mercoledì 30 marzo 2011

fare le scarpe alla crisi.

Premessa :
Mi sono chiesto spesso perché siano spariti tanti mestieri di una volta. Nessuno ormai vuol fare più il falegname, il calzolaio o il fabbro ferraio; come mai? La risposta l’ho avuta stamane quando, nel  fare il solito giro dei quotidiani “on line”, leggo sul “Corriere della Sera”che per fare il calzolaio, ora occorre addirittura una laurea.
Il fatto :
Non  è uno scherzo, ma è quello che è successo a Marco, ventisettenne di Teramo, laureato in Biotecnologie con 108 su 110 e calzolaio di professione da pochissimi giorni. Marco le ha tentate tutte e visto che come biotecnologo non lo richiedeva nessuno, per l’ottusità delle aziende che non capiscono l’importanza e le potenzialità di questa figura professionale; ha pensato bene di mettersi in proprio. Si è  affidato alla CNA (Confederazione Nazionale Artigianato) della sua città che gli fornito il kit per aprire la bottega e le istruzioni per fare l’artigiano. Ora Marco, al contrario dei suoi nonni,  è contento di fare il calzolaio, la sua bottega si trova in una via centrale di Teramo e i clienti fanno a gara per portagli scarpe e scarponcini da riparare. Si potrebbe dire a ragione che Marco “ha fatto le scarpe” alla crisi. 
Considerazioni :
Ora mi pongo e vi pongo una domanda: avrà fatto bene Marco ad accontentarsi o la scelta è stata limitativa per uno con tanto di laurea? Alcune riflessioni dobbiamo pur farle. Al di là del momento di crisi e delle scelte di politica nazionale sull’avviamento dei giovani nel mondo del lavoro, c’è da dire che l’Università di massa ha portato ad un numero di laureati enorme rispetto alle opportunità di lavoro che l’Italia offre. Le lauree servono solo se richieste dal mercato, un lavoro manuale può essere un’ottima alternativa e spesso con maggiori soddisfazioni economiche. Provate a chiamare un idraulico per il preventivo di un bagno e vi accorgerete che pretende più di un chirurgo di fama! Esistono lavori redditizi che nessuno vuol fare più come il panettiere, il pasticciere o il calzolaio; basta non avere problemi di status, come ha fatto Marco, e non avere la voglia di fare il precario a vita. Marco ha fatto questa scelta e noi la rispettiamo e auguriamo tutto il bene possibile a lui e alla sua famiglia. Tanti giovani che hanno poca propensione per lo studio, farebbero bene ad imparare un mestiere; proprio come si faceva un tempo. E’ anche vero che un Paese di soli artigiani danneggerebbe gravemente l’economia e se non studiasse più nessuno, torneremmo ad essere un Paese sottosviluppato. Certo non è un bene perdere potenziali validi ricercatori come Marco perché la politica italiana negli ultimi anni ha mortificato l’industria in generale, scoraggiando anche la ricerca in favore di altre politiche ed altri settori, secondo il desiderio del consenso popolare. 
Riflessione finale :
Chi non si trova d’accordo con tale consenso e coltiva obiettivi più ambiziosi nella vita è bene che vada altrove, fintanto che non cambia il vento della politica italiana; altrimenti non resta che seguire l’esempio di Marco che studiando biotecnologia è diventato imprenditore di se stesso. Speriamo che anche altri, specie al Sud seguano il suo esempio.
Buona vita!
maestrocastello



lunedì 28 marzo 2011

Lampedusa, l’isola che c’è.




