mercoledì 17 dicembre 2014

Il vero senso del Natale.

Crisi, crisi crisi; non si sente parlare di altro. Sono alcuni anni che seguitiamo a dire che sarà un Natale povero, anche se, a dispetto di ogni previsione negativa, i media continuano a prevedere il tutto esaurito per viaggi di vacanze in montagna o in paesi stranieri: quest'anno è spuntata la meta ambita di Dubai.
Io rifletterei su una cosa: i nostri nonni e bisnonni durante le feste (e non solo) non avevano molto. Mangiavano la carne una volta la settimana, se gli andava bene, riscaldavano la stessa minestra per più pasti consecutivamente; mentre cibi esotici come banane, venivano date ai più piccoli quando stavano male. Eppure le feste erano un momento importante, perché la ricorrenza religiosa era più sentita in passato che oggi e perché non c'erano così tante occasioni di svago.
Il Natale era visto come la semplice e genuina occasione dello stare insieme.
I momenti di crisi ci sono sempre stati e credo che una delle qualità del nostro bistrattato popolo sia l'antica e preziosa arte di arrangiarsi e risollevarsi.
Mai come adesso sono convinto che le feste natalizie vadano utilizzate per non per fare la gara al regalo più bello, ma come occasione preziosa di trascorrere finalmente del tempo insieme alle nostre famiglie, donare dei momenti felici a chi amiamo con un pensiero ed un gesto che nasce dal profondo.
Vi può sembrare un discorso retorico, ma non lo è affatto; dobbiamo solo convincerci che si può trovare del buono anche in situazioni che sembrano non averne e queste sono un'occasione per farci star bene.
Via i mugugni, godiamoci questi giorni di festa con i nostri genitori, chi ha la fortuna ancora di averli, con figli e nipotini, con parenti simpatici e, perché no; anche antipatici; godiamoci cenoni, tombolate e scartiamo regali; diventiamo per una volta tutti più piccoli, ingenui, indifesi e un po' più umani.
Caliamo per una volta quella maschera di nichilismo che ci siamo costruiti, perché fa bene al cuore e ci fa vedere le cose da una prospettiva diversa.

Buona vita e buon Natale!

lunedì 15 dicembre 2014

Le neviere.

Siamo nei mesi invernali e tanti sono in attesa che arrivi la neve, soprattutto i patiti della montagna e i bambini; oltre naturalmente ai contadini che ogni anno confidano nel suo arrivo per vedere moltiplicato il raccolto del grano. La neve porta gioia e porta ricchezza ed i nostri bisnonni lo sapevano bene; tant'è che la neve, addirittura, la conservavano in costruzioni dette "neviere", ai tempi in cui non disponevano di corrente elettrica e quindi di moderni congelatori o freezer che dir si voglia, diciamo fino al 1930-40.
Le neviere erano vere e proprie cisterne, site all’interno di masserie, poste una decina di metri al di sotto del suolo, scavate direttamente nella roccia o costruite in muratura con ingegnosità tale da garantire temperature basse e costanti per tutto il periodo dell’anno. Le fosse erano situate in posti di montagna sempre sul lato nord dei paesi.
Dalla radice stessa del termine "neviera",  è facilmente intuibile che all’interno vi venisse deposta la neve.
Il fondo della neviera veniva cosparso di ramoscelli, canne o giunchi in modo da evitare che il ghiaccio attecchisse al suolo, rendendo inutilizzabile i primi centimetri di neve compattata.
La neve appunto, trasportata coi muli, veniva pressata sino a formare delle lastre di ghiaccio di poche decine di centimetri, separate da un piccolo strato di paglia ben compatto; in modo da permettere un facile utilizzo in blocchi. Venivano così a crearsi diversi strati tra neve compattata e paglia su vari livelli.
Il prodotto finito veniva tagliato in blocchi con seghe o accette e, oltre a servire come freezer nelle neviere per la conservazione dei cibi deperibili,veniva venduto anche per scopi terapeutici, per curare disturbi intestinali o per abbassare la febbre o semplicemente per gustare granite e gelati nelle torride giornate estive. Il prezzo variava in base alla qualità della neve e della conservazione. 
Anche al mio paese, Sant'Agata di Puglia, paese di montagna; i bene informati raccontano dell'esistenza di diverse neviere in zone fuori del paese
È di recente pubblicazione un nuovo libro di Lucia Lopriore, dal titolo: 'Le Neviere in Capitanata - Affitti, appalti e legislazione'. 
'Questo studio - sostiene l'Autrice nella sua Prefazione - affronta un argomento inedito per il nostro territorio: la presenza delle neviere in Capitanata. '.
'In Capitanata, - continua l'Autrice - le prime notizie documentali sulle neviere, sulla vendita della neve e sulla regolamentazione legislativa si hanno a partire dalla fine del 1600 per la città di Foggia, e dai primi anni del 1800 per gli altri centri. In particolare, dallo studio sono emerse notizie interessanti sulla presenza di neviere disposte soprattutto nell'arco del Subappennino dauno e del Gargano, i cui centri erano i maggiori fornitori del prodotto, ma non è stato neanche trascurato lo studio sulla presenza e sulla tipologia delle neviere situate in pianura, in particolare nell'alto e basso Tavoliere; un'ampia trattazione che in definitiva ha riguardato tutti i centri della Capitanata. In particolare sono stati 56 i comuni oggetto di studio'.
A tale riguardo, i centri interessati, di cui si parla nel volume, sono i seguenti:
Foggia, Accadia, Alberona, Apricena, Ascoli Satriano, Biccari, Bovino, Cagnano Varano, Campomarino, Candela, Carpino, Casalnuovo, Casaltrinità (Trinitapoli), Casalvecchio, Castelfranco, Castelluccio dei Sauri, Castelluccio Valmaggiore, Castelnuovo, Cerignola, Chieuti, Deliceto, Ischitella, Lesina, Lucera, Manfredonia, Mattinata, Minervino, Montefalcone, Monte S. Angelo, Motta Montecorvino, Peschici, Pietra M.C., Poggio Imperiale, Margherita di Savoia, Barletta, Orta Nova, Ordona, Stornara, Stornarella, Carapelle, Rignano Garganico, San Bartolomeo, S. Ferdinando di P., S. Giovanni Rotondo, Sannicandro G., San Marco in Lamis, San Paolo di Civitate, San Severo, Sant'Agata di Puglia, Serracapriola, Torremaggiore, Troia, Vico del Gargano, Vieste, Zapponeta.
Dal risultato dello studio svolto da Lucia Lopriore, e sulla scorta delle notizie acquisite, oggi si può affermare con certezza che ogni centro della Capitanata, piccolo o grande che fosse, poteva vantare il possesso di neviere.
Buona vita!
maestrocastell

lunedì 8 dicembre 2014

Perchè Natale proprio il 25 dicembre?

Qualcuno si sarà sicuramente posto la domanda: ma Gesù Bambino è veramente nato nella notte tra il 24 ed il 25 di dicembre? La risposta è no! E, allora, perchè noi cristiani festeggiamo tale data? Facciamo un po' d'ordine e storia del Natale. 
Nel calendario Giuliano, il 25 dicembre, solstizio d'inverno, era considerato come la nascita del sole, perché i giorni cominciano ad allungarsi. Il sole ha la prevalenza sulle tenebre. Molte mitologie eroiche hanno struttura solare, il sole è considerato origine della vita, intelligenza del mondo.
Il rito della Natività come si celebrava in Siria e in Egitto era veramente notevole. I celebranti si ritiravano in certi santuari interni da cui, a mezzanotte, uscivano gridando: «La Vergine ha partorito!».
Parlavano della nascita del Sole; ovviamente.
I Vangeli non ci dicono nulla sul giorno della nascita di Cristo e anche la Chiesa primitiva non la celebrava. Inizialmente, fin quando all'inizio del IV secolo non fu stabilito che tale data fosse il 25 dicembre, la chiesa celebrava la nascita del Salvatore il 6 gennaio.
I Padri della Chiesa, costatando l'uso di accendere fuochi e festeggiare il 25 dicembre, per celebrare la nascita del sole, usanza pagana a cui partecipavano anche i cristiani, tennero consiglio e decisero che la vera Natività, quella di Gesù, dovesse essere solennizzata in quel giorno e la festa dell'Epifania il 6 gennaio. Sant'Agostino fa un'allusione all'origine pagana del Natale, allorché esorta i fratelli cristiani a non celebrare, in quel solenne giorno, il sole, come facevano i pagani, ma a celebrare Colui che creò il sole, un umile Bambino, un piccolo sole che sconfigge le fa trionfare la vita sulla morte.
Buona vita!
maestroastello

venerdì 28 novembre 2014

Sindaco a costo zero.

