giovedì 30 maggio 2013

Ci si abitua perfino a vivere!

La storiella: In un gruppo di monaci che vivevano in caverne nel deserto, un giorno un giovane monaco andò a consultare un anziano:
"Padre", gli disse "tu sai che è da poco più di un anno che vivo nel deserto, e in questo tempo già sei o sette volte sono venute le cavallette. Tu sai quale tormento siano, poiché si infilano dappertutto, persino dentro il nostro cibo. Come ti comporti tu?".
L'anziano, che viveva nel deserto da quarant'anni, così rispose:
"Le prime volte, quando mi cadeva una sola cavalletta nella zuppa, buttavo via tutto. Poi, toglievo le cavallette e mangiavo la zuppa. In seguito mangiai tutto, cavallette e zuppa. Adesso, se qualche cavalletta cerca di uscire dalla zuppa, ce la rimetto dentro".


La riflessione : La vita è così, con il tempo ci si abitua a tutto e si fa pace anche con ciò che in principio ci risultava sgradevole. Se si tollera qualcosa, questa diventa sopportabile e dopo poco tempo anche normale; va a finire che qualcuno comincia ad apprezzare perfino i propri difetti.  “Tale è la forza dell’abitudine che ci si abitua perfino a vivere” scriveva Bufalino. L’abitudine è una brutta bestia e quando ci si abitua alla stupidità è finita! L’abitudine è come un vestito che indossi in gioventù e finisci per portarlo tutta la vita. Ci si può abituare a un mal di pancia costante, alle code interminabili agli sportelli, al maleducato che tenta di scavalcare la fila, a non prendersi sul serio, ci si può abituare ad essere sempre in ritardo e per questo  far abituare gli altri alle attese, ci si può abituare alla vita, senza tentare di scoprirla giorno dopo giorno, ci si può abituare alle parole vuote e senza senso del potere, ci si può abituare alle sconfitte, alla birretta prima di cena e alla pisciatine durante la notte; una  somma di gesti sempre uguali a se stessi. Qualche volta mi chiedo se esiste qualcuno capace di affrancarsi dalle proprie abitudini e mi viene in mente un aneddoto di Ennio Flaiano: “Decise di  cambiar vita, di approfittare delle ore del mattino. Si levò alle sei, fece la doccia, si rase, si vestì, gustò la colazione, fumò un paio di sigarette, si mise al tavolo di lavoro e si svegliò a mezzogiorno”                                                                                                               
Buona vita!  maestrocastello

martedì 28 maggio 2013

È morto cuore matto.

Spesso mi chiedo come mai quando scompaiono certi artisti è come se ci lasciasse uno di famiglia. Sarà perché la nostra vita scorre insieme a quella dei nostri idoli e alle loro canzoni, legate a particolari momenti della nostra esistenza ed ogni volta ci ricordano qualcosa o qualcuno, nei quali ci identifichiamo e quando questi idoli scompaiono, sentiamo che insieme ad essi sparisce anche una piccola parte di  noi. Ultimamente la vita è stata crudele: prima Jannacci, poi Califano ed ora apprendiamo che è scomparso Little Tony, per tutti l’eterno “ragazzo col ciuffo”. Little Tony se n’è andato in  silenzio assieme al suo ciuffo di ragazzo per sempre, perché aveva  sempre regalato al suo pubblico un aspetto rock-gioioso e fino all’ultimo non s’è voluto smentire, a dispetto di una malattia senza scampo che ha voluto tenere nascosta. Simbolo di un’Italia che dopo la guerra sognava l’America, Little Tony, insieme ad altri, è riuscito a portarne un pezzo a casa, guidando la transizione dalla melodia italiana al rock’n’roll americano. Quando arrivò secondo a San Remo insieme a Celentano col pezzo per quei tempi scatenato “ventiquattromila baci”, vinsero Luciano Tajoli  e Betty Curtis con “Al di là”, tanto per ricordare quelli che erano i gusti musicali dell’epoca. Innamorato di Elvis Presley, come Bobby Solo e Celentano, Little Tony ne aveva emulato per anni non solo i gesti e lo stile, ma anche l’abbigliamento, presentandosi in scena con il completo bianco a zampa d’elefante, le frange, i brillantini sul risvolto, proprio come il grande Elvis, a cui aveva copiato anche il ciuffo ribelle. Una voce piena di sentimento la sua in un cuore rock, icona di una generazione che ha fatto la storia della musica italiana. Una popolarità fatta del suo personaggio fedele alla prima ora del rock, ma capace di una vena melodica presente in tutti i suoi successi, da “Cuore matto” (una sorta di sigla personale) a “Riderà”, da “La spada nel cuore” a “Bada bambina”. Ora ci sentiamo più poveri e non solo sua figlia è orfana del padre, ma anche il suo pubblico che lui ha fatto cantare e sognare al ritmo delle sue canzoni che sono il lascito giusto per sentirlo sempre fra noi. Ciao Tony!
maestrocastello