A sud della nostra penisola si sta combattendo una guerra di civiltà contro un'umanità dolente che sbarca in Sicilia,  “un’isola che c’è”.  Lampedusa segna lo spartiacque ideale tra due Italie, quella che accoglie benevola  e quella  che è in preda alla sindrome da invasione.  L’errore di fondo sta nel considerare l’immigrazione solo un problema di sicurezza  ed è ancor più sbagliato rifiutarla. Questi barconi della disperazione trasportano esseri umani  diretti verso una terra promessa che è poco propensa a riceverli, esseri che hanno perduto la propria dignità e sono diventati solo dei corpi che vengono imbarcati, si perdono in mare, vengono respinti e quando vengono accolti,  vengono ammassati come bestie, in condizioni igieniche spesso assurde; corpi che lottano per essere integrati, che vogliono riappropriarsi finalmente della dignità di un tempo. Questo esodo sta evidenziando le carenze di istituzioni internazionali come  l’Europa  che ha come dato che ci identifica  solo una moneta comune come l’euro  e non una politica comune per l’emergenza umanitaria. Da Bruxelles cogliamo chiaro questo messaggio: ognuno si occupi dei propri rifugiati. Intanto  la puzza del petrolio ha attirato come  mosche gli odierni sorvolatori della Libia che esportano libertà a caro prezzo.  A livello nazionale si fanno tante chiacchiere e si sta evidenziando l’insufficienza  della legge Bossi-Fini che prevede come unico dato per l’accoglienza l’immigrato lavoratore, ci sembra francamente troppo poco. Le reazioni delle donne di Lampedusa si giustificano per il  fatto che la situazione  sull’isola si è resa insostenibile; si è ormai superato il rapporto di 1 a 1 tra popolazione locale e rifugiati : cinquemila  sono quelli che ci vivono e cinquemila che ci sbarcano. La proposta di dividere equamente i rifugiati in tutto il territorio nazionale sembra caduta nel vuoto, dopo che vari politici si sono resi non disponibili per ragioni diverse. Una volta tanto dobbiamo prendere esempio dalla Sicilia,  terra di accoglienza che sa vivere sulla frontiera, terra d’incontro con le moltitudini che migrano per fame, per guerra, per rifugio politico, per esilio o  per  disperazione.  Lampedusa, Trapani, Caltanisetta, Mineo (Catania), Sigonella, Acireale, Siracusa  sono i centri di accoglienza  e di  asilo  dove la paura per lo straniero  si è tramutato in speranza di costruire una società  multietnica,  dove contano poco le differenze. Sarebbe ora che  anche quell’altra parte d’Italia  stemperi una buona volta il rancore e la paura verso chi arriva da fuori chiedendo asilo, in capacità di accoglienza e cura. A che serve battersi tanto perche il Cristo resti  appeso nelle aule di tribunali e di scuole, quando restiamo indifferenti di fronte al fratello che soffre? Nel giorno dei giorni potremmo sentirci dire: ”Ero fuggitivo e non mi hai ospitato!”.
Buona vita!
maestrocastello.

mercoledì 23 marzo 2011

Sul nucleare la Germania ci ripensa. E l'Italia?


In quest’ultima settimana abbiamo assistito a scene apocalittiche, quasi delle prove generali da fine del mondo anticipata. L’uomo, così sicuro di avere il sopravvento sulla natura, si sarà sentito improvvisamente cittadino di Lilliput nel vedere questo gigante scuotere, inondare e sbriciolare come un giocattolo ogni cosa; anche quelle opere che si pensavano sicure. Non vi è dubbio che dopo il disastro di Fukushima, anche le certezze scientifiche e la fiducia nel progresso abbiano subito una scossa sismica. E proprio come fanno tanti fidanzati quando attraversano una crisi, anche quegli Stati europei, nuclearisti da sempre, hanno chiesto una pausa di riflessione, aprendo un dibattito sulla sicurezza, sul rapporto tra nucleare e territorio e sulla longevità degli impianti. Qualcuno ha detto giustamente che bisogna diffidare di quegli uomini che sanno tutto e che mostrano di crederci. La verità è che il rischio zero non esiste. E’ dissennata l’affermazione che il progresso è una sfida e comporta qualche rischio che bisogna correre. Ogni disastro deve servirci da monito sulla debolezza dell’uomo, su quanto di fallace risiede sul suo orgoglio di poter soggiogare la natura. Non si possono sfidare impunemente gli equilibri naturali senza mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della specie umana. Quando la radioattività pervade un terreno, non cresce più nulla per svariati decenni.  Le onde radioattive che a Fukushima hanno contaminato le acque compromettono per almeno un lustro il ciclo vitale di flora e fauna marina e rappresentano un serio pericolo anche per l’uomo. Mentre l’Europa s’interroga sul problema della sicurezza degli impianti, da noi divampano le polemiche ed il governo, per bocca del ministro dell’ambiente, conferma che il programma sul nucleare andrà avanti. A nulla serve ricordare: 1) che l’Italia è un paese a forte rischio sismico; 2) che la centrale che progetti oggi, sarà pronta solo fra quindi anni; 3) che una centrale ha una vita di appena  20 - 30 anni; 4) che, quando sarà dismessa, avremo l’oneroso problema dello smaltimento delle scorie ( non si riesce a smaltire rifiuti urbani, figuriamoci quelli nucleari!).  Visti gli elevati costi, ne vale davvero la pena? Perché non si pensa di impiegare parte di quelle risorse  per un serio sviluppo di energia alternativa, come ha suggerito il nostro saggio presidente Napolitano? I nostri politici ora s’improvvisano  anche scienziati  e pretendono offrirci garanzie. Ora vanno dicendo ai quattro venti : ”Gli impianti di Fukushima erano di vecchia generazione, nulla a che vedere con quelli che faremo costruire noi”. Intanto il Governo ha già individuato 15 siti che tiene segreti e poiché sanno che la gente di quei luoghi non acconsentirà mai; ha previsto anche l’uso della forza. Fra i siti papabili si vociferano i nomi di Termoli, Taranto,  Montalto di Castro e Matera; tutti posti sul mare.  Penso solo che ne sarà del nostro turismo. Chi dice che non si può crescere senza il nucleare e che è il caso di correre dei rischi è un dissennato.  L’Italia ce le ha già le sue belle centrali atomiche, si chiamano Vesuvio, Stromboli, Etna e via dicendo. E’ troppo facile giocare con la vita degli altri! Se spendiamo i soldi di 1 sola centrale nucleare in ricerca finalizzata ad immagazzinare l'energia delle rinnovabili, producendo idrogeno, pompando acqua in bacini e sfruttando la ricaduta o altro, eviteremo di lasciare enormi cumuli di veleno in eredita' ai nostri discendenti.  Di questa sera è la notizia  che il parlamento europeo ha sospeso per un anno ogni progetto sul nucleare per verificare la sicurezza di tutti gli impianti già esistenti. Il  cancelliere Angela Merkel ha affermato proprio quest’oggi che è giunta l’ora di abbandonare l’idea del nucleare. Questa è gente che usa la testa e che non si permette di giocare con la vita degli altri.
Buona vita!
 maestrocastello

