sabato 18 agosto 2012

Uno spreco di bellezza e di luce.


L’Italia è andata in ferie e, nonostante la crisi, anche quest’anno ce l’ha fatta ad abbassare le saracinesche dello smarrimento e partire per il mare. E’ proprio vero che se hai un problema irrisolto; poi  te lo porti dietro anche nei luoghi di villeggiatura. Il termine “Ferragosto” deriva dalla frase latina “Feriae Augusti”, ovvero “Feste (in onore) di Augusto”, poiché fu proprio l’imperatore Augusto ad introdurre questa vacanza che sollevava ogni cittadino romano dall’attività lavorativa durante la calura estiva. L’Italia ch’è andata in vacanza è piena di problemi ed avrebbe poco da festeggiare,  perché un lavoro molti non ce l’hanno, in tanti  le saracinesche le avevano già abbassate da tempo e tanti altri rischiano di non poterle più rialzare ai primi di settembre. Il malcontento trasloca semplicemente nei luoghi di villeggiatura, ad affollare posti che fino qualche settimana fa erano deserti. I nostri paesi sono un vero spreco di splendore: prima c’era il vuoto e all’improvviso c’è il pienone, concentrato in un paio di settimane di mezz’agosto, costume tutto italiano, e poi partirà come sempre il treno della desolazione, del silenzio che avvolge piccoli agglomerati urbani che hanno più case che abitanti. L’Italia è un grande museo di tesori che apre per poche settimane all’anno e poi getta la chiave nel dimenticatoio. Questo Paese possiede le risorse che da sole ci allontanerebbero dalla crisi, ma non se ne rende conto. Viviamo nel cerchio delle nostre abitudini della nostra vita ordinata; ce ne stiamo stesi al sole in estate, come in inverno restiamo allungati su un divano, solo che il sole ha preso il posto del tubo catodico. Oltre allo splendore del mare, c’è quello dei paesi che sono spesso veri laboratori di turismo e di cultura, di alfabetizzazione rurale  e non  si riducono alle sole feste di piazza, dove si esibisce spesso lo squallore in veste di cantanti che ci vede, zampettanti al ritmo di gruppi sfiatati. I nostri luoghi sono un patrimonio unico al mondo, non solo le città d’arte; ma proprio nei nostri paesini si potrebbe costruire un nuovo modo di fare vacanza, un’occasione per riattivare la nostra capacità di osservazione, per conoscere luoghi, per costruire relazioni autentiche e profonde. Se le sagre paesane e i concerti li lasciassero organizzare ai privati, le amministrazioni comunali potrebbero proporre esperienze di crescita interiore e democratica, come le visite ad una stalla, ad un caseificio, ad un podere; per sviluppare le nostre capacità manipolative, imparare, ad esempio, come si fa un caciocavallo, come si pota un albero d'olivo, come si sta a cavallo, come si fanno le orecchiette o semplicemente come s'impaglia una sedia. Lavorare è sicuramente meno noioso che divertirsi e partendo da questo principio potremmo rendere le nostre ferie più interessanti e farne tesoro per vivere in inverno una vita di città meno piatta.
Buona vita
maestrocastello


sabato 11 agosto 2012

Nella valigia di cartone, la speranza di un futuro migliore.


