sabato 29 ottobre 2011

La strage silenziosa.



Lunedì prossimo, 31 ottobre 2011, nella cittadina indiana di Lucknow nascerà la settemiliardesima persona. Sarà una bambina e col suo arrivo saremo proprio sette miliardi ad abitare la Terra: non siamo mai stati così numerosi prima d’ora. Pensate che nel 1800 eravamo solo un miliardo e che in poco più di 200 anni siamo cresciuti di sei miliardi. Gli ultimi cinque miliardi di abitanti, infatti, si sono aggiunti in una manciata di decenni, esattamente dal 1930 a oggi. Questo vuol dire che i bambini corrispondenti allo scoccare di ogni nuovo miliardo sono presumibilmente tutti ancora vivi. Naturalmente la nascita di lunedì è solo una scelta simbolica che mira ad attirare l’attenzione su un avvenimento che sembra insignificante, qualcosa di apparentemente piccolo; ma che in realtà riguarda tutti noi. A questo proposito, le Nazioni Unite hanno costruito un sito http://7billionactions.org/ allo scopo di ricordare a tutti cosa significa il raggiungimento di questo numero in un mondo che versa in gravi difficoltà ambientali, economiche e sociali e dove, purtroppo, regna una profonda insostenibilità ecologica e sociale che non può continuare ad essere perseguita all’infinito. Perché la scelta è caduta proprio  sull’India? Nel 1999, l’onore di raggiungere quota sei miliardi era toccato a Anand Nevic, un bambino serbo; perché la Serbia era allora teatro di una guerra terribile e la nascita di Anand era da considerarsi un segno di speranza. Quest’anno la scelta cade sull’India, una delle regioni più popolose del mondo, pensate che nello stato dell’Uttar Pradesh nasce un bambino al minuto. Si tratta di una cifra impressionante, ma, caso strano, le bambine nate  e che rimangono in vita anche dopo il parto sono sempre in netta minoranza rispetto ai bambini e non dipende da cause naturali. Il motivo risiede semplicemente nel fatto che i genitori non vogliono avere in casa una femmina ed allora decidono di disfarsene in ogni modo: o ricorrono all’aborto, oppure sopprimono queste povere creature subito dopo il parto. E’ quello che alcuni chiamano “ la strage silenziosa” e, purtroppo, nessuno fa nulla per impedirla.  Il raggiungimento dei  sette miliardi di abitanti deve costituire per tutti noi l'opportunità per celebrare la nostra comune umanità, la nostra diversità e, al tempo stesso, ricordare a tutti la nostra comune responsabilità nel prendersi maggiore cura della vita degli altri. Sarebbe ora che gli Stati tutti approntassero un serio progetto per il controllo delle nascite, da affidare alle donne, per stabilizzare il numero degli abitanti sul nostro pianeta.
Buona vita!
maestrocastello

martedì 25 ottobre 2011

L'uomo merita rispetto!