venerdì 18 marzo 2011

Lettera postuma al mio papà.

Caro papà, ti conobbi da bambino e non da gesti o da parole; ma da sguardi elementari. Ti conobbi meglio quando eri assente per lavoro e mentre ti aspettavo di notte che tornassi; però non te lo feci mai capire. Ti conobbi meglio quando camminai nelle tue scarpe, sorrisi tra i tuoi sorrisi e feci mie molte delle tue parole. C’era una pianta di gelsi rossi di lato al vecchio campo sportivo del paese, proprio alle spalle della madonnina che si trova sulla  strada che porta ad Accadia. Ricordi? Su quell’annoso albero mi arrampicavo, di nascosto, insieme a tanti altri scapestrati dell’età mia, per raccoglier frutti o semplicemente per stare penzoloni, sicuri che quell’albero ci avrebbe sostenuto. Per me, papà,  tu eri esattamente come quella pianta, solida e sicura; mi sono fidato sempre ciecamente della tua persona. Ancora ti ricordo, mastro muratore, in certi mattini impossibili di pioggia, costretto in casa a scrutare il cielo, nella speranza che spiovesse all’improvviso. E pur con l’animo in subbuglio per la giornata inoperosa, con noi fingevi ugualmente buonumore. Quanto t’ho rincorso da fanciullo, allorché desideravo un mio momento d’attenzione, confuso com’ero in mezzo ai numerosi fratelli! T’ho poi raggiunto ch’ero già un uomo e pur se allora ero io ad avere un passo più veloce, t’ho sempre camminato dietro. T’ho scoperto veramente, proprio quando t’ho perduto : era una notte di novembre e tu avevi poca voglia di morire. Era come se m’avessero amputato un arto superiore: non potevo più afferrare, non potevo più abbracciare e non potevo asciugare tutte le lacrime del mio grande dolore. Dopo che ho steso ad asciugare la mia malinconia, il tempo mi ha restituito il tuo vero volto, nascosto  nelle parole di tutti quelli che ti hanno conosciuto. Di te mi rimane il ricordo di un volto spesso sorridente, bontà da vendere e lealtà che si fa persona. Grazie, papà, per quello che tu mi hai dato e per quello che io ti ho rubato. L'unico rammarico resta per quello che non ci siamo mai detto, forse per pudore di dirci con le parole che ci volevamo bene. Ancora inseguo la tua sicurezza, la forza e la tua stessa dignità. Vorrei almeno assomigliarti un po’.
Ti voglio bene, papà!

maestrocastello

mercoledì 16 marzo 2011

Così uniti, così divisi.


Al di là di ogni facile polemica , oggi è festa nazionale , scuole ed uffici resteranno chiusi  per festeggiare l’anniversario della nostra storia unitaria, con buona pace di chi la pensava altrimenti.  Se in qualche realtà del nord i leghisti lasceranno, come dicono, aperti esercizi  ed uffici, vuol dire che ce ne faremo una ragione. D’altronde è proprio questa la forza di una democrazia: lasciare che tutti i cittadini siano liberi di avere opinioni non obbligatoriamente condivise. La pagliacciata di lunedì  fatta dai leghisti al consiglio regionale lombardo di abbandonare l’aula  per una vergognosa pausa caffè, proprio  quando  s’intonava “Fratelli d’Italia”, è stato un film triste e vergognoso e ci deve maggiormente spronare  a festeggiare questa ricorrenza con più vigore, ma senza fare troppa demagogia. L’Italia che ancora si riconosce nel tricolore oggi si darà appuntamento nelle piazze e per uno che, come me, ha la fortuna di vivere  a Roma, ci sarà da fare una vera abbuffata : spettacoli  in varie piazze, inaugurazione di grandi mostre, musei e ministeri aperti al pubblico. L’invito per tutti è di far sventolare il tricolore da finestre e balconi di ogni casa; proprio come per i mondiali di calcio e,  per dirla con Gofferdo Mameli “raccolgaci un’unica bandiera”. E ai leghisti che hanno monopolizzato le battaglie dello storico “Quadrilatero”, rispondiamo sempre con le parole di Mameli: “Dall’Alpe a Sicilia, dovunque è Legnano”!  A  Bolzano come a Canicattì, dico io. Cari fratelli leghisti, queste parole sono parte di una strofa di “Fratelli d’Italia” , quell’inno che  avete perso l’opportunità di ascoltare,  facendo la furbata di uscire prima dall’aula del Pirellone. Rordate che l’odio genera mostri!                                           