domenica 26 maggio 2013

Estranei al paese.


L’Italia è una repubblica fondata sulla mediocrità, un sistema che seleziona e promuove scientificamente una classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese, ma al partito, al leader, al segretario; una classe di cultura medio-bassa che ha interessi personali così diversi da quelli del Paese da diventare conflittuali. Li vediamo, i nostri politici, tuonare la propria indignazione accorata nei comizi per leggi che anche secondo loro andrebbero cambiate, gente che prima promette e poi se ne infischia. In essi c’è l’ingordigia di chi non lascia sul tavolo nemmeno le briciole. C‘è il disinteresse totale  per queste cose da parte di chi ha altro per la testa, gente estranea al paese che li ha sventuratamente eletti. Mi frullavano questi pensieri stamattina, mentre mi recavo a votare per eleggere il sindaco e la giunta comunale della mia città. Sì, nonostante tutto, io mi ostino ancora ad andare a votare, sperando che arrivi finalmente qualche persona per bene che abbia voglia e coraggio di cambiare concretamente le cose e far riaccostare la  gente alla politica. Nei comuni, specialmente quelli piccoli, questo lo  vedo ancora possibile perché esiste ancora brava gente che fa politica per  passione, arrivando perfino a rinunciare allo stipendio da sindaco, facendosi bastare quello che percepisce con la professione privata. Esistono comuni virtuosi che prestano denaro a chi è in difficoltà economica, che hanno abolito la tassa sulla casa, che si prendono cura delle fasce più deboli, che investono in cultura, che avviano i giovani ad imparare un mestiere, che abituano i propri cittadini a scambiarsi un libro già letto, a piantare alberi, a fare manifesti in cui si annunciano anche le nascite, oltre alle morti. Mentre mi appressavo alla scuola media dove solitamente vado a votare ho ripensato a quanto scrisse Matilde Serao in “Il ventre di Napoli” : ”Mi è indifferente che vadano al Consiglio comunale clericali, piuttosto che borbonici, democratici o socialisti: tutto ciò mi è indifferente. Io voglio degli uomini onesti: io voglio delle coscienze secure: io voglio delle anime austere. Le loro opinioni politiche non mi riguardano: solo i loro sentimenti m’interessano. Non voglio ladri, io, al Comune; e per ladri non intendo solo quelli che si mettono in tasca il denaro mio, il mio povero e scarso denaro, ma tutti quelli che aiutano i ladri miei o che permettono, chiudendo gli occhi, che mi si rubi. Non voglio al Comune né affaristi, né compari di affaristi, né rappresentanti di affaristi, né amici degli amici degli affaristi” Era il 1884 e, come vedete, è cambiato poco ed il timore è sempre lo stesso.
Buona vita!
maestrocastello

venerdì 24 maggio 2013

Dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori.