Che Gheddafi non fosse una persona per bene lo sapevamo tutti, eppure le scene agghiaccianti trasmesse in continuazione dai media sulla sua morte per mano di un giovane libico; gli sputi, gli insulti e gli applausi della folla rivolti al suo cadavere non sono stati certo dei gesti di civiltà, un bel messaggio da trasmettere a tutto il mondo che pure ha in simpatia questo popolo che ha voluto fortemente affrancarsi da una crudele tirannia. Non è stato edificante vedere tanti cittadini libici  (molti sono bambini) con tanto di mascherina in volto, in fila davanti al magazzino di una macelleria, per assaporare la gioia di vedere il corpo martoriato del rais, imbustato come un bovino nel banco frigoriferi di un supermarket. Sembrano scene d’altri tempi, scene che la storia ci ha già raccontato.“Quando mi dissero che il cadavere di Mussolini era stato portato a piazzale Loreto, corsi con mia moglie e Filippo Carpi. I corpi non erano appesi. Stavano per terra e la folla ci sputava sopra, urlando. Mi feci riconoscere e mi arrabbiai: «Tenete indietro la folla!». Poi andai al CLN e dissi che era una cosa indegna: giustizia era stata fatta, dunque non si doveva fare scempio dei cadaveri. Mi dettero tutti ragione: Salvadori, Marazza, Arpesani, Sereni, Longo, Valiani, tutti. E si precipitarono a piazzale Loreto, con me, per porre fine allo scempio. Ma i corpi, nel frattempo, erano già stati appesi al distributore della benzina. Così ordinai che fossero rimossi e portati alla morgue. Io, il nemico lo combatto quando è vivo e non quando è morto. Lo combatto quando è in piedi e non quando giace per terra“. Così scriveva nelle sue memorie Sandro Pertini sulla tragica morte di Benito Mussolini. “La vendetta non ha mai senso. Anche quando si gonfia di ragioni. Anche quando si scaglia contro il peggior tiranno, perché non c’è nulla di glorioso nell’esecuzione del tiranno”, così scrive oggi Massimo Gramellini sulla morte di Gheddafi. Come non dare ragione ad entrambi; infatti non esistono ragioni per lo scempio gratuito; dovrebbe, invece,  sempre prevalere la “pietas”, il rispetto per l’uomo. Invece, in entrambi i casi  è prevalsa solo la violenza, gli intinti più bassi dell’uomo che ancora una volta è ricorso alla “legge del taglione”, ad una giustizia di bassa macelleria. La nuova Libia non poteva avere un esordio peggiore. Le regole di ogni moderna democrazia si dovrebbero fondare, invece, sul principio che nessuno ammazza nessuno e tutti hanno diritto ad un regolare processo, altrimenti finiamo per comportarci alla stregua del nostro persecutore di ieri. La natura dell’uomo resta immutabile, dice il poeta Salvatore Quasimodo, è sempre quella dell’uomo “della pietra e della fionda”. La scienza ha solo perfezionato le armi della violenza, quelle che portano la morte ai nostri fratelli: ieri, un uomo lo ammazzavi con la pietra e con la fionda; oggi lo ammazzi con il mitra una prima volta e poi lo continui ad giustiziare ogni volta che diffondi in video le immagini del suo crimine. Questo atto di giustizia sommaria che sì è consumato in Libia, non mi trova per niente d’accordo. “Nessuno tocchi Caino”, disse il Signore e “pose un segno su di lui, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato” (Genesi 4,15). Oggi, invece, Caino è stato toccato e tanti fanno salti di gioia!
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 20 ottobre 2011

Quando la violenza di pochi oscura le ragioni di molti.



Se sabato scorso una nutrita schiera di giovani si proclamava indignata, dopo quella giornata di fuoco, non sa se essere maggiormente indignata contro una politica irresponsabile, per cui stava manifestando in modo pacifico, o piuttosto avercela contro la violenza di quelle centinaia di sbandati che è riuscita ad oscurare le ragioni di molte migliaia di ragazzi in cerca di un futuro. Già, la differenza sta proprio negli slogan. “Non ruberete il nostro futuro!” dicevano i pacifici; “Non ci interessa il futuro, ci prendiamo il presente!” rispondevano gli incappucciati. E’ così che un’intera generazione trascurata dalla politica, oltre al danno, ha ricevuto anche la beffa. Tutti a parlare delle bravate d’er Pelliccia” o della necessità di introdurre la legge marziale ai violenti ; ma delle ragioni di tanti giovani che, con la sola forza delle loro idee, tentano di ribellarsi ai padroni dell’universo; invece, sembra non interessare a nessuno. Chi ricorda che sabato si manifestava perché troppi ragazzi sono ancora senza lavoro e senza un progetto per il domani? Chi ricorda che la politica, dopo aver gravato i giovani di un debito pubblico pesantissimo, frutto di scelte sciagurate; s’è dimenticato totalmente di loro? Chi dice che in Italia s’investe pochissimo nell’istruzione e ancor meno  nella ricerca?: Pensate che paghiamo ogni anno più per interessi passivi per il debito pubblico (75 miliardi di euro)  che per l’istruzione (appena 60 miliardi). Qualche maligno dirà che non vogliamo istruire i giovani, perché non sappiamo poi cosa fargli fare. La crisi che stiamo attraversando è non solo economica, ma antropologica e culturale. L’abbandono porta disagio e frustrazione  che possono sfociare facilmente verso la violenza. Sarebbe ora che spostassimo la nostra attenzione da quei quattro imbecilli che sfasciano vetrine, incendiano auto o profanano madonne e crocifissi verso le tante migliaia di giovani pacifici che sono la vera ricchezza di un Paese in declino come il nostro.                                                                                                                  Buona vita!                                                                                                                  
maestrocastello

martedì 18 ottobre 2011

La crisi dell'asino.


