Il nostro pane quotidiano, siamo capaci di condividerlo con i nostri fratelli? Siamo capaci di perdonare un’offesa? La fede, per chi ci crede, è una roba seria, ad essa dobbiamo conformare la nostra vita;  seguire un atteggiamento da vero cristiano; altrimenti, andare in chiesa diventa come andare a teatro e battersi il petto non servirà a nulla. I riti della Pasqua sono momenti di riflessione  e di preghiera, ma preghiera partecipata. "Fides sine operibus,mortua est" (la fede è cosa vana senza le opere))
Passiamo dalle parole ai fatti e sarà una Pasqua completa.
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 10 aprile 2014

No alla tecnologia, meglio la morte!

La moderna tecnologia è un virus che avanza inesorabile come una vera epidemia e assoggetta ogni fascia sociale a qualunque età. Personal computer, smartphon e tablet fanno ormai parte dello stile di vita dei più giovani ed anche le persone mature non potrebbero farne più a meno. A questa moda si sono adattati un po’ tutti, meno un’ottantanovenne insegnante inglese che, non sopportando la  tecnologia, è andata in Svizzera  per il suicidio assistito. Anne non riusciva proprio a vivere in una realtà fatta di e-mail, di computer ed anche di consumismo e fast food, accusava la moderna società di mancanza di umanità; così,  incapace di vivere in un tale mondo, ha scelto l’eutanasia, anche se non aveva alcuna malattia terminale. Naturalmente non siamo affatto d’accordo con l’anziana signora e con i medici che si sono prestati a darle la morte per motivi così futili, ma qualche interrogativo questo fatto ce lo pone. Premesso che il mondo procede come un treno ad alta velocità e indietro ormai non si torna, che ogni attività umana non può prescindere dalla moderna tecnologia che procura numerosi vantaggi, ammettiamolo; fermiamoci ogni tanto pure a pensare agli effetti collaterali di tale abitudine, onde evitare un’intossicazione mediatica. Ogni tanto spingiamo il tasto “Esc” ed usciamo all’aperto, dove s’incontra la gente reale, i saluti si danno ancora con una stretta di mano e per dirsi ciao, non c’è bisogno di indossare la cuffia.
Buona vita e navigate il giusto!

maestrocastello

sabato 5 aprile 2014

Il giornale lavagna.

In Liberia, uno dei Paesi più poveri dell’Africa, vive Alfred Sirleaf, un maestro elementare di 41 anni che non ha risorse economiche, come la maggior parte della gente; eppure è riuscito a fondare un giornale libero e indipendente. Come? Ha preso una grande lavagna e l’ha collocata nella piazza principale di Monrovia - la capitale – e, ogni giorno, con un gessetto ci scrive sopra i principali avvenimenti, poi, l’indomani, cancella il tutto con una spugna e ricomincia il lavoro. Sulla lavagna, una specie di twitter rudimentale, appaiono notizie politiche, economiche e non mancano inchieste scomode e molto documentate dal giornalista. La testata l’ha chiamata “The Talk Daily”, il giornale della gente, gente che non potrebbe permettersi di acquistare una pubblicazione cartacea. Alfred è convinto che “non sono i mezzi che determinano la qualità di un giornale, bensì la passione, la curiosità e, soprattutto, il coraggio di chi lo fa”. Naturalmente sia Alfred che i suoi collaboratori lo fanno a titolo gratuito e sul il motivo lui non ha nessuna incertezza: “Solo un popolo informato può costruirsi una coscienza civile e sviluppare una nazione”. Alfred ancora ricorda quanto gli diceva il gruppo di missionari che gli insegnarono a leggere e scrivere: “Solo la cultura ti renderà veramente libero” ed erano gli anni ottanta che insanguinarono il Paese con guerre terribili, fino al 2003. La sua scuola fu chiusa, ma Alfred ha continuato a studiare, fino ad ottenere il diploma di maestro. Col ritorno della democrazia ha iniziato l’attività giornalistica ed ora, a 41 anni, abbina l’attività di insegnante a quella di redattore-direttore-editore di”The Talk Daily”, convinto che “la democrazia resta solo una parola, se non è la gente a renderla reale, scegliendo con responsabilità e per farlo, afferma, deve essere informata”.
Buona vita!
maestrocastello