Il gallo cantò tre volte ad annunciare il tradimento consumato da Pietro, il Gallo, prete della strada, ha cantato tutta la vita per denunciare il comportamento di una Chiesa ingabbiata in rigidi schemi gerarchici e spesso dimentica dei fondamentali del cristianesimo enunciati nel Vangelo. Oggi siamo tristi perché Don Andrea Gallo, genovese classe 1928, quel vecchio mascherato da prete sempre col sigaro in bocca, ci ha lasciato. Con lui viene a mancare uno di quegli esempi schietti e genuini di cui sentiamo tanto bisogno, specie in questo momento di totale smarrimento e povero di figure di così alto livello. Cosa ci ricorderemo di lui? Un cristiano vero, preghiere poche; azioni tante! Partigiano, operaio, poi la tarda vocazione e i voti con i salesiani, missionario, viceparroco trasferito dal cardinale Siri perché i suoi discorsi irritano una parte dei parrocchiani e la Curia genovese. Viene accolto dal parroco di San Benedetto, don Federico Rebora, e fonda la comunità di San Benedetto al Porto a sostegno di quelli che sono in fondo alla fila: drogati, prostitute, disperati Una vita spesa a fianco di quelli che vivono per strada, a cui non pensa nessuno; insomma uno squarcio di umanità senza moralismi, senza ipocrisie, senza giudizi. Un prete della Chiesa ai margini della chiesa, in termine calcistico si direbbe uno che è sempre sul filo del fuori gioco. Don Gallo era un grillo parlante che dava fastidio a tanti perché illuminava i lati oscuri della loro cattiva coscienza. Amava sentirsi definire “prete della strada”: “La strada mi arricchisce continuamente. Lì  avvengono gli incontri più significativi, l’incontro della vera sofferenza, l’incontro di chi però ha ancora tanta speranza e allora guarda, attende. Per la strada nascono le alternative, nasce il voler conquistare dei diritti”. Don Gallo era convinto che si poteva trovare del cristianesimo negli altri: nelle prostitute, nei carissimi barboni, negli atei. “Chiunque mi può dare la buona novella, per me è un evangelista”. I Vangeli per don Gallo erano più di quattro….”Da anni e anni noi seguiamo il vangelo secondo De Andrè, un cammino cioè in direzione ostinata e contraria. E possiamo confermarlo, costatarlo: "dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori”.
"Io  vedo che quando apro le braccia i muri cadono: Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei   muri".
Il nostro cuore rimane triste, ma l’animo è sereno, pensando magari che don Gallo in questo momento si stia gustando da qualche parte il suo amato toscano in santa pace. Don Gallo mancherà tanto a tutti noi, ma mancherà maggiormente a tutti coloro a cui a dato la propria voce per emergere dalle macerie della vita.
Buona vita!
maestrocastello

lunedì 20 maggio 2013

Che tempi!

Un giorno il Creatore convocò il Tempo per sapere come stesse.
"Bene, ma non benissimo", furono le sue parole.
"Tu capisci, senza nessuno che mi valuti, è come se non esistessi".
L’Eterno assentì: il Tempo diceva il vero e allora creò l’uomo.
"Adesso come va?", chiese al Tempo.
"Magnificamente. Me ne capitano di tutti i colori. Ora volo, corro, vengo occupato, perso, persino sciupato o buttato via; c’è anche chi mi ammazza; per fortuna, vengo impiegato, guadagnato, dedicato a qualcosa; c’è pure chi mi anticipa oppure mi rimpiange; a volte sono imminente, a volte lontano. Insomma un gran bel vivere!".
Con una punta di preoccupazione, l’Eterno esclamò:
"Che tempi! Che tempi!


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Grande sfida è capire ciò che noi usiamo chiamare col termine “tempo”, questa forza inarrestabile dell’universo  che ci accompagna dalla culla alla tomba. Non c’è nulla di più misterioso e sfuggente del tempo, è uno dei grandi interrogativi irrisolti dell’uomo a cui molti filosofi, scienziati, poeti e artisti hanno cercato di dare una qualche risposta. Nelle sue Confessioni sant’Agostino diceva: “Se nessuno me lo chiede, so cos’è il tempo; ma se mi si chiede di spiegarlo, non so cosa dire”. Siamo soliti associare all’idea di tempo presente i fenomeni di cambiamento ed evoluzione e proprio mentre stiamo pensando, il presente si trasforma in passato che ci lasciamo alle spalle nell’eterna corsa che è la vita. E ci chiediamo: il passato esiste ancora? Se sì, dov’è andato a finire? Intanto il futuro diventa tempo presente. Forse sarebbe il caso di non porsi troppe domande ed impiegare al meglio tutto il tempo che ci è stato donato, sapendo che è un bene prezioso e non va assolutamente sprecato. “Non c’è nulla più prezioso del tempo, diceva Louis Bourdaloue, perché è il prezzo dell’eternità”. Vivere senza preoccupazione di invecchiare, consapevoli che tutti perdono il fiore della gioventù: un fucile, una sella o una persona, diceva Hemingway; tutti sono migliori quando sono usati e hanno perso la lucentezza del nuovo, acquistando il valore del tempo. Vivi il presente senza pensare al passato, ma il passato trasformalo in  luce per vedere, quella luce che tanti chiamano esperienza. Buona vita!