Diamo uno sguardo al programma  :                                                           

Completamento di  grandi opere .
In occasione di questo importante avvenimento, il governo  Prodi prima e quello Berlusconi poi, hanno finanziato  il completamento di 11 importanti opere in diverse città italiane. Vogliamo ricordarne solo alcune, con la speranza che si trovino i fondi e si tenga fede agli impegni assunti con i cittadini.
-          Palazzo del cinema di Venezia.  
-          Auditorim di Firenze.
-          Teatro San Carlo di Napoli.
-          Museo Nazionale di reggio Calabria.
-          Parco costiero ad Imperia.
-          Auditorium ad Isernia.
-          Orto Botanico a Catania.
 I giorni più importanti  e gli eventi .
-          La notte tra il 16 e 17 sarà la ”notte tricolore” per i Comuni che avranno aderito all’iniziativa. Una notte bianca, in cui i negozi  e musei resteranno aperti tutta la notte. I festeggiamenti verranno seguiti  per 24 ore da Radio Rai.
-          Dalle tre capitali Torino, Firenze e Roma ci sarà una diretta televisiva Rai.
-          Non poteva mancare il calcio che è sport nazionale con una TIM CUP speciale per il 150°. Durante finali e semifinali ci sarà  l’esibizione della Banda dell’esercito sui  campi di calcio e seguiranno proiezioni su eventi storici dell’unità d’Italia.
-          Il momento più importante sarà il 2 giugno, festa della repubblica. Arriveranno in Italia 26 capi di stato europei e leader politici da tutto il mondo per renderci omaggio. Il nostro presidente Napolitano renderà omaggio al Milite Ignoto e farà visita al Pantheon, dov’è sepolto Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia e primo capo di stato italiano.
Città tricolore .
A Torino, prima capitale, si resterà in piazza Vittorio fino alla mezzanotte, per poi proseguire nei vari salotti. In ogni provincia piemontese si svolgeranno dei festeggiamenti.
A Milano resterà aperto il museo d’arte moderna ed altri musei e verranno organizzati eventi a tema intorno ai monumenti più rappresentativi del Risorgimento.
A Bergamo , assurta a “città dei mille” si stanno studiando concerti, mostre e proiezioni pubbliche.
A Roma sono previsti spettacoli, mostre e proiezioni. Al Gianicolo sarà inaugurato il Museo di Porta San Pancrazio, dedicato alla storia della Repubblica Romana. Al Vittoriano, Sacrario  delle bandiere, è previsto la mostra “Le battaglie per l’Italia”. Presso l’Archivio Centrale dello Stato si svolgerà, fino al prossimo novembre, la mostra “La macchina dello Stato”. Al palazzo delle Esposizioni si svolgerà, a cura della Banca d’Italia, la mostra “L’unificazione monetaria italiana”.

Buona  e lunga vita all’Italia!
maestrocastello

martedì 15 marzo 2011

Scene da un terremoto.