Storiella:
Un asino cadde in un pozzo e, pur non essendosi fatto male, non poteva più uscirne. Il suo padrone, considerando che l’asino era troppo vecchio e malandato ed il pozzo ormai secco e che in qualche modo andava chiuso; prese la decisione che non valeva la pena di sforzarsi a tirar fuori l’animale dal pozzo e così chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a seppellire vivo l’asino. Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di terra dentro il pozzo. 
L'asino non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo con lui e cominciò a piangere disperatamente. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l'asino rimase quieto del tutto. Il contadino  guardò incuriosito verso il fondo del pozzo e rimase sorpreso da quello che vide. Ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l'asino se ne liberava, scrollandosela dalla groppa e la faceva cadere  salendoci sopra. In questo modo, in poco tempo, tutti videro come l'asino riuscì a salire fino ad arrivare all'imboccatura del pozzo, oltrepassare il bordo e uscirne trottando.

Spunti per la riflessione :
Tutti noi lamentiamo gli effetti di una crisi senza precedenti che non è solo economica e finanziaria, ma investe ogni settore della nostra vita. Eppure la storia della civiltà ci insegna che è proprio nei momenti di crisi, quando sembra persa ogni speranza nel futuro che emergono virtù ed inventiva che danno vita a nuovi progetti. C’è chi, come Albert Einstein, in riferimento alla crisi americana del 1929, nel suo libro: “Il mondo come lo vedo io”, vede nella crisi “una vera benedizione per ogni uomo e per ogni nazione, perché tutte le crisi portano progressi”. La crisi, dice lo scienziato,  prevede nuove sfide con se stesso, la ricerca di altre soluzioni; “senza crisi non ci sono meriti, è nella crisi che affiora il meglio di ognuno di noi”. “L’unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla”. Tornando alla storiella dell’asino: fintanto che piangeva, per lui non v’erano speranze di salvezza che sono affiorate, invece,  quando s’è attivato ad escogitare un piano ingegnoso di venir fuori dal pozzo. E’ proprio nei momenti più difficili che nascono le grandi idee, perché è necessario mettersi in gioco per sopravvivere. Questo ce lo insegna la storia.
Buona vita!
maestrocastello 

mercoledì 12 ottobre 2011

Questo è un paese per vecchi.