mercoledì 15 maggio 2013

Campo San Carlo.


Da bambino il pallone era casa mia, giocavo sempre a pallone; era quello che facevano tutti i bambini. La differenza era che giocavo insieme agli altri e giocavo anche da solo; giocavo ad oltranza: giocavo per strada e giocavo in casa mia e la palla era ogni cosa che capitava, poteva essere un cencio arrotolato con lo spago come un tappo di bottiglia. Il mio primo campo di calcio è stato il “Chiancato”, una piazzetta del paese così chiamata perché lastricata di pietre dette “chianche” e ogni volta che finivi a terra, eri a rischio di romperti l’osso del collo. Il nostro pallone era spesso pieno di squarci ricuciti alla buona e lo teneva in consegna uno di noi, fino a quando i genitori ti davano il permesso di andare per strada ed era certo che quella palla lavorava fino a sera, quando tua madre ti intimava di rincasare, “altrimenti, quando viene tuo padre…..!” Le partite da solo duravano cinque minuti, ma quando ero con gli altri erano lunghe, a volte duravano anche cinque ore. Il mio idolo era il centravanti argentino Pedro Manfredini, detto piedone (si diceva che avesse 49 di piede, ma non so sia vero). Abituato sempre a palle di fortuna, la prima volta che ebbi fra le mani un vero pallone di cuoio mi emozionai. Andavamo, io ed altri mocciosi dell’età mia, al campo sportivo San Carlo per guardare i grandi  che giocavano e ci mettevamo dietro la porta che dava le spalle al vecchio convento diroccato e facevamo i raccattapalle. Nel rimandare in campo le palle recuperate, potevi dare finalmente un calcio ad un pallone vero! Il Castello, Sant’Angelo, la Piazza, Sant’Antonio: ogni zona del paese aveva una squadra di calcio e c’erano scontri accesi in  campetti improvvisati nelle rare zone pianeggianti di un paesino tutto in discesa. Poi c’erano le sfide della prima squadra a San Carlo con i paesi vicini: Candela, Monteleone, Delicato; ma gli scontri più sentiti erano i derby Santagata-Accadia, paese rivale, e qui gli sfottò si sprecavano. Il pallone è stato sempre un compagno fedele negli anni di scuola, una valvola di sfogo dopo ore di studio e quando ero in seminario, mi faceva sentire meno lontano da casa. Da maestro ho sempre favorito il gioco del calcio, sempre nell’ambito di in una sana  competizione sportiva e  non perdevo occasione per insegnare ai ragazzi a saper gestire i propri comportamenti sia in caso di vittoria che di eventuale sconfitta. Se lo insegni al bambino, il ragazzo domani andrà allo stadio con buone intenzioni e si comporterà in modo tranquillo. Adesso a pallone non gioco più e le partite le vedo raramente in poltrona, mi rifiuto di fare da spettatore a partite spesso truccate, giocate da mercenari del calcio, gente che guadagna in un mese quello che cinquanta operai della Fiat percepiscono in un anno. 
Al campo San Carlo l'antico convento non esiste più e con esso sono stati abbattuti tanti ricordi di un'infanzia svanita: la fiera degli animali e la trebbiatura del grano; però si gioca ancora a pallone!. Certo che la modernità non ha memoria! Quando mi capita, mi fermo volentieri ai campetti dove giocano i bambini, mi sazio a guardare i ragazzini che corrono gioiosi dietro a una palla e mi rivedo bambino come loro, quando rincorrevo spensierato una palla ricucita mille volte ed ero felice.
Buona vita!
maestrocastello

sabato 11 maggio 2013

La festa della mamma.