Terra e mare, in Giappone, hanno sconvolto gli equilibri di un già martoriato Paese che non era stato più messo alla prova così duramente  da quell’infausto agosto del ’45 ad Hiroshima e Nagasaki. I moderni mezzi d’informazione, se da un lato documentano  scene di distruzione e di morte; dall’altro sono la testimonianza della bontà e compostezza di questo popolo che si mostra ancora più unito e solidale proprio nella tragedia. Non possiamo capire cosa debba significare ritrovarsi in pochi minuti senza famiglia, senza casa, senza effetti personali, senza macchina, senza niente. Anche se lo vediamo in tv, l'estensione della cosa ci sfugge. Senza dubbio ne soffre maggiormente chi è più attaccato alle sue cose materiali. Ma in misura più o meno accentuata lo siamo tutti. Il sisma e lo tsunami hanno colpito tutti i giapponesi ed essi stanno facendo emergere una forte solidarietà nazionale pur nella difficoltà: razionamento della luce, del cibo, mancanza di coperte. Il terremoto ha distrutto le loro case, ma non i loro sentimenti. Tutti i superstiti, cristiani e non, ringraziano  per il dono della vita e per l’aiuto ricevuto. Nessuno si mostra adirato o incattivito. Abbiamo assistito alla furia distruttiva, in contemporanea, di terremoto e maremoto e siamo rimasti colpiti dalla compostezza di questa gente sempre calma, che indossa il caschetto protettivo e si mette ordinatamente in fila per fare provviste, anche in momenti di panico. La situazione è dura: non vi è acqua, gas, il cibo è poco e si ha solo un pasto al giorno. Eppure nessuno si lamenta, anzi i sopravvissuti sono i più solidali con chi è in difficoltà: tutti accettano di rimanere al buio e spengono luci, televisori e frigoriferi per solidarietà. Molta gente ha spento i riscaldamenti per non consumare elettricità e per sentirsi più vicini ai tanti sopravvissuti che non hanno nemmeno le coperte per la notte. Esercenti che hanno dato merce sulla parola, imprenditori che hanno tenuto chiuse le aziende per permettere ai dipendenti di cercare i familiari dispersi.
Insomma una bella lezione di come un popolo può essere unito e solidale, lezione a  tutto il mondo ed in particolare a noi italiani che ci apprestiamo a festeggiare l’anniversario di un’unità raggiunta solo a chiacchiere. Non voglio nemmeno pensare se il sisma fosse capitato dalle nostre parti, quello che sarebbe accaduto e quali sarebbero state le conseguenze. Certo, con le nostre strutture improntate all'abusivismo edilizio e in barba ad ogni elementare norma di sicurezza,  oggi avremmo un Paese letteralmente ridotto in macerie e con una popolazione decimata da milioni di morti. Dall’odierna tragedia  dobbiamo ripensare alla necessità non solo di mettere in sicurezza case, scuole e palazzi;ma anche di fare ordine nei nostri animi che devono essere più uniti e solidali. E in questo i giapponesi ci sono maestri.
Buona vita!
maestrocastello

domenica 13 marzo 2011

Faccia da mela!



L’ immagine suggestiva di queste “facce da mela” naturalmente nella realtà non esiste. E’ solo frutto dell’immaginazione di un bravo professionista del Photoshop. Suscita in noi qualche sorriso di meraviglia e non possiamo non apprezzarne l’originalità e la fantasia del suo  autore.  Questo moderno programma di edizione grafica, Photoshop appunto, dà la possibilità di creare, ritoccare e migliorare  qualsiasi immagine senza alcun  limite, se non quello  che  stabilisce la nostra immaginazione.Tempo addietro, mentre cazzeggiavo per il web, mi imbatto casualmente nella foto in bikini  di una ragazza, nella veste di portiere in un campo di calcio, intenta a parare chissà quali palloni, così poco vestita. Un fisico da paura: corpo sinuoso, pelle da lattante, colorito uniforme, labbra carnose e neppure una smagliatura. Nemmeno un difetto!  (mi son detto). Cerco il nome della gran gnocca, per sapere se trattavasi di modella o attrice e vado a scoprire che era una ragazza virtuale, un prodotto di pura fantasia; magari del medesimo autore delle “facce da mela”! Tante di queste foto circolano oggi su internet e che siano vere o finte, poco importa. Ormai non si capisce più qual è il confine tra  finzione e  realtà; anzi il reale serve da base di partenza per la costruzione di un mondo virtuale.  Oggi tutti con un programma di fotoritocco possono modificare le loro foto e la loro biografia per immagini, creando un’immagine gradevole di sé sia per lavorare nel mondo che conta, sia per farsi meglio accettare da amici e parenti, sia per proporla nei contatti dei social network mai incontrati dal vivo. E’ risaputo da tutti che le foto di gente famosa, prima di essere pubblicate su riviste di gossip e rotocalchi, vengono prima migliorate da professionisti del ramo. Che si facciano ritoccare persone dello spettacolo che hanno bisogno di presentare un’ immagine gradevole di sé come ingrediente essenziale per il proprio lavoro, lo possiamo capire; essi hanno tutto  l’interesse ad apparire sempre al meglio agli occhi dei loro fans. Quando lo fa la gente comune, se lo scopo è diverso dal farsi quattro risate, allora è necessaria una qualche riflessione. Dopo la cura del fotoritocco saranno anche lisce, sode e senza un'ombra sulla faccia tante ragazze; ma non appartengono più alla specie umana!  Con appena qualche clic compiono quell’opera, già iniziata con le chat, di impersonare qualcosa di molto diverso da se stesse, ma molto più vicino a quello che vorrebbero essere e che non saranno mai. Sappiamo bene che dietro ad una voce si nascondono spesso ragazzi che bellissimi non sono ed è in questo caso che si ricorre al ritocco.  D’altro canto nella società delle immagini conta ciò che si vede e poco importa che sia o meno reale. Il rischio sta nell’illusione di chi, per ragioni diverse (età che avanza, depressione o motivi contingenti) è in guerra con se stesso e pensa di risolvere i propri problemi, costruendo un’immagine perfetta di sè come ideale da perseguire a tutti i costi. Il confine dal fotoritocco alla chirurgia plastica è veramente sottile ed ecco perché vediamo sempre più spesso circolare ventenni con canotti al posto delle labbra. In un monologo "Accetta un consiglio" tratto dal film "The Big Kahuna” si dice: “Allo specchio non guardare sempre quelli che tu giudichi difetti: a cinquant’anni quando rivedrai le foto di oggi ti troverai meravigliosa. E per essere sicura scegli qualcuno che ti troverà incantevole anche quando avrai settant’anni” e ancora “Goditi potere e bellezza della tua gioventù. Non ci pensare. Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite”.                                                                            

Buona vita!                                                                                                                           
maestrocastello

mercoledì 9 marzo 2011

Garibaldi fu bruciato!