L’archeologo oggi è condannato ad uno stato di precarietà, la sua professionalità continuamente mortificata, la sua passione calpestata.
Pur se riconosciuta formalmente, è noto che la sua figura in Italia al momento non gode di nessuna forma di tutela lavorativa e non ha ancora il riconoscimento della sua identità professionale. 
Sembra assurdo che il Paese con il maggior patrimonio artistico mondiale impieghi appena settemila tra archeologi ed esperti di restauro e conservazione e tutte queste potenzialità, specie in un momento di crisi come quello attuale, vengono gettate alle ortiche.
La politica, a chiacchiere, dice di aver la volontà di far ripartire il Paese, creando opportunità di lavoro per i giovani; ma nella pratica fa tutto il contrario.
È successo col sindaco di Roma, Ignazio Marino, che ieri ha annunciato un accordo con l’Enel per lo studio e la catalogazione dei reperti archeologici in deposito presso il Comune di Roma che verranno imballati e spediti in America, per poi essere restituiti alla città classificati e catalogati, pronti per essere esposti nei musei capitolini. "Un lavoro - dice Marino, sindaco di sinistra - a costo zero”.
Figuriamoci in Italia, dove a mancare non sono né figure professionali di eccellenza, né competenze scientifiche, né “tecnologie all’avanguardia”; ma piuttosto politiche culturali adeguate, riconoscimenti professionali e investimenti significativi. Che senso ha formare a spese pubbliche studiosi e professionisti ai più alti livelli con lauree, specializzazioni e dottorati, per poi lasciarli disoccupati o costringerli a espatriare, mentre si affidano all’estero lo studio e la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese?
Che significa "a costo zero" se il costo è zero a pagarlo sono i nostri archeologi disoccupati?
I reperti andranno dunque negli Stati Uniti, dove saranno studiati da ricercatori internazionali, la maggioranza dei quali si è probabilmente formata e specializzata in Italia; molti di essi saranno anzi certamente italiani espatriati per mancanza di opportunità qui da noi.
Con questo accordo il sindaco di Roma Ignazio Marino si è comportato come un industrialotto qualsiasi, desideroso solo di risparmio; non da sindaco di una grande città, che opera per il bene della comunità che amministra. Sbandierando con orgoglio la delocalizzazione del nostro patrimonio storico ha umiliato le centinaia di giovani lavoratori iperspecializzati che magari lo hanno anche votato.

domenica 16 novembre 2014

La guerra dei nostri nonni.

Sono contento che in questo periodo si parli finalmente anche del Primo Conflitto Mondiale o Grande Guerra che sul fronte italiano fu una terribile carneficina, in cui persero la vita più di un milione fra militari e civili, ma se consideriamo i morti, i feriti e i mutilati su base mondiale; arriviamo all'incredibile cifra di 37 milioni: un'ecatombe che spazzò via quasi un'intera generazione. La grande guerra non ha eroi, i protagonisti non sono re, imperatori o generali; ma sono fanti contadini: i nostri nonni, chiamati a difendere la terra italiana, palmo a palmo ed è quello che fecero, mettendo a rischio la vita. In tanti non tornarono e i superstiti, al ritorno, fecero racconti allucinati: il freddo, la fame, malattie letali (tifo, colera, influenza spagnola); avevano sconvolto le nostre truppe più della mitraglia e gas nemici. Oggi la prima guerra Mondiale sembra un fatto che non appartiene alla nostra memoria e non ci sono più fanti a raccontare. L'ultimo, Carlo Orelli, se n'è andato a 110 anni, nel 2005. La memoria della grande Guerra sembra spenta per sempre. Ora, però, è affidata a noi. Sta a noi figli, nipoti e pronipoti, recuperare le loro storie e raccontarle ai nostri ragazzi. I loro sacrifici possono aiutarci a ricordare chi erano i nostri nonni, di quale forza morale furono capaci e quale straordinario patrimonio ci hanno lasciato e che noi portiamo dentro. Nel Museo Storico di Trento e nel Museo della Guerra di Rovereto sono conservati i diari dei soldati semplici che raccontano storie che colgono ogni aspetto di quella terribile guerra e che Aldo Cazzullo, inviato ed editorialista del Corriere della Sera, ha raccolto in un libro fresco di stampa dal titolo: “La guerra dei nostri nonni”. Ogni tanto mi piacerà estrapolare qualcuna di queste storie, per darci l'idea di cosa sia stata la Grande Guerra; come questa :
“ Sul Piave il nonno fu fatto prigioniero, durante un contrattacco. Le condizioni dei prigionieri nella prima guerra mondiale erano molto più dure che nella seconda. L'Austria era alla fame. Non avevano pane i borghesi di Vienna; figurarsi i prigionieri italiani. Il nonno raccontava con affetto del custode del campo di prigionia, un austriaco, padre di famiglia, che ogni tanto sollevava la rete per consentire a quei ragazzi di diciott'anni, affamatissimi, che avrebbero potuto essere i suoi figli, di andare a raccogliere le patate lì vicino, con l'impegno di tornare prima di sera.”
La guerra era anche questo.
Buona vita!




giovedì 13 novembre 2014

Il fatto non sussiste.



Più volte nelle ultime settimane abbiamo ascoltato sentenze che hanno prosciolto tutti gli imputati con questa formula assolutoria: " Tutti assolti perchè il fatto non sussiste", scatenando rabbia e indignazione nella gente comune. Vedi il caso di Stefano Cucchi e, ancora più eclatante, nessuna responsabilità riconosciuta ai tecnici per i crolli del terremoto a L'Aquila. Ma che significa che il fatto non sussiste? In parole molto povere significa che il fatto non sta in piedi. Viene anche definito assoluzione con formula ampia, perché significa che il fatto addebitato all'imputato o agli imputati non è avvenuto o non può essere minimamente provato. Il danno c'è, ma manca il colpevole. Si potrebbe rispondere prendendo in prestito il titolo di una commedia di Pirandello alla domanda: Allora, chi è stato? : "uno, nessuno e centomila". Tutti e nessuno.
Insomma, stando a questa tesi, Cucchi sarebbe ancora vivo e a L'Aquila non ci sarebbe stato alcun crollo e, di conseguenza, alcuna vittima. Queste sentenze sono un insulto per le povere vittime e le loro famiglie che si sentono così vittime due volte: prima del terremoto ed ora di uno Sato incapace di garantire giustizia. Non va bene che lo Stato protegga se stesso, perde di fiducia e credibilità; va sempre punito chi contravviene alla legge, che si tratti di cittadini comuni o agenti dello Stato, non dovrebbe fare differenza.
Buona vita!


sabato 1 novembre 2014

zucchevuote.

La fine di ottobre coincide con Halloween, una festa che non ci appartiene, ma si sta radicando nelle nostre abitudini al pari di San Valentino o il Carnevale. Ieri sera, quanti di noi, e non solo bambini, sono andati in giro per locali a fare scherzi. Su web e social network sono state montate ad arte vere e proprie battaglie ideologiche : “Halloween sì-Halloween no”. Noi cristiani che, a volte, non ci indigniamo per questioni serie che riguardano la nostra fede, come la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche o lo sdoganamento della bestemmia in TV; poi ci facciamo coinvolgere in questioni secondarie, come Halloween e vediamo questa festa pagana addirittura in contrapposizione alla nostra festività dei Ognissanti ed alla ricorrenza dei defunti. Invece di indignarci, dovremmo riscoprire la preziosa qualità del buon senso. Invece  di vedere le zucche vuote come l'anticamera di atti satanici ed esercizi di stregoneria; dovremmo vederla  invece come una ulteriore festa commerciale che diventa occasione per una serata di divertimento e l'occasione per portare un guadagno a tanti commercianti in tempo di crisi. Il buon senso dovrebbe portarci a riflettere che Halloween, in quanto a minaccia di evocare morte e paura coi suoi simboli, non è superiore alle letture ed i film horror che guardano giornalmente i nostri figli. E la Befana, a questo punto,  non è anch'essa una strega? Il buon senso deve farci capire che Halloween è e deve restare una festa commerciale, pericolosa quanto le altre feste commerciali, da non contrapporre alle feste religiose; altrimenti si corre il rischio di svilire la festa di Ognissanti e la Commemorazione dei morti che hanno un valore in sè e per sè. Bisogna imparare ad affermare la propria identità cristiania non per contrappunto e non demonizzando chi la pensa in modo diverso, in quello spirito di dialogo coi non credenti predicato dalla Chiesa. Il cristiano festeggi Ognissanti e commemori i defunti e che le zucche vuote restino vuote; altrimenti saremo proprio noi a riempirle di significato.
Buona vita!
maestrocastello

sabato 25 ottobre 2014

La statua.