Emigrante fa rima con distante. Le rondini migrano alla volta di posti più caldi, l’uomo va alla ricerca di nuove opportunità di lavoro. L’esilio è la frattura scavata tra un essere umano ed il suo luogo natio, ossia la sua vera casa. La tua casa non ti appartiene più perché l’hai svenduta e quando pensi di avere i mezzi per riappropriartene; ti accorgi che non è più la stessa, perché sono trascorse più generazioni e si è persa la memoria di come era un tempo. La storia e la letteratura raccontano di ritorni eroici e romantici che somigliano tanto a sforzi per superare i dispiaceri dell’estraniamento. Ulisse al  ritorno vive essenzialmente di ricordi  e mette tenerezza l’utilizzo delle sue residue energie per avere il diritto all’antico talamo, ricavato da un tronco d’ulivo, che contende ai perfidi Proci.  L’esilio resta comunque una sconfitta per ciò che si è lasciato alle spalle e che difficilmente potrà tornare indietro, la perdita di qualcosa che si è persa per sempre. L’esilio è sinonimo di sofferenza di un’intensità unica. Solo chi non ha provato a stare lontano dal luogo natio non può sapere quanto sia arduo vivere soltanto di ricord di volti, di sapori, di odori e di voci familiari; solo chi vive lontano sa… “ come è duro calle lo scendere e  ‘l salir  pe l’altrui scale” (Dante- Paradiso XVII° canto). Eppure la cultura moderna occidentale è in larga misura opera di esuli, emigrati e rifugiati che hanno portato una ventata di aria nuova, rompendo con la tradizione. Quanti emigranti, figli soprattutto di un sud lasciato troppo solo in fondo ad ogni classifica, si sono distinti per impegno e creatività.  Il critico George Steiner afferma giustamente che questa civiltà che ha privato così tanti di una casa debbano, a buon diritto, essere chiamati “poeti senza dimora e vagabondi del linguaggio”. Senza voler fare del vittimismo è proprio il sud che festeggia più di tutti e, quasi sempre in agosto, “la festa dell’emigrante” che ritorna all’ovile. Sto povero Cristo che, in cuor suo, pensava di poter ritornare vincitore ed invece spesso torna da sconfitto; ormai sono passati tanti anni e non se lo caca più nessuno. Il sud è gioia e rabbia. Il sud è bipolare: ti esalta e ti svilisce. Terre gremite ad agosto e a dicembre abbandonate: il sud ormai non ti sorprende più, torni e ti ritrovi il tuo sud delle pale eoliche spesso ferme, il sud dei caciocavalli, il sud delle troppe case chiuse, il sud che lascia le olive sugli alberi perché non c’è più nessuno che le coglie, il sud dei paesi popolati solo da novantenni, il sud dove si raziona l’acqua in estate, il sud dell’abbandono, il sud che staziona al bar della piazza, il sud della “passatella a base di birra, il sud che spesso recrimina; ma non si ribella, il sud che s’è fatto la casa col terremoto, il sud dei sindaci che fanno i dottori, il sud pieno di parlamentari che non fanno un cazzo per la loro terra d’origine, il sud del vino buono e del grano in abbondanza, ma  che va a fare la spesa di schifezze alla Mongolfiera, il sud dell’olio extravergine d’oliva, dei polli ruspanti e dei capicolli; il sud che ha mille potenzialità che, spesso, non servono a nulla, il sud che non crede più nei miracoli e non spera. L’emigrante sa già ch’è cosi; intanto ritorna! Anch’io sono un emigrante che per mille motivi non indovina mai l’approdo e sogna un giorno di fare ritorno in una casa ideale, salvata dall’attacco delle betoniere,dove la catenella per legare il mulo è ancora al suo posto, piantata nel muro davanti casa; magari arrugginita perché il mulo non lo lega più nessuno. Vorrei far ritorno in una casa così che profumi ancora di pane appena sfornato,sentire la voce ferma di mia madre che mi dice:”Giovà, porta lu criscent (lievito madre) a la comare che ce l’ha prestato!”. La mia resta solo un’illusione e la mia casa ideale me la porto sempre nel cuore, come l’amore smisurato per i miei genitori, due persone che non ci sono più, due vecchi che non avevano nulla; eppure mi hanno dato tutto.
Buona vita!
maestrocastello

sabato 4 agosto 2012

la morale della favola.

Storiella:  In una sperduta fattoria della Russia vivevano Ded e Baba, due anziani contadini. La loro casetta era fatta di legno, con le finestre intagliate e colorate, c’era un tavolo da un lato, con delle seggiole impagliate dalle sapienti mani di Ded e, proprio al centro, c’era una grande stufa di porcellana. La loro vita scorreva semplice e tranquilla assieme ai molti animali che vi crescevano intorno, come galline, oche, maialini, un cane ed alcuni cavalli. Un bel mattino però, la loro Kurochka, una gallina pezzata, depose nella paglia un uovo  tutto d’oro. I due vecchi rimasero meravigliati e nessuno dei due si decideva a prendere l’uovo e ad aprirlo: Ded non voleva, Baba  nemmeno…. Così misero l’uovo sul tavolo per rimirarlo di tanto in tanto e sentirsi fortunati di aver ricevuto un simile dono. Un giorno però, un topolino sbucò dalla sua tana e saltò sul tavolo in cerca di cibo…. Senza neanche accorgersene urtò con la coda l’uovo che cadde a terra e si aprì. Ded cominciò a piangere, Baba anche e così pure tutti gli animali della fattoria. In tutta quella confusione la gallina Kurochka stranamente cominciò a parlare e disse che non c’era bisogno di piangere, che presto avrebbe deposto un altro uovo non più d’oro, ma normale…….
Morale della favola : Spesso diamo molta importanza alle cose materiali solo perché brillano come l’oro e perciò le riteniamo più preziose delle altre. Kurochka è saggia ed invita tutti a non dolersi per aver perso un uovo, seppure dorato, perché c’è sempre la possibilità di farne un altro, non così prezioso, ma ugualmente utile. La favola invita a ripensare ai valori essenziali della vita che in quest’epoca dell’apparire abbiamo un po’ tutti perso di vista.  Quello che manca è un po’ di tempo da dedicare ogni giorno a qualche semplice riflessione su ciò che è davvero importante per noi. Solo in questo modo si possono prendere le distanze da tutti quei falsi bisogni che un mondo come il nostro, tutto impostato sulle apparenze, cerca di indurre in ciascuno di noi, per averci docili consumatori di beni spesso inutili. La pubblicità ci spinge a credere che il possesso di questo o quel bene possa darci la felicità ed allora trascorriamo buona parte della nostra vita per procurarci i mezzi economici per raggiungere l’obiettivo del momento. Non importa se poi non lo raggiungeremo mai. E’ giunto il momento di dichiarare decadute le deleghe che avevamo fatto alla politica, alla televisione, all’imbonitore di turno e riappropriarci della nostra capacità di giudizio, per cercare di condurre una vita più consapevole e soprattutto più serena; altrimenti continueremo a credere ancora alle convergenze parallele della politica, all’olio di prima spremitura (come ce fosse una seconda e una terza) e al bifidus  actiregularis e  tutte le cazzate che ci propinano alla televisione..
Buona vita!
maestrocastello