Il fatto In tante località del nord dell’Italia nei periodi che vanno dall’inizio dell’anno alla  Quaresima si celebra il processo e il rogo della "Vecia", manifestazione tradizionale della cultura popolare locale. Nel corso di una pubblica udienza, in cui è permesso prender di mira politici, amministratori e persone importanti, si celebra il processo alla "Vecia", colpevole di esser la causa di tutte le disgrazie della Comunità. Alla fine, solamente con la condanna al rogo di un fuoco purificatore, la Comunità si libera dalle avversità. Ora avviene che sabato 5 marzo, al posto della “vecia”, i vicentini di Schio hanno bruciato un fantoccio raffigurante Giuseppe Garibaldi che aveva appeso un cartello con la scritta:”l’eroe degli immondi”. L’episodio è accaduto davanti ad una discoteca  della cittadina, alla presenza di circa duecento persone, tra cui diversi uomini politici comunali, provinciali e regionali; tutti leghisti.                                                                                                                                                                                         
Le reazioniAlcuni esponenti del Carroccio minimizzano il gesto, ritenendolo  soltanto una goliardata che non va strumentalizzata. Altri, invece, come il presidente Patrik Riondato del “Movimento Veneti”, rincara la dose scrivendo che il rogo ” è solo una scintilla, dal 17 marzo aspettiamoci i fuochi d’artificio”. Il governatore Luca Zaia fa una tiepida condanna: “Mi ritengo venetista ma bruciare una sagoma è un segnale a cui stare attenti. Dietro a una figura ‘c’è una persona’, non bisogna minimizzare e trasmettere messaggi sbagliati ai giovani”. Altri lo ritengono giustamente un atto vergognoso e raccapricciante  a cui va data un’adeguata risposta che naturalmente non ci sarà mai (ci permettiamo di aggiungere noi).                                                                     
la riflessione : Niente da fare,  ai leghisti l’unità d’Italia non va proprio giù.  E non lo nascondono.  Ora se la prendono con Garibaldi descrivendolo un brigante, un bandito, uno stupratore, un ladro e un assassino. D’altronde sono leghisti. Cosa importa a questi campioni della storia “fai da te” che l’autorevole Times, all’indomani della sua morte, scrisse: “Fate scrivere la biografia di Garibaldi al suo peggior nemico e vi apparirà come il più sincero, il più disinteressato e il meno dubbioso degli uomini…” Ha ragione Gian Antonio Stella quando afferma che il fanatismo talebano ha raggiunto anche l’Italia, se possono accadere fatti come quelli dell’altra sera, grazie anche ad una giustizia ormai ridotta a zimbello. Le frasi razziste di Umberto Bossi le ho sempre considerate un paradosso e  ogni volta ne ritenevo responsabile il governante suo alleato che lasciava correre, perché convinto di poterlo controllare.  Le azioni irresponsabili come quella di Schio sono figlie di quei paradossi che abbiamo lasciato sempre correre. Ora è ormai troppo tardi. La riprova è che c’è ancora gran confusione sotto il cielo italiano alla vigilia del centocinquantenario, se il governo della maggioranza dei cittadini non è in grado di imporre a tutto il Paese  il 17 marzo come giorno di festa nazionale. La Lega lo ritiene un danno per l’economia o che non c’è nulla da festeggiare; che, anzi,  si può fare, purchè venga concesso ai padani  il 29 maggio per festeggiare la battaglia di Legnano. Ma cosa sta mai succedendo ai nostri governanti?  ” La nave è ormai in mano al cuoco di bordo e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta, ma quello che si mangerà domani”. Questo pensiero del  filosofo Kierkegaard sembra fotografare perfettamente la situazione di confusione della politica italiana. Invece di Viva l’Italia! Ci viene da dire: povera Italia!
Buona vita!
maestrocastello

lunedì 7 marzo 2011

Per le donne non può bastare solo l'8 marzo.