Viveva un tempo tra i monti un uomo che possedeva una statua, opera di un antico maestro. L'aveva buttata in un angolo, faccia a terra, e non se ne curava affatto.
Un giorno, si trovò a passare nei pressi un uomo che veniva dalla città.
Essendo un uomo di cultura, quando vide la statua chiese al proprietario se fosse disposto a venderla.
Il proprietario rise e disse: "E chi vuole che compri, scusi, quella pietra sporca e scialba?".
L'uomo della città disse: "Ti do in cambio questa moneta d'argento".
E l'altro ne fu sorpreso e felice.
La statua fu trasportata in città, a dorso di elefante. E dopo molte lune, l'uomo dei monti si recò in città, e mentre camminava per la strada vide gente affollarsi davanti ad un edificio, dove un uomo gridava a gran voce: "Venite a vedere la statua più bella, la più mirabile esistente al mondo. Solo due monete d'argento per ammirare l'opera meravigliosa di un grande maestro".
E l'uomo dei monti pagò due monete d'argento ed entrò nel museo per vedere la statua che lui stesso aveva venduto per una moneta.
Possediamo tesori e non sempre ne siamo consapevoli.
Nei pressi del mio paese d'origine, Sant'Agata di Puglia, ad esempio, c'è un ponte romano che è un importante referto storico, di epoca romana.
Ebbene, è lì da un lato dell'autostrada Napoli-Bari, in totale disfacimento, abbandonato a se stesso e non c'è nessuno che se ne prende cura. Fra qualche tempo potrebbe crollare del tutto e questi "nuovi barbari" intenti solo a fare soldi coi funghi di cemento, avranno sulla loro coscienza la perdita definitiva di un ennesima testimonianza del nostro passato.
Buona vita!
maestrocastello


mercoledì 8 ottobre 2014

anniversario!

Il nostro amore è luce
tra le fessure della vita.
Il nostro amore è vento
che spinge certi d'arrivare in porto.
Il nostro amore è il desiderio
racchiuso in una stella che s'avvera.
Il nostro amore è l'ultimo pensiero
prima di dormire.
Il nostro amore è il primo sorriso del mattino:
un altro giorno insieme, un altro anno
ed oggi ne contiamo trentasette.
Buon anniversario, amore mio!
Giovanni

martedì 7 ottobre 2014

perché nessuno mi ascolta?

è la storiella che voglio raccontare quest'oggi.

Una ragazza molto sensibile parlò con un insegnante di un suo problema molto sentito.
L’insegnante le suggerì di parlarne con i genitori.
La ragazza ci provò, ma, anche di fronte alla sua angoscia e confusione, i suoi avevano minimizzato e avevano cambiato discorso, assicurandole che “stava esagerando”, che “avrebbe superato il problema”, ecc.
Rifiutarono la discussione come se, ignorandolo, il problema potesse risolversi da sé.
Quando la ragazza tentò il suicidio i genitori reagirono:
“Perché non ci hai detto che avevi dei problemi?” le chiesero.
“E voi, perché non avete ascoltato quando ve lo dicevo?”.
 Una bambina ha scritto: “Alla sera, quando sono a letto, mi volto verso il muro e mi parlo, perché io… mi ascolto“…
Una volta non si parlava tanto coi genitori, che non c'era l'abitudine ed ora ancor meno che c'è di mezzo la fretta, il lavoro, la televisione che detta gli argomenti di conversazione. I figli che hanno problemi non sempre trovano chi li ascolta e li consiglia. Poi crescono e si trovano i grandi a chiacchierare con il muro, che i figli hanno, nel frattempo, trovato ascoltatori fra i compagni di scuola, di strada, non sempre affidabili. Sarebbe bene trovarlo il tempo ed il coraggio di ascoltare questi figli e dialogarci, per evitarci, un domani, di dover dire: perchè  non ce l'hai detto che avevi dei problemi?>.
Buona vita!
maestrocastello

venerdì 19 settembre 2014

Io parlo santagatese!

La lingua inglese ha ormai invaso la nostra vita e lentamente sta soppiantando del tutto l’idioma italico. Non siamo più capaci di parlare solo italiano e  ricorriamo frequentemente a termini anglo-americani e sui social assistiamo ad un vero e proprio  massacro dell’amata lingua italiana; sembra che tanti non siano mai andati a scuola. Se l’italiano l’abbiamo nascosto sotto il tappeto, il dialetto è finito addirittura in soffitta e si parla sempre meno anche nei paesi. Eppure, grazie al web, non  mancano nostalgici ed estimatori della tradizione dialettale italiana. Tanti aprono siti web dedicati al dialetto e non sono studenti universitari oppure professori che dissertano su lingue arcaiche o moribonde; si tratta piuttosto di gente comune, di gente di tutte le età che desiderano raccogliere  quanto più è possibile di ciò che rimane del proprio passato e celebrarlo. Sembra infatti che parlare in dialetto stia diventando quasi di moda, e quella che sembrava prima una minaccia, adesso appare come un fenomeno di costume, l’originalità delle proprie radici da mostrare con orgoglio. Tanti hanno compreso che il dialetto è un legame col passato da mantenere vivo e che dedicare tempo alla riscoperta delle proprie radici linguistiche, permette di scoprire molti segreti sulla lingua dei padri e di riuscire a scoprirne il grande valore. Possiamo definire il dialetto “la lingua dell’anima” e, non a caso, Pasolini scriveva: “Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Bellissimo concetto!
Il dialetto viene considerato patrimonio culturale dell’umanità, assieme alle migliaia di lingue parlate in tutto il mondo, in quanto parte fondante di ogni comunità. Parliamo il nostro dialetto senza vergogna, nei social, con gli amici, in famiglia; esso è un inno alla ricchezza della nostra diversità, del nostro valore culturale che deve essere tramandato e mai dimenticato. Si può essere cittadini del mondo pur conservando le proprie origini.
Buona vita!
maestrocastello

martedì 16 settembre 2014

Il primo giorno di scuola!

Siamo al primo giorno di scuola, Michele porta con sé carta e penna e tanta  tanta ansia. Mentre aspetta che aprano il cancello già immagina ciò che fra poco gli diranno gli insegnanti: che sarà un anno  difficile, che deve impegnarsi, che ha dei doveri. Lui sa quello che da lui vogliono i professori, ma i professori non sanno quello che Michele vorrebbe da loro. Vorrebbe evitare la noia, avere la certezza che varrà la pena ascoltarli. Vorrebbe capire se i loro saperi varranno davvero i suoi sforzi, se credono davvero alle cose che insegnano, guardandoli fissi  negli occhi, e acquisire fiducia. Vorrebbe che gli spiegassero le tante cose di questo mondo che ancora non sa, suscitandogli interesse e stupore; vorrebbe capire i misteri dell’uomo che ha aguzzato l’ingegno per creare arte e bellezza o le sfide di tanti luminari per regalarci progresso. Vorrebbe essere aiutato a decidere della sua vita, a scoprire i propri talenti per poterli meglio coltivare, a fare progetti e al modo per poterli realizzare. Michele vorrebbe avere maggiore stima di sé, tenere a freno le proprie ansie, vorrebbe che gli insegnassero a ragionare, ad avere proprie idee, rispettoso, ma critico; ad essere, insomma, uno spirito  libero. Vorrebbe che gli insegneranno a cullare dei sogni e che, oltre alle loro materie, gli insegnassero il modo di realizzarli. Intanto si apre il cancello e Michele si appresta ad entrare.

Buon anno scolastico a studenti e i loro professori.

maestrocastello

sabato 6 settembre 2014

Onore al merito.

Quella di premiare il merito in Italia è un’idea antica, mai attuata e divenuta ormai un rompicapo; tant’è che in molti sono convinti che da noi non sia attuabile. Renzi l’ha riproposta per la pubblica amministrazione e subito sono sorte inevitabili malintesi. Chi arà preposto a giudicare la maggiore preparazione e l’impegno di un impiegato rispetto ad un altro o di un insegnante rispetto al suo collega di classe o di sezione? Sorge il sospetto che venga delegata questa funzione alla discrezionalità  di un dirigente, interessato magari a premiare la fedeltà e l’omertà; piuttosto che l’impegno e la produttività del sottoposto. Intanto il problema esiste e prima o poi andrà affrontato e risolto in qualche modo. E’ innegabile che non tutti lavorano e rendono alla stessa maniera ed il maggiore impegno andrebbe riconosciuto e premiato. Cito un esempio: lunedì ho passato un’intera mattinata in un ufficio postale per pagare 2 bollettini. L’impiegato allo sportello era lento, spesso spariva per decine di minuti; quasi 2 ore per sbrigare appena 32 clienti (faceva fede il display) e la gente mormorava:” ma quanti caffè prendono questi impiegati?” Ed ecco che verso le 11 e trenta gli dà il cambio una ragazza che in meno di 20 minuti serve 28 persone e così arriva il mio turno che avevo il numero 60 ed esco. Secondo voi chi ha mostrato più impegno fra i due? Chi andrebbe premiato? Magari quello lento, alla fine del mese percepisce uno stipendio anche più alto della ragazza, grazie solo all’anzianità di servizio! Succede la stessa cosa un po’ dappertutto e sarebbe ora di mettere ordine, specie nella pubblica amministrazione, dove il clientelismo impera fin dal 1860, quando, unificata l’Italia,  fu creata la pubblica amministrazione, reclutando dirigenti fra gli ufficiali dell’esercito savoiardo che non avevano più nulla da unificare e andavano in qualche modo impiegati. Nessuno lo sa, ma nelle pubbliche amministrazioni esiste già una forma di retribuzione legata ai risultati, una delle poche, almeno in parte efficaci. Si tratta del cosiddetto “ incentivo alla progettazione “ della legge Merloni sui Lavori Pubblici del 1994, una forma di retribuzione incentivante che funziona in quanto è legata a risultati verificabili oggettivamente. Nei prossimi mesi verificheremo se il governo Renzi avrà “le palle” per generalizzare tale meccanismo, oppure si tratta dei soliti annunci e delle solite pagliacciate all’italiana.