A mia madre

Non sempre il tempo la beltà cancella,
o la sfioran le lagrime e gli affanni;
mia madre ha sessant'anni
e più la guardo e più mi sembra bella.

Non ha un detto, un sorriso, un atto,
che non mi tocchi dolcemente il core!...
Ah! Se fossi pittore:
farei tutta la vita il suo ritratto.

Vorrei ritrarla quando china il viso
perch'io le baci la sua treccia bianca,
o quando, inferma o stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso...

Ma se fosse un mio priego in cielo accolto,
non chiederei del gran pittor d'Urbino
il pennello divino
per coronar di gloria il suo bel volto,

vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei,
veder me vecchio, e lei
dal sacrificio mio ringiovanita.
                                                                                     
(Edmondo De Amicis)


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AUGURI e Buona Vita a tutte le mamme!
maestrocastello

La dignità degli anziani.


La crisi corre nel nostro Paese e  si lascia dietro uno sciame sismico, scosse per le famiglie, per le istituzioni e, soprattutto, per gli anziani: è il dramma  silenzioso delle fasce più deboli della popolazione, un milione e seicentomila pensionati costretti a vivere con la pensione sociale, incapaci di far fronte ad una situazione di crisi economica che li vede le prime vittime sacrificali del sistema. La situazione è preoccupante: se non ci sono i soldi per l’affitto e medicine, si tagliasui generi di prima necessità e l’alimentazione è la prima a risentirne. Ci troviamo con anziani che non sanno più cosa siano frutta e verdura, per non parlare di carne rossa e ogni tanto le cronache riportano il caso di qualche anziano sorpreso a rubare per fame (i furti nei supermercati sono aumentati del 210 per cento dal 2009) o addirittura  a rovistare nei cassonetti della spazzatura in cerca di cibo. Qualche riga sui giornali per vendere una copia in più e  queste notizie, invece di indurci a riflettere; finiscono subito nel dimenticatoio.Nessuno affronta la grave situazione con la serietà che meriterebbe per fare qualcosa per questa gente che non ha la forza fisica per protestare, non ha macchine per bloccare le strade, non ha internet, non sa usarlo e comunque non se lo potrebbe permettere: questi sono i nostri nonni, i nostri anziani genitori, sono la fascia più debole della popolazione che non ha voce, dimenticati da tutti. Oggi tocca a loro e un domani potrebbe toccare anche a noi! Non fa nulla il governo, non lo fanno i partiti e neppure i sindacati, non lo fa la stragrande maggioranza della gente, vittima anch’essa della portata di questa crisi generalizzata. Un problema che non ci riguarda personalmente, sembra che non  esiste: ditemi se la nostra società può definirsi civile. Lasciare che gli anziani muoiano di fame per strada o vadano a rubare un pollo al supermercato, quando spesso queste persone vivrebbero anche con meno di cinque-dieci euro al giorno e un tetto sulla testa; tutto ciò è semplicemente da criminali. Mentre noi denunciamo lo stato di grave disagio economico di queste persone che si trovano ad affrontare il quotidiano in una condizione di sopravvivenza, ci dobbiamo sorbire dalle televisioni e i loro salottini le discussioni se aiutare un’attrice oppure no, se ce la fa un parlamentare a campare col solo stipendio di undicimila euro, rinunciando alla diaria o, peggio ancora, ci si vanta di togliere il doppio stipendio ad un parlamentare che è pure ministro. Vorrei far provare per un mese a questa gente a mettersi in fila alla mensa della Caritas, al disagio che si prova nel timore di incontrare qualcuno che ti conosce, sulle labbra un sorriso e saper di dover dire grazie, negli occhi il magone e in fondo all’anima tanta rabbia: quel cibo caccia la fame, ma ha un sapore amaro; ha il sapore della dignità perduta. Lo dovrebbero provare anche loro per capire gli anziani.
Buona vita!
maestrocastello

lunedì 6 maggio 2013

Se questi sono gli uomini.