L’ otto di marzo è data troppo importante per essere dimenticata. Tante donne si sono stancate della solita pizza con le amiche, mentre un uomo in mutande fa lo strip apposta per loro e l’odore forte di mimosa ammorba il locale pieno come un uovo. Altri blog vi faranno la storia del perché l’otto marzo, mentre noi vogliamo ribadire soltanto cose già dette tante volte: l’aver istituito una giornata dedicata alla donna ci sembra riduttivo per la donna; se non sbaglio hanno istituito anche la “giornata del fungo porcino” e il 17 febbraio scorso è stata la “giornata dedicata al gatto”. Capite l’accostamento? Utilizziamo invece questo giorno per fare una seria riflessione: le conquiste delle donne sono passi avanti nel senso della civiltà e del vivere sciale che abbiamo fatto tutti insieme, uomini e donne e ce lo dobbiamo ricordare tutto l'anno. Le donne hanno fatto sì molte conquiste e il giorno che non dovranno conquistare più niente, staremo meglio tutti quanti. Per l’occasione ho voluto, di proposito, sostituire la mimosa con fiori di alta montagna, delle cime del Lavaredo, più preziosi perché meno accessibili ai più e poi hanno un colore accattivante. Ho voluto anche rendere omaggio alle donne con una dedica personale che è nata prendendo lo spunto da  un elenco sulle donne che lavorano, letto da Susanna Camusso (neosegretario CGIL) nella trasmissione “Vieni via con me” . L’ho rielaborata in forma di dedica mentre mi ronzava nella testa la bella poesia in musica “A te” di Jovanotti e l'ho appunto intitolata: "A te"..


A te!
A te, donna, essere invisibile che nel cuore della notte pulisci i luoghi dove lavoreranno soprattutto uomini. A te, che curi la vita e la morte e ti chiamano badante, prigioniera di un permesso di soggiorno. A te, che per trovar lavoro, sei costretta a nascondere titoli e specializzazioni. A te, che hai firmato  un foglio in bianco che previene la gravidanza. A te, che guardi la fabbrica e sai che il tuo lavoro si è trasferito in Serbia. A te, ricercatrice con biglietto aereo per un Paese straniero. A te, che nata al sud, puoi scegliere solo tra obbedire ed emigrare. A te, che lavi, stiri, cuci, fai da mangiare, pulisci il culo ai tuoi bambini e tanti pensano che non sia nemmeno un lavoro. A te, che eri impiegata, ma hanno tolto il tempo pieno a scuola. A te, che rispondi ad annunci e ti domandi: sarò abbastanza carina? Sarò abbastanza giovane? A te, che passi le ore a servire ad una cassa e pensi: ma oggi non era domenica? A te, che adesso puoi votare. A te, che hai conquistato le otto ore. A te, che hai inventato nuove professioni. A te, che dà fastidio sentirti definire “quota rosa”. A te, che hai conquistato il tempo del matrimonio, della maternità, dell’allattamento. A te, che hai conquistato il diritto di sentirti nel lavoro uguale all’uomo, pur restando differente. Felice il giorno in cui non dovrai conquistare niente di più, allora staranno meglio anche gli uomini.

Buona vita a tutte le donne!

maestrocastello.

sabato 5 marzo 2011

La cultura non si mangia.


Per secoli vecchiaia ha significato povertà, ma oggi il rischio di essere poveri sembra più legato all’essere giovani. I recenti dati sull’occupazione giovanile in Italia fanno spavento, parlano di un 29,4 percentuale, al pari di paesi quali Tunisia, Yemen e Marocco. Come mai i nostri ragazzi non riescono a trovare un’occupazione? Le spiegazioni sono molteplici e bisogna risalire a monte del problema. Nessuno vuole più imparare un mestiere e tanti genitori si ostinano a far studiare anche quei figli che sarebbero più adatti a guidare un trattore che a sfogliare un manuale di economia. A trent’anni non vai da nessuna parte se non hai completato gli studi ed è tardi anche per imparare un mestiere qualificato. I lavori manuali a bassa qualifica poi hanno subito la concorrenza delle manifatture dei paesi emergenti come anche della forza lavoro degli immigrati. Una volta potevi mirare al posto fisso attraverso conoscenze politiche, ma oggi non è più tempo del famoso “posto alle poste” e l’uomo politico tenta di sistemare solo propri familiari, col rischio di finire sulle prime pagine di tutti i giornali. Ma i giovani non sono tutti uguali, direte, ci sono anche moltissimi che studiano con merito. La situazione non cambia molto, almeno che non hai la fortuna e la voglia di finire nell’azienda di papà o non sei figlio d’arte: medico, farmacista o notaio. Le persone altamente formate in Italia si ritrovano un'offerta di lavoro scarsa, poco pagata e spesso precaria. Oggi anche quella élite di giovani con alta formazione e competenze superiori non incontra un sistema economico capace di inglobarli e di “metterli a valore” ed è costretta a partire. La conoscenza in Italia è considerata tutt’altro che un patrimonio, perché c’è la convinzione che “la cultura non si mangia”; mentre altrove sanno bene che le buone idee non sono colpi di fortuna, ma frutto di una riflessione, di investimenti, di sapere accumulato nel tempo. L’era della globalizzazione richiede un approccio più globale, sociale e meno chiuso, dove il termine innovare è un imperativo categorico se si vuol restare ancorati ad un mercato che richiede continuamente di fare cose in modo sempre nuovo e che ieri non si potevano fare. Il problema è che oggi in Italia non si innova praticamente più, visto che l’innovazione è un processo con alti costi. C’è spazio per chi innova, ma non c’è chi è interessato a promuovere lo sviluppo e l’adozione dell’innovazione. Anche le grandi aziende hanno smesso di innovare e il giovane è costretto ad agire in maniera singola, andando fuori dall’Italia. Purtroppo i nostri governi hanno fatto e fanno poco  per valorizzare chi ha investito sul proprio capitale cognitivo. I politici, per farsi belli, denunciano le anomalie, ma non propongono nulla in concreto. Mi vengono in mente alcune delle tante idee che si potrebbero adottare, come introdurre sgravi fiscali per aziende che assumono almeno con contratti a tempo giovani da impiegare nella ricerca e nel marketing, dare servizi gratuiti spendibili sul piano cognitivo (corsi di specializzazione, libri gratuiti,…), concedere  stage gratuiti per giovani meritevoli da impiegare con alta qualifica in aziende di Stato, inglobare l’iniquo canone rai in un’unica tassa che comprenda internet per tutte le case italiane. Lo so che stiamo parlando di un’isola che non c’è, mentre altrove sanno molto bene che da una conoscenza immateriale vengono fuori prodotti materiali che si possono vendere e aiutano a far soldi. Ecco perchè  la Apple fa miliardi con gli Ipod e noi no! Se i giovani non propongono novità ed alternative, non ci possiamo certo aspettare che lo facciano i vecchi; anche perché oggi possono confrontarsi più facilmente con il resto del mondo.
Buona vita!
maestrocastello