Buona vita!

maestrocastello

venerdì 29 agosto 2014

Agri-cura, ovvero: zappare pagando.

In tempo di crisi economica tanti s'inventano mestieri e modi originali per sbarcare il lunario, anche se certi lavori faticosi li lasciamo ad altri. Questo è tempo che in Puglia si raccolgono pomodori, a qualche euro l'ora e sotto un sole che sfiora i 40 gradi. Li ho visti a decine i ragazzi africani, buttati per terra sotto un albero, in attesa del caporale che li passasse a prendere. I lavori di campagna non li vuole fare più nessuno, voi direte; eppure si fanno più frequenti, da parte di agriturismi, proposte di agri-cure: una specie di corso per contadino a pagamento.
Una proposta originale l'ha lanciata Sting, pop-star inglese, excantante dei Police che offre, nella sua tenuta in Toscana, la possibilità di zappare la terra, raccogliere olive o vendemmiare pagando 262 euro al giorno. Avete capito bene, dovete pagare voi e sembra un'opportunità da non lasciarsi sfuggire per fare una vacanza intelligente che vi fa sì lavorare; ma  acquistare anche una buona forma fisica.
Anche in occasione della prossima vendemmia, la tenuta avrà tra i suoi ospiti vendemmiatori in cerca di relax e per questo paganti. Naturalmente, s'è scatenata l'ironia del web: " Venite a raccogliere olive da me, ve le faccio fare gratis; se volete, vi canto pure Roxanne" dice uno, oppure : " Per cento euro al giorno, a casa mia pulite il bagno e le scale; ma risparmiate 162 euro"; ed ancora: "Venite in Puglia, vi faccio raccogliere le olive e vi pago pure". Noi possiamo riderci su quanto ci pare, ma farsi venire idee, di questi tempi, potrebbe fruttare lavoro e denaro.
Buona vita!
maestrocastello

domenica 17 agosto 2014

Oh capitano, mio capitano!

Hai spezzato il filo al tuo aquilone che ti teneva appeso al nostro mondo ed hai reso la tua vita ancor più fugace di quanto già in effetti  non lo sia, ancora più fuggente. Difficilmente mi affeziono ad un attore di cinema in modo totale, ma con te è stato diverso; forse perché avevi un’ anima gentile, ferocemente divertente; un artista geniale: ci hai lasciato in eredità una delle storie del cinema più rilevante degli ultimi decenni. Ricorderemo il tuo genio e la tua umiltà: tanti riconoscimenti mai messi in bacheca. Ci hai fatto ridere, ci hai fatto piangere; hai donato il tuo talento a chi ne  aveva bisogno. Ora ci lasci a piangere una persona amata eppure mai  conosciuta, un parente-amico; mentre tu ti appresti probabilmente a “far ridere Dio”, come ha scritto più di qualcuno. Ciao, professor Keating, avesti la capacità di folgorarmi e quel tuo “attimo fuggente” mi ha fatto da guida spirituale nella mia professione nella vita reale. Grazie, mio capitano, per averci insegnato a vivere fuori degli schemi, ad osare, a stravolgere la vita, a salire sui banchi. Il tuo commiato? Francamente, sembra un vero paradosso. Comunque non condivido e non giudico, come dovrebbero fare tanti benpensanti; dico solo che Dio, somma misericordia, possa accoglierti e perdonare; mentre noi  ti penseremo come un angelo in viaggio nel cielo, con le ali in riparazione, e in attesa di avere l’ok di atterrare fra le braccia di Dio.
Addio, mio capitano!
maestrocastello

17 agosto 2014

sabato 2 agosto 2014

Occorrono sogni e speranza.

La guerra infinita sulla striscia di Gaza sta seminando morte e terrore e a pagarne le terribili conseguenze  sono soprattutto i bambini. Appena lunedì scorso una bomba israeliana ha dilaniato 9 bambini palestinesi che festeggiavano la fine del Ramadan in un parco giochi; eppure proprio dai bambini arrivano messaggi di speranza che dovrebbeto insegnare ai grandi che l'uso delle armi non porta a nulla. Le violenze e le ingiustizie non si combattono con la forza e con le bombe, ma con armi più potenti, come le pagine di un libro. Avete capito bene: proprio con i libri! Questa lezione di vita è stata impartita al mondo da una bambina palestinese che, durante una tregua, è tornata nella sua casa semidistrutta dai bombardamenti a recuperare non oggetti di valore; ma semplicemente i suoi libri di scuola. Nada Jaffal che l'ha notata, le ha scattato le foto che poi hanno fatto il giro della Rete. A questa bimba andrebbe assegnato il Nobel del coraggio e della speranza per aver saputo continuare a lottare e sperare, salvaguardando il suo diritto allo studio e alla vita. La conoscenza ci rende migliori, migliori certamente di coloro che uccidono senza ragionare. Proprio questi piccoli gesti hanno la capacità di tenere viva la speranza che presto verranno deposte le asce di guerra e si arriverà finalmente al dialogo.
Impariamo dai nostri piccoli che per salvare questo mondo occorrono sogni e coraggio.
Buona vita!
maestrocastello
3 agosto 2014 

venerdì 25 luglio 2014

Luce di speranza.

Voglio dedicare, da parte di tutto il gruppo, questi versi a Raffaele che è in coma e ricordare la nostra vicinanza al fraterno amico Tonino e tutta la famiglia Locurcio, con l'augurio di poterci dare al più presto delle buone notizie.

Luce di speranza.

Poi s'insinuò in me la speranza
e ci attardammo insieme, in piena notte,
davanti ai falò dei pescatori:
parlavano di Dio
ed io le parlai di te;
e una sola voce mi catturò:
le cicale intanto cantavano,
come avevano sempre fatto;
e la voce poi divenne Luce,
Luce di speranza
che presto saresti
tornato fra noi.

maestrocastello

(23/07/014)

martedì 22 luglio 2014

Una storia al giorno.

Da qualche tempo, arrivati al momento di andare a dormire, abbiamo preso l'abitudine, nel gruppo "Se sei di Sant'Agata...se ami Sant'Agata"di raccontarci una storia che abbia una morale; come fosse una consegna morale, per chiudere al meglio la giornata. Oramai c'è l'attesa per leggere la storia del giorno. Vi posto quella di ieri notte:

Due amici camminavano nel deserto. Ad un tratto cominciarono a discutere e un amico diede uno schiaffo all'altro. Addolorato, ma senza dire nulla, quest'ultimo scrisse sulla sabbia:
IL MIO MIGLIORE AMICO OGGI MI HA DATO UNO SCHIAFFO.
Continuarono a camminare, finché trovarono un'oasi dove decisero di fare un bagno. L'amico che era stato schiaffeggiato rischiò di affogare, ma l'altro lo salvò. Dopo che si fu ripreso, l'amico salvato incise su una pietra:
IL MIO MIGLIORE AMICO OGGI MI HA SALVATO LA VITA.
L'amico che aveva dato lo schiaffo e aveva salvato il suomigliore amico domandò: "Quando ti ho ferito hai scritto sulla sabbia, e adesso lo fai su una pietra. Perché?"
L'altro amico rispose: "Quando qualcuno ci ferisce dobbiamo scriverlo sulla sabbia, dove i venti del perdono possano cancellarlo. Ma quando qualcuno fa qualcosa di buono per noi, dobbiamo inciderlo nella pietra, dove nessun vento possa cancellarlo.
Riflettiamo bene su questo nobile sentimento dell'amicizia, che non subisce la crisi del settimo anno. Ho tre amici: Rocco, Lorenzo ed Alfonso e ci vediamo ogni 10 anni e quando questo accade, è come non ci fossimo mai lasciati.
Buona vita e buonanotte!
maestrocastello

martedì 8 luglio 2014

mio nonno era avanti coi tempi.

Mio nonno, Giovanni Locurcio, soprannome "Cetrùl", era nato nel 1899. Di professione muratore e di fede politica socialista, era sposato con due figlie, Letizia (mia madre) ed Angela; fu costretto ad emigrare in Australia ed era il 1923, quando a Sant'Ataga comandava il regime fascista. Infatti, mentre era all'estero, fu pure condannato a morte in "contumacia". Ulisse tornò ad Itaca dopo 20 anni, Mio nonno ne impiegò  ben 37 di anni. Nel 1960 tornò in Italia ed io avevo 12 anni, arrivò con la nave al porto di Napoli con molte valige ed una, tutta colma di sigarette, l'affidò a noi nipoti. Fu allora che imparammo a fumare: Marlboro, Palmall, Cigarillos; tutte cose che in Italia sarebbero arrivate 10 anni dopo. Fu così che imprammo a fumare fai-da-te. Mio nonno l'ho vissuto poco, ma ci ha insegnato tanto in poco tempo, era avanti coi tempi, con idee aperte e non disdegnava parlare con noi nipoti e ci raccontava cose che i nostri genitori nemmeno si sognavano. Avrei voluto conoscerlo prima, comunque da lui ho ereditato oltre al none, Giovanni,quello spirito libero che mi ha visto, già a 12 anni, lontano da casa.
Ora sono qui a ricordare, così va la vita!

sabato 5 luglio 2014

Ha iniziato col farci ridere ed ha finito per farci piangere.

