lunedì 22 agosto 2011

Il lavoro rende poveri.


Nel nostro Paese vige ormai incontrastato il principio di disuguaglianza. Le distanze tra poveri e ricchi, tra chi ha poco e chi ha molto si sono terribilmente allungate, tanto che le famiglie continuano a perdere potere d’acquisto e capacità di risparmio; e chi paga maggiormente il conto della crisi sono le fasce più deboli , cioè le donne ed i giovani. Questa iniqua tendenza non è storia di oggi, ma di lungo periodo che s’è andata accentuando durante la crisi degli ultimi anni. Bankitalia ha fotografato bene la situazione italiana dal 2004 al 2008 in rapporto alla ricchezza posseduta dalle nostre famiglie. Il 10 per cento delle famiglie più ricche che nel 2004 possedeva  il 42,9 per cento della ricchezza complessiva, nel 2008  era arrivato al 44,7 per cento. Guardando al 10 per cento delle famiglie povere che nel 2004 possedevano il 10,1 per cento della ricchezza complessiva, nel 2008 la fetta scendeva al 9,8 per cento. Voi direte che sono solo dati numerici,  io dico, invece, che è il chiaro segnale di un Paese ormai in declino che si sente ogni giorno più povero. La grande novità è che nel ventaglio di povertà che un tempo vedeva i soliti noti, come operai, pensionati e disoccupati; sono caduti anche  gruppi sociali che prima venivano collocati più in alto. E stiamo considerando solo chi un lavoro comunque ce l’ha! All’origine dell’aumento delle disuguaglianze gli studiosi hanno individuato lo spostamento della ricchezza dai salari alle rendite finanziarie, mettendo fuori dalla logica del profitto chi può contare solo sul proprio lavoro. “I soldi fanno i soldi!”, diceva sempre mio padre. “Chi lavora diventa povero”, aggiungo io e le motivazioni sono tante. Nel 2010 un milione di giovani aveva lavori atipici o precari e le dinamiche salariali hanno finito per premiare soltanto manager e professionisti qualificati, penalizzando oltremodo i lavoratori comuni con salari da fame. E’ nata così la figura del “Working poor”, persona che nonostante lavori, può contare su di un salario inferiore alla soglia di povertà. L’economia liberale ci aveva illuso che incrementando il prodotto interno lordo con una maggiore produzione avremmo avuto qualcosa in più tutti. Niente di più sbagliato! Con una torta più grande cambierà solo la dimensione delle fette. Chi aveva già tanto, avrà tantissimo, lasciando le briciole a chi ha contribuito a confezionare materialmente quella torta. Chiarito l’aspetto come anche il mercato del lavoro sia creatore di disuguaglianze, c’è da considerare chi al mercato del lavoro non riesce ad accedere oppure  i tanti giovani che sono fuori sia dal circuito dell’istruzione che del lavoro e rischiano di restarci. In un altro Paese che non fosse il nostro, dati come questi avrebbero almeno aperto un dibattito per individuare le misure per fronteggiare la crisi. Quando la politica fatica a far emergere dal proprio dibattito temi come l’inclusione sociale e la redistribuzione del reddito  e non considerarli come decisivi per la crescita civile di una nazione, bisogna preoccuparsi davvero. Diamo la colpa  agli stranieri che ci rubano il lavoro, ma il vero male del nostro Paese sono i politici corrotti e corruttori, i troppi evasori fiscali e i falsi handicappati che sfruttano privilegi a cui non hanno diritto. A ragione il premio Nobel Amartya Sean  suggerisce che disuguaglianza e povertà  non sono solo  una questione economica, ma un problema che limita e impoverisce la democrazia di un Paese.
Buona vita!
maestrocastello.

domenica 7 agosto 2011

La ricerca? Come natura crea.