La violenza contro le donne da qualche tempo è sempre più al centro del dibattito pubblico ed il motivo è presto detto: in un’epoca che si professa civilizzata come la nostra il fenomeno sta raggiungendo dimensioni che definire barbariche è poco. La modernità è arrivata dappertutto: nella tecnologia, nei trasporti, nelle comunicazioni; ma  rapporti più civili fra gli individui sembrano essere ancora una conquista lontana. Ogni anno nel mondo vengono uccise milioni di donne ed anche l’Italia vanta la sua bella media: solo  nel duemiladodici sono 137 le donne uccise, una ogni tre giorni. Il mese scorso l’infermiera di Ostia uccisa dal marito che non si era rassegnata alla separazione, tre giorni fa, sempre sul litorale romano, è stata trovata assassinata Alessandra Iaculli, una ragazza trentenne che sognava di trovare il principe azzurro ed invece ha trovato la morte. Grandi città del nord o del sud, piccoli paesi sperduti tra i monti o affacciati sul mare; l’unica cosa che accomuna questi luoghi del nostro Belpaese è la strage di donne.Ne muoiono troppe e sempre in modo violento, è una vera e propria guerra che nasce nelle case, nelle famiglie; nel posto che dovrebbe essere il più sicuro e si trasforma spesso in casa-prigione e poi si finisce sulle pagine di cronaca di un giornale, se ne parla per qualche minuto scarso al tg, giusto per destare scalpore un momento nell’ascoltatore e più nulla. Non sono casi isolati o fenomeni occasionali, ma una guerra che sparge lutti e dolore e rischia di diventare abitudine, di passare sotto silenzio. Noi maschi dobbiamo fare uno sforzo di crescita civile, modificare i comportamenti quotidiani, imparare a dominare i nostri impulsi e governare le frustrazioni senza ricorrere ad atti violenti contro esseri umani che un tempo dicevamo di amare. La violenza contro le donne non è solo lo stupro consumato, ma include anche vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, violenze sessuali, persecuzioni contro le donne in quanto donne che troppo spesso, specie in questi ultimi tempi, sfociano nella sua forma più estrema che è il femminicidio. Le minacce di questi giorni alla presidente della Camera Laura Boldrini fatte vigliaccamente sul web da parte di gente che agisce nell’anonimato sono anch’esse forme  di violenza, da parte di maschietti frustrati  contro una donna piena di carisma e personalità che essi si sognano. Che fare contro la violenza? Occorre prevenzione e coraggio: il coraggio di denunciare sul  nascere questo fenomeno. Molte donne arrivano a convincersi che i maltrattamenti siano semplicemente parte della vita di coppia; bisogna invece ricordarsi del monito che Luciana Litizzetto ha lanciato dal palco di San Remo: “Un uomo che ci picchia non ci ama, o quantomeno ci ama male”. Un uomo che ci picchia una volta lo farà anche in seguito (aggiungo io). “ Un uomo che ci picchia è uno stronzo sempre e dobbiamo capirlo al primo schiaffo”.
Buona vita!
maestrocastello

venerdì 3 maggio 2013

Il pensatore.


Seduto all'ombra di una veranda, un pensatore stava osservando il via vai della gente sulla strada del suo villaggio. Pensava: "Quante potenzialità, quante ricchezze in ogni persona che vedo, ognuna di esse potrebbe diventare un poeta o un pittore o un santo, o addirittura un pensatore, se non si accontentasse di essere un contadino".
Si trovò a passare di lì proprio un contadino, guardò il pensatore e si disse: "Un paio di braccia sprecate!                                                                                                           
La ragione evidentemente sta nel mezzo, ognuno di noi ha il suo metro personale per misurare la vita, la sua e quella degli altri; forse si dovrebbe misurare solo la propria! La storia mi fa pensare alla maggior parte dei nostri politici  che parlano…parlano…. parlano…..e niente altro. Quanto spreco di energie! Ha ragione il contadino: quelle braccia sarebbero state molto più utili a zappare la terra.
Buona vita!

maestrocastello