Giorgio Faletti
Ci sono esseri poliedrici, versatili, curiosi, instancabili, golosi della vita che li affascina in tutti i suoi molteplici aspetti; Giorgio Faletti era uno di questi. La sua vita, una difficile scommessa, alla continua ricerca di qualcosa  che si sposta sempre un po’ più in là, convinto che la meta non sia il raggiungimento di una tappa; ma lo stesso percorso. Giorgio Faletti, faccia simpatica della televisione, ci ha lasciato troppo presto. Aveva iniziato per farci ridere ed ha finito col farci piangere. Mai pensavamo che, smessi i panni di “Vito Catozzo”, avrebbe tentato la strada difficile di scrittore di triller, assestandosi in cima alle classifiche con milioni di copie vendute in tutto il mondo. Il tempo si dilatava e lui non si concedeva pause perché, sfinito tra un libro ed uno spettacolo, aveva un dono preziosissimo, quello di rigenerarsi grazie alla passione per la pittura, un’oasi che invece di chiedere, gli offriva una sponda di serenità e benessere. Mettendo le mani nei colori, realizzava opere capaci di mettere in luce la parte più sottile e poetica del suo essere che immancabilmente traspariva anche nei suoi libri. Giorgio si è cimentato in mille mestieri: attore, cantante, chi non lo ricorda a San Remo, “Minchia, signor tenente!”, paroliere, compositore, sceneggiatore, pittore e perfino corridore automobilistico; dando sempre il meglio di sé. A me piace ricordarlo come un autore di incredibile talento, una mente creativa ed eclettica che mancherà molto alla cultura italiana, a cui lascia una  straordinaria eredità artistica ed umana.
maestrocastello

 .



lunedì 30 giugno 2014

l'uomo che sapeva tutto,ma non sapeva....

La storiella : Uno studioso, saccente e presuntuoso, stava facendo un giro in barca sulle rive di un fiume. Guardando il cielo disse al barcaiolo: “Conosci la scienza delle stelle?”. Il barcaiolo rispose: “ No signore, non ne so nulla”. Lo studioso disse ridendo: “Allora un quarto della tua vita è inutile!”. Poco dopo chiese ancora: “Che sai della scienza della terra?” . “Nulla, signore!”. Il sapiente esclamò:”Allora metà della tua vita è inutile!”. Il povero barcaiolo rimase ammutolito e mortificato. “Certamente conoscerai almeno la matematica!” fece l’erudito in tono solenne. Il barcaiolo rispose: ”Signore io non so nulla di nessuna scienza, cerco soltanto di guadagnarmi da vivere remando su questa barca!”. Il sapiente sempre sorridendo replicò: “Hai trascorso addirittura tre quarti della tua vita inutilmente!”. In quel momento si scatenò un forte uragano e la barca cominciò ad affondare. Il barcaiolo si gettò in acqua e mentre nuotava verso la riva, fece al sapiente:”Signore, sapete nuotare?”. Quello rispose:”Se sapevo nuotare mi sarei tuffato anch’io! Ora che ne sarà di me?”. “Non vi resta che annegare. Avete studiato tante scienze, ma non avete imparato a nuotare; così tutto è stato inutile! Raccomandate l’anima a Dio!”.
Per la riflessione :Secondo l’Oracolo di Delfi, Socrate era il più sapiente di tutti , eppure durante il processo che si  concluse con la sua condanna a morte, formulò la frase: “Io so di non sapere”, concetto alla base della “Docta ignorantia”.  L'ignoranza è alla base della vera conoscenza. Chi già sa tutto, non ha bisogno di apprendere nulla. Dice un adagio indiano che, nell’oceano dell’esistenza, l’unica vera scienza è la devozione. Colui che non la conosce e si vanta di essere dotto, pur conoscendo solo scienze mondane, è destinato ad affogare. Ci sono persone che sanno tutto e purtroppo è tutto quello che sanno. Tutti si sbagliano, solo gli imbecilli non si sbagliano mai.

Buonanotte!

lunedì 9 giugno 2014

UN BICCHIERE D'ACQUA O IL MARE.

Un uomo si sentiva perennemente oppresso dalle difficoltà della vita e se ne lamentò con un famoso maestro di spirito. "Non ce la faccio più! Questa vita mi è; insopportabile".
Il maestro prese una manciata di cenere e la lasciò cadere in un bicchiere pieno di limpida acqua da bere che aveva sul tavolo, dicendo:
"Queste sono le tue sofferenze".
Tutta l'acqua del bicchiere s'intorbidì e s'insudiciò.
Il maestro la buttò via. Cé  prese un'altra manciata di cenere, identica alla precedente, la fece vedere all'uomo, poi si affacciò alla finestra e la buttò nel mare.
La cenere si disperse in un attimo e il mare rimase esattamente com'era prima.
"Vedi?" spiegò il maestro. "Ogni giorno devi decidere se essere un bicchiere d'acqua o il mare".
Le difficoltà nella vita servono a farci maturare, le difficoltà ci aiutano a diventare persone più forti e spesso rappresentano un’occasione importante per muoverci verso nuove opportunità di crescita e di felicità.
Buona vita!
maestrocastello

sabato 31 maggio 2014

Hitler è vivo!

Quante volte abbiamo fantasticato come sarebbe, se tornassero in vita personaggi famosi come Napoleone, Stalin o il fuhrer. Ebbene Hitler è tornato, almeno secondo lo scrittore tedesco Timer Hermes. Il fuhrer si è risvegliato nell'estate del 2011 in un campo abbandonato al centro di Berlino. Appena sveglio, non ha  potuto fare a meno di notare che la guerra è cessata, che intorno non ci sono i suoi fedelissimi e non c'è traccia di Eva. Regna la pace, ci sono molti stranieri e una donna, Angela Merkel, proprio bruttina e per giunta goffa, è alla guida del Reich, 66 anni dopo la sua fine nel bunker. Dopo l'iniziale straniamento ha cominciato a studiare ciò che lo attornia, rimuginando su come tornare al potere. Non ha tardato  a capire che oggi come allora la comunicazione è l'arma vincente, impossibile quindi non pensare alla tv e ai potenziali elettori che prendono per oro colato ciò che essa vomita quotidianamente. Lo credono un sosia perfetto,  lo ingaggiano in televisione e diviene famoso, grazie alla sua somiglianza. Il racconto é diverte perché, per quanto si affanni a dire che lui è proprio il fuhrer; nessuno gli crede, anzi rafforza nella gente l'idea del sosia perfetto.
L'autore mostra uno spaccato sociale preoccupante del mondo di oggi, dove la memoria storica è puramente accessoria e un ometto, buono giusto per il cabaret, può influenzare le masse. Il romanzo piace per la sua vena critica verso un mondo che di fatto non cambia mai e incappa sempre negli stessi tragici errori. Il mondo che Hitler incontra 68 anni dopo è cinico, spudorato, bramoso di successo e incapace di opporre qualsiasi resistenza al demagogo di turno, sempre lui, ora come allora. Al massimo riesce opporre il compulsivo "mi piace" dei 4social network. Tutto sommato, se tornasse davvero, Hitler non troverebbe la Germania cosi messa male. E se tornasse il lui italiano, chi troverebbe al suo posto di comando? Meglio non pensarci!
Buona vita!

mercoledì 28 maggio 2014

il primo libro, come il primo amore.

La lettura non mi attirava da piccolo,  anzi, leggere mi metteva ansia e col maestro che mi stava col fiato sul collo, pronto a bacchettarmi; me la faceva piuttosto odiare. Poi, alle medie, mi capitò fra le mani "Ventimila leghe sotto i mari" di Jules Verne e mi cambió totalmente la vita. I mondi narrati da Verne sono stati la base di partenza per un dodicenne, oggi coi capelli bianchi, che non ne vuole piû sapere di smettere di studiare “perchè la materia di studio è infinita, ed è la vita”, come recita  Guccini. Per ogni età ho un libro che mi ha dato risposte, suggerito la strada, emozionato. La scelta delle  letture odierne è determinata dall’effetto del libro precedente. A volte la curiosità ti porta a comprare un libro da 1 euro e ti si apre un mondo. Come il primo amore, ciascuno di noi ha un primo  libro che ha scatenato l'amore per la lettura e va raccontato.
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 21 maggio 2014

La felicità si può raggiungere e vi indico la strada.