Cos’è la pensione, se non quella rendita vitalizia che viene corrisposta al lavoratore nel momento in cui cessa l’attività, al raggiungimento dell’età pensionabile fissata per legge e in rapporto all’ anzianità contributiva maturata durante la sua vita lavorativa. In Italia vi sono attualmente 17 milioni di pensionati e molti ricevono una pensione non sempre commisurata a quello che hanno realmente versato . Pensate a chi è a casa dall’età di 50-55 anni, alle pensioni baby che dopo appena vent’anni di contributi (15 per le donne) hanno fatto di freschi quarantenni schiere di pensionati di lungo corso. Pensate ad esempio agli scivoli di 7 anni concessi agli ex ferrovieri, agli abbuoni di un anno ogni cinque di anzianità per militari e forze dell’ordine; oppure alla situazione scandalosa dei parlamentari che dopo appena due anni e mezzo di legislatura hanno diritto a pensione. Ma chi paga tutte queste pensioni? Noi abbiamo ancora un concetto troppo astratto dello Stato e non realizziamo a fondo che sono in realtà i contributi di chi lavora a pagare milioni di pensioni d’oro a capoccioni ed  ex politici ed alla loro  combriccola di imboscati in ministeri, enti inutili e  sindacati. In questi ultimi tempi si parla con sempre maggiore insistenza di alzare ulteriormente l’età pensionabile. Quasi sicuramente si deciderà che i giovani andranno in pensione a 70 anni, in pratica mai! L’Italia è come una medaglia a due facce: da un lato gli anziani che hanno avuto la sicurezza di un lavoro, la possibilità di emergere in una professione, che una pensione l’hanno ottenuta e al termine dell’attività lavorativa hanno ricevuto anche un tfr per comprarsi la seconda casa; ma dall’altro lato ci sono i giovani che hanno studiato per rincorrere un lavoro precario e non si azzardano a sposarsi, che non si possono permettere un mutuo per un salone, camera e cucina tutta loro, che a quarant’anni lavorano ancora “a progetto” e di questo passo una pensione non la vedranno mai. E' o non è un Paese per vecchi il nostro? Mi chiedo perché un ragazzo  che non ha garanzie per se stesso dovrebbe col suo lavoro mantenere uno stato sociale che permette pensioni milionarie come quelle di Felice Crosta, ex presidente dell’Agenzia dei Rifiuti della Sicilia, in pensione con 1369 euro al giorno! E' una cosa indecente! Una riforma seria delle pensioni va fatta col sacrificio di tutti, uomini politici compresi; evitando lo spreco di soldi pubblici; altrimenti sarà tutto inutile. Forse andrebbe previsto un tetto massimo pensionistico, il veto del cumulo di più pensioni, andrebbe certamente evitata l’elargizione di pensioni baby ad uomini politici e che ogni pensione sia commisurata a quello che ciascuno ha realmente versato. Ritengo immorale che milioni di euro finiscano nelle tasche di una sola persona e vengano sottratti a giovani che pagano la pensione ad altri, pur sapendo che la loro non la vedranno mai.
Buona vita!
maestrocastello

venerdì 7 ottobre 2011

Siate affamati, siate folli!


Steve Jobs è morto  prematuramente e tutti noi siamo stati colti da sindrome da abbandono e, come succede in questi casi,abbiamo  dato fondo a tutto il nostro bagaglio di retorica per definirlo con i termini più inconsueti: “l’uomo che ha inventato il futuro”, “il Leonardo Da Vinci di oggi”, “il re Mida moderno”. A “cadavere ancora caldo”, l’esaltazione, si sa,  gioca brutti scherzi e fa smarrire facilmente quei giudizi di obiettività a cui dovremmo  far riferimento sempre. La scomparsa di Jobs colpisce milioni di noi che  abbiamo fatto file per tutti i suoi prodotti (iPod, iPhon, iPad); li abbiamo attesi, comprati ed ostentati con orgoglio e ancora venduti e ricomprati come ultimo modello. E’ impossibile non riconoscere il genio di un uomo che, a partire dall’11 settembre, con i suoi prodotti è entrato nella vita quotidiana di miliardi di individui di tutto il mondo. Ciascuno di noi ha portato in tasca un pezzetto di quella mela “mozzicata” che lui ha trasformato in un marchio di fama planetaria. Alcuni suoi nemici, invece, gioiscono perché con la sua scomparsa dicono che “finisce la sua influenza maligna sul mondo del software”.Noi ci permettiamo alcune riflessioni. Ammiriamo innanzitutto il modo dignitoso di aver gestito la sua pancreatite, la caparbietà di un uomo che aveva un’inventiva geniale, dimostrando di saper osare oltre il lecito e che ci lascia in eredità questo insegnamento: “Siate affamati, siate folli!”. Si dice che il mondo è cambiato grazie a tre mele: la mela di Adamo ed Eva, la mela di Newton e la mela di Jobs. Forse fra dieci anni guarderemo l’iPhone come ora guardiamo i primi processori; ma ci auguriamo che altre menti sappiano prendere esempio da Steve Jobs e regalarci altri gioielli di tecnologia. Se ciò non dovesse accadere, l’insegnamento di Jobs sarà stato vano ed il mondo sarà certamente più povero.
Buona vita!
maestrocastello