La situazione disastrosa che ha investito la parte orientale dell’Africa rappresenta solo la punta scoperta di quell’iceberg chiamato povertà. Il costante aumento dei poveri  sul pianeta, i cambiamenti climatici e l’inarrestabile perdita di biodiversità occupano il dibattito internazionale di questi ultimi decenni. La ricerca ci aveva promesso che gli ogm (orgasmi geneticamente modificati) sarebbero stati la manna che avrebbe risolto il problema della fame nel mondo e debellato molte malattie; ma, a vent’anni dalla comparsa dei primi ogm, scopriamo che le colture brevettate, perché resistenti  a diserbanti ed insetti, sono quattro in tutto: mais, soia, cotone e colza. Nessun prodotto che cresca senz’acqua o curi delle malattie. La cosa che proprio non ci convince in questi prodotti modificati è la presenza di frammenti di dna estranei alla specie in questione. Tutte le regioni italiane hanno raggiunto una comune posizione di chiusura verso le coltivazioni degli attuali ogm e perché  non rappresentano una soluzione per la nostra agricoltura e perché rischiano di inquinare il nostro patrimonio di oltre 4500 prodotti tipici (di cui 181 certificati dall’UE) e perché compromettono quel milione di ettari coltivato con prodotti biologici che fa del nostro Paese il primo produttore al mondo. La produzione agricola italiana sarebbe in grado attualmente di sfamare un paese di 300 milioni di abitanti. Ma se il problema della fame non investe l’Italia, riguarda invece tanta altra parte del pianeta, come i paesi in via di sviluppo che troverebbero giovamento da un’agricoltura moderna che punti a livelli di eccellenza. La ricerca seria, perciò, non si è scoraggiata ed  è andata avanti fino a tentare di identificare in maniera rapida ed accurata le zone del dna dove si trovano i geni  responsabili  delle caratteristiche desiderate, per quantità e qualità; selezionando quindi gli individui da destinare alla riproduzione. La tecnica impiegata dai ricercatori è chiamata Mas (Marker Assisted Selection) e naturalmente questa avviene fuori dal nostro paese dove la ricerca è seriamente finanziata. Con questa nuova tecnica si pratica una selezione assistita dei marcatori, in modo che la varietà ottenuta non conterrà assolutamente frammenti di dna estranei alla specie di appartenenza, dal momento che l’inserimento del carattere è  simile a quanto avviene in natura e cioè , solo tra individui della stessa specie o affini. Queste nuove varietà  sì che garantiscono integrità ambientale, maggiore sicurezza e facilità di accedere sul mercato per l’utilizzo commerciale. Dicono che la Mas s’è mostrata utile per selezionare varietà di diverse specie di vegetali che hanno una maggiore capacità produttiva, resistenza agli attacchi parassitari, che permettono una maggiore tolleranza alla salinità e possiedono migliori qualità nutritive. Gli studiosi informano che la Mas è utilizzata per migliorare varietà di grano, sorgo, miglio ed anche di piselli, asparagi, carciofi ed ancora pomodori, peperoni e tutti quei prodotti destinati al consumo locale nei paesi in via di sviluppo o tipici della nostra dieta mediterranea. La ricerca sarà davvero in grado di salvare il mondo.  Infatti, oltre alla Mas ha prodotto altri risultati interessanti, come biotecnologie soft, poco costose ed in grado di funzionare direttamente nei paesi in via di sviluppo. E’ importante che alla innovazione scientifica si affianchi una pianificazione che coinvolga l’opinione pubblica in un clima di collaborazione e di maggiore trasparenza. Solo il coinvolgimento di tutti, dalla ricerca alla politica, dalle associazioni ambientalistiche a quelle dei consumatori; farà cadere quel velo di diffidenza che attanaglia la gente comune  e potremo decidere, in tutta serenità,  sull’opportunità o meno di ricorrere a piante transgeniche, in grado di dare prodotti innovativi sicuri per l’ambiente e di eccellente qualità che aprano spiragli di speranza per il nostro futuro.
Buona vita!
Maestrocastello.