(Dalle novelle di Lev Tolstoj)
C’era una volta un re malato di malinconia: diceva d’avere già i piedi nella fossa, chiedeva aiuto e prometteva metà del suo regno a chi gli avesse portato la felicità. Tutti i cortigiani erano in riunione notte e giorno, ma il rimedio non riuscivano a trovarlo. Fu chiamato anche il vecchio della montagna, il quale dichiarò: “Trovate un uomo felice, toglietegli la camicia di dosso e infilatela al re; vedrete che il re troverà subito la felicità”. Partirono immediatamente cercatori per ogni parte del regno. Furono suonate le trombe, inviati editti nei paesi e nei villaggi del regno; ma di uomini felici neanche l’ombra. Chi era povero in canna e soffriva di astinenza da cibo, chi era ricco, ma soffriva di mal di denti o mal di pancia, chi aveva la moglie bisbetica e la suocera in convulsione, chi la stalla appestata, chi il pollaio in rovina. I cercatori tornarono a Corte avviliti e delusi. Ma una sera il figlio del re, mentre si trovava a passare davanti ad una capanna fatta di foglie e di fango, udì una voce sommessa:”Ti ringrazio, buon Dio, ho lavorato e sudato, ho mangiato di buon appetito ed ora riposo tranquillo su questo letto di foglie. Grazie, sono proprio felice!”. Felice? Dunque esiste  un uomo felice! Il giovane corse al palazzo e ordinò alle guardie di andare a prendere subito la camicia all’uomo della capanna. “Dategli quanto denaro vuole… Lo farò conte, barone…principe; ma ceda la sua camicia!”. Le guardie corsero alla capanna di quell’uomo, offrirono una fortuna al povero boscaiolo; macchè! Quell’uomo felice, era così povero, ma così povero che aveva neanche la camicia. (L. Tolstoj)
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Per la riflessione....
Una bella lezione di vita per chi crede che essere ricchi, significa anche essere felici. La felicità è un abito mentale e non si compra al supermercato.La felicità è il frutto del piacere e del significato che diamo alle nostre azioni. Si può essere felice non avendo nemmeno una camicia addosso ed infelici come il re di questa novella. Dovremmo focalizzarci su quanto abbiamo anziché su quello che non abbiamo e di quel che possediamo, anche se è poco, dovremmo far compartecipi gli altri. Quanto più siamo disposti a dare agli altri, tanto più riceviamo in termini di felicità. Infine, amare la vita e sorridere che non costa niente, perché manifestare frequentemente sorrisi migliora la qualità della vita e contribuisce a prolungarla. La felicità non la si raggiunge, la si vive. Non la si trova in assenza di problemi; la si può vivere nonostante i problemi. La felicità non è una meta di arrivo, ma un modo di viaggiare.
Buona vita!
maestrocastello


venerdì 16 maggio 2014

un alunno riconsegna la pagella di quinta al suo maestro, dopo 38 anni.

Sono stato un maestro elementare e forse non mi sono mai reso bene conto di quanto sia stato fortunato a poter svolgere una professione tanto utile quanto interessante: curare la formazione di ragazzi dai sei agli undici anni, in un’età così delicata e così importante che segna per tutta la vita. La paga era esigua, ma le gioie sono state davvero tante e proseguono ancora oggi dopo tanti anni. L’ultima è racchiusa nella lettera giuntami ieri, che voglio condividere con voi.                                                                                                                  
“Ciao Maestro! La salutai così, al termine dell'ultima prova per la licenza elementare. Era il giugno del 1976 e la scuola era la "Salvo D'Acquisto" di via Selinunte, 3. Tempo dopo, mia madre ed io passammo per il rito della consegna della pagella, ma non riuscì più ad incontrarla, eravamo arrivati troppo tardi e lei se ne era andato.

27 febbraio 2014 - Navigando nei siti web delle scuole primarie del mio quartiere per orientarmi nell'iscrizione di mio figlio Sebastiano, il più grande, ho notato come vengono presentate le attività didattiche, le prestigiose sedi, la storia, l'organizzazione, il corredo di attrezzature e di dotazioni. In queste vetrine non figurano però le persone - gli insegnanti - come se il risultato del successo di una scuola fosse una mera combinazione di cose, in cui il fattore umano fosse del tutto casuale e trascurabile.

In pochi attimi, sono stato sopraffatto da una miriade di ricordi legati a quella scuola, in particolare il ricordo del maestro del quinto ed ultimo anno, il maestro Giovanni Castello. Dal ricordo all'approdo al suo blog è stato - anche qui - un attimo.

Ebbi la fortuna di essere suo alunno un solo anno, per l'appunto il quinto e ultimo, ma intero. Si, perché gli anni precedenti furono caratterizzati da continui avvicendamenti di maestri (fino a due-tre per anno). Mia madre, pur di celare le difficoltà e le limitatezze dell'istituzione, mi ripeteva che la ragione dei continui avvicendamenti era legata alla nostra bravura che non portava facilmente a trovare un maestro all'altezza dell'impegno.

Come maestro conservo di lei un bel ricordo nitido intenso, legato a diversi episodi.

Ricordo la sorpresa dell'intera classe e mia alla sua proposta di disporre i banchi dell'aula in cerchio con la cattedra, parte integrante dello stesso (era il 1976 allora!). Per la prima volta capii che esistevano semplici gesti, che potevano rivoluzionare gli schemi a cui eravamo condizionati.

Ricordo la sua proposta e la nostra entusiastica adesione alla realizzazione di un giornale di classe "Punto e a capo" che ci impegnò tutti febbrilmente ed orgogliosamente. Il primo numero lo ho ancora, conservato in uno dei scatoloni di un mio recente trasloco. Per la prima volta ebbi il senso di appartenenza ad una identità di gruppo, che cooperava per un obiettivo comune.

Ricordo la giornata in cui lei organizzò in palestra una gara di salto in alto (1° Ilio Ottone; 2° io) e di corsa (1° io; 2° Massimo Gianfalla). Per la prima volta, mi misurai con gli altri in una competizione ed iniziai a comprendere i miei mezzi, i miei talenti e che cosa fosse lo sport (in quella occasione mi contaggiò il virus dell'atletica che da allora, per quasi 10 anni, divenne pasta del mo essere, fino quasi alle soglie del professionismo e dell'ISEF).

Ricordo nel suo approccio di aver colto l'affezione alle parole, ai libri, alla cultura, al rispetto, che mi hanno portato, malgrado l'assenza dei miei genitori, uno perso prima dei tempi della Salvo d'Acquisto, l'altro strada facendo, ai massimi gradi dell'istruzione e della formazione. Ricordo infine soprattutto il suo sguardo e i suoi occhi scuri vispi, che nell'ascolto si chiudevano quasi, rimanendo a fessura, e si aprivano scintillando al suo sorriso. Quello scintillio che la vita nel tempo mi ha insegnato proprio di chi vive amando ciò che fa, gioendo per gli altri.
Ciao Maestro! Buona vita!
Gigi Stedile  
PS- Visto che non ho potuto ricevere la pagella da lei allora, sono io che gliela consegno oggi! "




Lo sguardo che mi piace.

Se cammini per strada, o al supermercato, o al mare o in montagna, insieme ad un bambino biondo con gli occhiali blu che si chiama Killó, la gente ti guarda. È evidente che ha la Sindrome di Down e probabilmente a molti solo quello è evidente (purtroppo).
Ci sono gli sguardi insistiti, i più fastidiosi, di quelli che, imbambolati come davanti ad una visione celeste, ti fanno rimpiangere di non avere foto autografate da distribuire.
Ci sono gli sguardi veloci, furtivi, che tornano e ritornano, e finiscono con espressioni stranissime di disagio, di imbarazzo che sembrano dire: “Scusa, scusa, ti guardo ma non vorrei, ti guardo ma non riesco a smettere”.
Ci sono gli sguardi interrogativi (“Ma ha la Sindrome di Down????”), quelli distolti troppo velocemente, quelli che diventano gelidi.
Ci sono gli sguardi obliqui di quelli che li vedi in faccia che si gireranno non appena sarai passata, che muoiono di curiosità e lì è divertente fare lo scherzetto: tac, mi giro anche io e ti becco a fissarmi. Poi ti sorrido, tranquillo, vengo in pace.
Lo sguardo di Papa Francesco, abbassa gli occhi e ti guarda col cuore; ecco lo sguardo che mi piace!

Buona vita!
Maestrocastello

domenica 11 maggio 2014

Ricordi di mamma.

 
Transita ogni giorno fra i miei 
pensieri più dolci,  
la mente trova rifugio 
tra le sue tenere braccia . 
I vagiti di bambino divennero
pianti di dolore, 
ma un giorno ho capito 
che l'avevo sempre nel cuore.
L'ho vissuta poco, 
ma amata ognora,
vorrei altre vite, 
per amarla ancora. 
Giovanni . 11 maggio 2014

sabato 3 maggio 2014

La bottiglia di plastica va in pensione.

Nonostante la contingenza economica, per molti di noi l'acqua minerale a tavola è fuori discussione.  Ogni anno si consumano qualcosa come 12 miliardi di litri di acqua chiusa in bottiglie di plastica che risulta persino 1000 volte più cara dell'acqua del rubinetto e di più bassa qualità. Ci siamo mai chiesto quanto inquiniamo  per produrre e bere acqua minerale? Statunitensi ed italiani siamo i paesi che bevono sempre più acqua in bottiglia e non ci chiediamo quanto contribuiamo al deterioramento dell'ambiente. Ogni anno nel mondo si producono 154 miliardi di bottiglie di plastica per contenere acqua minerale e per fare le quali, si consumano
81 milioni di litri di petrolio e 600 miliardi di litri di acqua, necessari per la lavorazione della plastica; senza contare l'inquinamento per il trasporto. È possibile mandare in pensione l'acqua in bottiglia? Sembra di sì. Un gruppo di ricercatori spagnoli, servendosi di una membrana gelatinosa estratta dalle alghe, ha creato Soho, una bolla che può funzionare come contenitore per l'acqua. Funziona proprio come una bottiglia, ma senza il vetro, o peggio ancora, la plastica. Ooho è commestibile e si ottiene con una tecnica detta "sferificazione", la stessa usata per rendere solida  la parte morbida di un cibo, senza che il liquido ne fuoriesca, come avviene per certe caramelle. Si potrà bere in futuro, mordicchiando la bolla finché non s'arriva all'acqua. La bolla risolverà per sempre il problema dei rifiuti, dell'imgombro e abbatterà i costi; pensate, solo 2 centesimi al pezzo. Prepariamoci, amici, a bere questi palloncini d'acqua, oppure ripristiniamo la sana abitudine di berci l'acqua del rubinetto, depurata del cloro e di altri sostanze nocive, comunque in quantità minore rispetto alla bottiglia di plastica.

Buona vita!
maestrocastello

domenica 27 aprile 2014

Finalmente santi, insieme!

Quattro papi oggi in piazza San Pietro per celebrare l'apoteosi della santità. Papa Wojtyla e papa Giovanni verranno proclamati santi della Chiesa, per me santi già lo erano, questi due testimoni del nostro tempo, esempi luminosi di santità  alla nostra portata qche mediante la loro fede ed il loro fervido amore danno speranza al mondo. Sono due figure di santi moderni, due esempi tanto rari di virtù in un mondo come il nostro dove l’egoismo è ormai assurto a valore. L'uno ha preso esempio e nome dall'altro, "il papa buono" e il " papa operaio", incamminati entrambi sulla strada che porta a Dio. Quando pensiamo ai santi, ci immaginiamo persone che fanno continuamente miracoli, che quando camminano nemmeno toccano  i piedi per terra; invece  tutto il fascino di queste due creature deriva proprio dal fatto che sono persone comuni, come noi, di umile estrazione sociale,  avvezze alla fatica delle braccia e al sudore della fronte, due creature sofferenti nel fisico che non lo davano a vedere, che hanno speso la loro vita a mettere in pratica il Vangelo.Con loro, Dio ci ha fatto dono come di due grandi pannelli solari che assorbivano energia celeste e la trasmettevano al mondo, illuminandolo  di luce divina. Oggi celebriamo non due supereroi, ma uomini di fede e di pace, difensori dei deboli e dei poveri, dei diversi e dei bisognosi, di cui il mondo ha tanto bisogno!

Buona vita!

maestrocastello

giovedì 24 aprile 2014

la Madonna nera di Foggia, tra fede e folklore

L'Incoronata di Foggia vanta una tradizione antichissima che risale addirittura all'anno mille. Il conte d'Ariano, appassionato cacciatore,  fu colto dal buio e passò la notte in un casolare nel folto della foresta, nei pressi del fiume Cervaro. Una luce vivissima attraversò la selva. Il conte attratto dal chiarore, giunse ai piedi di un albero dalla cui sommità una misteriosa Signora, avvolta in aura sfolgorante, gli indicava una statua poggiata fra i rami di una quercia. Nello stesso tempo un contadino che si recava al lavoro con i suoi buoi, tale Strazzacappa, alla vista della Signora, capì subito di essere in presenza della Vergine Santissima, prese il paiolo che gli serviva per il magro pasto giornaliero, vi versò dal cornetto la razione d'olio d'oliva che avrebbe dovuto bastargli per tutto il mese, e, fatto un rozzo stoppino, l'accese in onore della Madonna.

Il nobile conte di Ariano fece costruire una cappella che poi divenne un Santuario famoso che durante il passato millennio è stato luogo continuo d'incontro e di fede di di pellegrini devoti a Maria. La storia di questo luogo ha avuto alterne vicende, di grande splendore e di totale abbandono.

La basilica odierna è stata realizzata negli anni '60 su progetto di Luigi Vagnetti ed oggi si erge solitaria nell'antico bosco di querce a vegliare sul Tavoliere delle Puglie, ricco di grani, olivi e vigneti. Moderno e antico si fondono insieme mirabilmente in una continuità spirituale. Il santuario conserva gelosamente tutto un patrimonio di tradizioni legate al particolare culto della Madonna, come la vestizione della Madonna che avviene il mercoledì precedente l’ultimo sabato di aprile, la Cavalcata degli Angeli che si svolge il venerdì successivo alla vestizione della statua. Una tempo la gente umile si esprimeva più con la plasticità dei gesti che con le parole, oggi i pellegrini si esprimono con più sobrietà. I pellegrini di una volta, quando arrivavano al ponte sul Cervaro, usavano togliersi i calzari e percorrere gli ultimi due chilometri a piedi nudi.

Ora questa usanza, insieme ad altre pratiche penitenziali più o meno spettacolari, non c’è più.E’ rimasto il triplice giro che ogni compagnia compie intorno al Santuario, come un chiedere permesso alla Vergine, prima di essere ammessi al Suo cospetto. Suggestiva è la Cavalcata degli Angeli che serve a ricordare il tripudio di quella lontana notte dell'anno mille , in cui la Vergine apparve al conte d'Ariano e all'umile Strazzacappa: cavalli superbamente bardati, ornati di lustrini e sonagliere, insieme a centinaia di fanciulli vestiti da angeli, da santi e da fraticelli girano per tre volte intorno al santuario in mezzo a decine di migliaia di fedeli che accompagnano il corteo col canto di antiche laudi; insomma, un mixer di folklore e di fede.

maestrocastello

24 aprile 214

sabato 19 aprile 2014

Buona Pasqua
a chi non si lascia infrangere i sogni,
a chi ricerca la pace,
a chi non pensa solo a se stesso,
a chi non ha perso ancora la speranza
che un giorno ci sarà un mondo migliore.
Buona Pasqua!

maestrocastello

Una vita che non conosce tramonto.

Non c'è dubbio: la crocifissione è il soggetto più rappresentato nella storia dell'arte. È ovvio: la Croce è il simbolo del cristianesimo, ma è anche un soggetto drammatico e spettacolare che stimola gli artisti a dare il meglio di sé. L'altro evento più importante della fede cristiana, invece, è forse quello meno rappresentato: la Resurrezione. Va anche detto che per un artista rappresentare la Resurrezione di Cristo è un'impresa complicata. I vangeli riportano nel dettaglio i momenti della morte, ma non c'è una riga su come sia avvenuto il Suo ritorno alla vita. Ci sono i racconti del ritrovamento della tomba vuota, delle apparizioni ai discepoli; ma della pietra che rotola via dal sepolcro c'è il buio fitto. Forse è per questo che gli artisti hanno immaginato la scena come un'esplosione di luce, con la figura di Gesù che si alza nell'arIa, sopra la tomba; mentre le guardie stramazzano a terra per lo spavento. Piero della Francesca ha scelto una strada diversa. Nessun Gesù volante, niente effetti speciali; la Resurrezione è un risveglio. Cristo esce dalla sua tomba in modo silenzioso, il corpo porta i segni del martirio, ma si erge in modo imponente e tranquillo, tanto che le guardie nemmeno se ne accorgono e continuano a dormire. Il Cristo risorto di Piero della Francesca è una soglia che porta il ritorno nel mondo, quel piede appoggiato al sarcofago segna un prima e un dopo. Il Suo corpo glorioso che glorfica il creato. Se guardiamo gli alberi alle Sue spalle: a sinistra sono spogli, secchi, smorti in un inverno senza luce; a destra esplodono di luce, in una vita che non conosce tramonto.
Benvenuto alla vita, buona Pasqua di Resurrezione!

maestrocastello


venerdì 18 aprile 2014

Si muore non quando si deve, ma quando si può.

Un altro grande se n'è andato: poeta, scrittore, artista visionario Gabo, al secolo Gabriel Garcia Marquez, un giovane di ottantasette anni che ha saputo avvicinare alla letteratura milioni di persone ed ha ispirato tanti altri a prendere in mano la penna. "No si muore quando si deve, ma quando si può", amava dire.
E’ morto Gabo, ma la poesia  non è morta; se è vero che la casa della poeti non avrà mai porte; ed è in quella casa magica che Marquez ha saputo vestire di parole le sue ardenti emozioni. “Non c’è atto di libertà personale più splendido” – diceva - “che sedermi ed inventare il mondo  davanti ad una macchina da scrivere”.  Milioni di abitanti del pianeta si sono innamorati della sua patria, la Colombia, affascinati dai suoi libri. “Cent’anni di solitudine” è il titolo del suo magistrale capolavoro che gli è valso un Nobel (‘82) ed ha entusiasmato tante generazioni. Il presidente colombiano Manuel Santos  prevede per la sua gente “mille anni di solitudine e tristezza” per la morte del più grande dei colombiani di tutti i tempi. I poeti, però, non muoiono, perché la poesia  è arte ed incanto, non ha gambe per camminare, eppure arriva dappertutto, crea brividi, crea emozioni e le emozioni non muoiono insieme ai poeti; così lui continuerà a vivere nel cuore della sua gente attraverso i tanti insegnamenti che ha lasciato. Leggiamo nella poesia "la marionetta", una specie di testamento spirituale: " Dio mio, se io avessi un poco di vita...non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che le amo" oppure " se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei che si sciogliesse al sole."  e ancora " Agli uomini proverei quanto sbagliano al pensare che smettono di innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi."  Un artista così non morirà mai.

maestrocastello

mercoledì 16 aprile 2014

lavare i piedi, pratica di umiltà.

 In Oriente, dove si viaggiava a piedi scalzi o con i sandali, al rientro in casa era necessario lavarsi  i piedi per togliere la sabbia  e la polvere. Era un gesto di cortesia e di accoglienza che il padrone di casa offriva sempre all’ospite. Il servizio era però talmente umiliante che non si poteva  imporlo neanche ad uno schiavo ebreo. Gesù compie il gesto di uno schiavo per amore dei suoi amici. Ai vespri del Giovedì Santo la liturgia assume un tono sommesso e finisce nel silenzio: si spogliano gli altari che raffigurano il corpo del Signore allorché fu spogliato e ridotto male dai soldati o, veramente, perché fu abbandonato dai discepoli che nella Scrittura Sacra sono chiamati “vestimenta di Dio”. Anche le ostie vengono portate via, come Gesù nel Getsemani, la luce del presbiterio viene spenta, tace l’organo, si legano le campane; insomma inizia il “grande silenzio”. Questa giornata segna la data del testamento spirituale, non scritto, che Gesù volle fare agli Apostoli, sapendo che li stava per lasciare. Dopo che si fu alzato dalla cena, il Signore versò dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli. Ci pensate, un Dio in ginocchio davanti a noi per lavarci i piedi? Lava i piedi a tutti, anche a Giuda. Un amore che arriva fino a farsi inchiodare e morire per amore; ecco spiegato il mistero della cena. Questo esempio lasciò loro. “Intendete quello che ho fatto a voi, io Signore e Maestro?” e disse poi “Vi ho dato l’esempio, affinché anche voi facciate ugualmente”. Uno di loro, Simon Pietro,  gli disse: ” Signore, che Voi a me lavate i piedi? ” Lui rispose “ Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me”. Gesù con quel gesto intendeva raccomandare loro la pratica dell’umiltà e se l’ha fatto Lui che è Dio; quanto più dovremmo farlo noi. E’ questa appunto una grande lezione di umiltà che insegna come dovrebbe essere il carattere di un cristiano. Le ricorrenze possono rappresentare un’occasione per guadarci nel profondo, se solo tralasciamo l’aspetto coreografico della Pasqua. Cristo non è morto una sola volta; ma muore ogni volta per la presunzione della gente, per l’aridità di chi non tende una mano ad un fratello, per l’egoismo di chi bada solo a interessi personali più che ai problemi della collettività, pur avendone le possibilità. “Esempio vi ho dato, affinchè lo stesso anche voi facciate. Se io, Signore e maestro vostro, vi ho lavato i piedi; quanto più dovete l’un l’altro lavarvi i piedi?”. Tutti quelli che si dicono cristiani, oggi, si lavano i piedi l’un l’altro? 
 Siamo umili!
maestrocastello

domenica 13 aprile 2014

Jesus.

I riti che anticipano la Pasqua sono molteplici e tutti densi di un significato profondo che ogni bravo cristiano deve saper cogliere e non  fermarsi solo all’aspetto coreografico delle tante funzioni religiose di questi giorni che sono senz’altro toccanti. Ma io mi raccolgo in preghiera! Dirà qualcuno. Non basta! la preghiera deve potersi tradurre sempre in gesti concreti per avere una sua valenza; altrimenti recitiamo la parte  dei ciarlatani, siamo cristiani solo a chiacchiere. Tanti che si definiscono cristiani praticano poco il Vangelo ed è per  questo che oggi la strada di Gerico è così poco battuta. Recitiamo meccanicamente le preghiere, ma poi non le mettiamo in pratica.
“Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Ma noi, i nostri debiti, li rimettiamo veramente ai nostri debitori? Il nostro pane quotidiano, siamo capaci di condividerlo con i nostri fratelli? Siamo capaci di perdonare un’offesa? La fede, per chi ci crede, è una roba seria, ad essa dobbiamo conformare la nostra vita;  seguire un atteggiamento da vero cristiano; altrimenti, andare in chiesa diventa come andare a teatro e battersi il petto non servirà a nulla. I riti della Pasqua sono momenti di riflessione  e di preghiera, ma preghiera partecipata. "Fides sine operibus,mortua est" (la fede è cosa vana senza le opere))
Passiamo dalle parole ai fatti e sarà una Pasqua completa.
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 10 aprile 2014

No alla tecnologia, meglio la morte!

La moderna tecnologia è un virus che avanza inesorabile come una vera epidemia e assoggetta ogni fascia sociale a qualunque età. Personal computer, smartphon e tablet fanno ormai parte dello stile di vita dei più giovani ed anche le persone mature non potrebbero farne più a meno. A questa moda si sono adattati un po’ tutti, meno un’ottantanovenne insegnante inglese che, non sopportando la  tecnologia, è andata in Svizzera  per il suicidio assistito. Anne non riusciva proprio a vivere in una realtà fatta di e-mail, di computer ed anche di consumismo e fast food, accusava la moderna società di mancanza di umanità; così,  incapace di vivere in un tale mondo, ha scelto l’eutanasia, anche se non aveva alcuna malattia terminale. Naturalmente non siamo affatto d’accordo con l’anziana signora e con i medici che si sono prestati a darle la morte per motivi così futili, ma qualche interrogativo questo fatto ce lo pone. Premesso che il mondo procede come un treno ad alta velocità e indietro ormai non si torna, che ogni attività umana non può prescindere dalla moderna tecnologia che procura numerosi vantaggi, ammettiamolo; fermiamoci ogni tanto pure a pensare agli effetti collaterali di tale abitudine, onde evitare un’intossicazione mediatica. Ogni tanto spingiamo il tasto “Esc” ed usciamo all’aperto, dove s’incontra la gente reale, i saluti si danno ancora con una stretta di mano e per dirsi ciao, non c’è bisogno di indossare la cuffia.
Buona vita e navigate il giusto!

maestrocastello

sabato 5 aprile 2014

Il giornale lavagna.

In Liberia, uno dei Paesi più poveri dell’Africa, vive Alfred Sirleaf, un maestro elementare di 41 anni che non ha risorse economiche, come la maggior parte della gente; eppure è riuscito a fondare un giornale libero e indipendente. Come? Ha preso una grande lavagna e l’ha collocata nella piazza principale di Monrovia - la capitale – e, ogni giorno, con un gessetto ci scrive sopra i principali avvenimenti, poi, l’indomani, cancella il tutto con una spugna e ricomincia il lavoro. Sulla lavagna, una specie di twitter rudimentale, appaiono notizie politiche, economiche e non mancano inchieste scomode e molto documentate dal giornalista. La testata l’ha chiamata “The Talk Daily”, il giornale della gente, gente che non potrebbe permettersi di acquistare una pubblicazione cartacea. Alfred è convinto che “non sono i mezzi che determinano la qualità di un giornale, bensì la passione, la curiosità e, soprattutto, il coraggio di chi lo fa”. Naturalmente sia Alfred che i suoi collaboratori lo fanno a titolo gratuito e sul il motivo lui non ha nessuna incertezza: “Solo un popolo informato può costruirsi una coscienza civile e sviluppare una nazione”. Alfred ancora ricorda quanto gli diceva il gruppo di missionari che gli insegnarono a leggere e scrivere: “Solo la cultura ti renderà veramente libero” ed erano gli anni ottanta che insanguinarono il Paese con guerre terribili, fino al 2003. La sua scuola fu chiusa, ma Alfred ha continuato a studiare, fino ad ottenere il diploma di maestro. Col ritorno della democrazia ha iniziato l’attività giornalistica ed ora, a 41 anni, abbina l’attività di insegnante a quella di redattore-direttore-editore di”The Talk Daily”, convinto che “la democrazia resta solo una parola, se non è la gente a renderla reale, scegliendo con responsabilità e per farlo, afferma, deve essere informata”.
Buona vita!
maestrocastello