martedì 1 marzo 2011

Quale scuola? Quella privata o quella privata di tutto?

La scuola è luogo dove si fa formazione ed educazione mediante lo studio, l'acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della coscienza critica. Uno stato che vuole garantirsi un futuro di progresso investe solitamente nell’istruzione pur di dotarsi di menti all’altezza di guidare domani il Paese. La scuola italiana, complici tutti governi che si sono succeduti nel tempo, è divenuto un carrozzone da un milione e duecentomila dipendenti, più numeroso dell’intero esercito degli Stati Uniti d’America e quasi tutte le risorse a lei destinate vengono assorbite dalla voce stipendi. Nei decenni passati la nostra scuola pubblica ha avuto il merito di elevare il livello culturale degli italiani, allungando il tempo di obbligatorietà dello studio. Ha avuto il merito di veder ridotte le distanze fra cittadini, accogliendo i più svantaggiati e avviando un processo di democrazia scolastica che non è stato sempre recepito da famiglie e studenti. Ci hanno ormai abituati all’idea che quando c’è crisi la prima a pagare è la scuola. Le ultime finanziarie della gestione Tremonti  e la riforma Gelmini confermano questa tesi. Negli ultimi anni è stato messo in atto un’opera di vero e proprio smontaggio della scuola pubblica:  tagliati gran parte dei finanziamenti alle scuole pubbliche, assottigliato spaventosamente il numero delle cattedre normali e di sostegno, operato il tentativo di cancellare il tempo pieno ai figli dei lavoratori. La riprova di questo disegno sottotraccia si è avuta  quando siamo venuti  a sapere che  lo stato usava la mano corta con la scuola pubblica e  concedeva  invece ben 245 milioni di euro alla scuola privata per l’anno 2011. Mi chiedo, se il governo non ha a disposizione fondi per la scuola e lascia senza lavoro 140 mila insegnanti pubblici, come mai riesce a reperire tutti questi fondi da destinare al sistema istruttivo privato? E’ legittimo garantire libertà di scelta educativa alle famiglie italiane finanziando anche le scuole private,  ma ciò non deve avvenire minando alla base l’istruzione pubblica. Ricordiamoci che una scuola privata è e resta alla portata di pochi e non deve togliere il diritto alla maggioranza dei cittadini  di avere una scuola pubblica di alto livello. Don Lorenzo Milani diceva che “fare parti uguali fra disuguali è una grave ingiustizia”. Ma senza entrare nel merito dei vari provvedimenti adottati, le cose che hanno fatto più male sono  state: l’aver deciso una legge così importante senza sentire il parere di tutti, a colpi di voti di fiducia e  tutto il discredito che è stato gettato sugli operatori della scuola italiana e sugli studenti che protestavano, solo per giustificare le tante operazioni di chirurgia governativa e proprio da parte del ministro di riferimento. Infine fa rabbia ascoltare le parole di un capo del governo che dovrebbe rappresentare tutti e invece domenica si  scaglia contro la scuola pubblica, rivendicando la libertà di iscrivere i figli in altri istituti, visto che in quelli di Stato  «gli insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie». Incredibile! Vede comunisti dappertutto!:  tra i giudici, tra gli insegnanti e perfino tra gli arbitri di calcio, alla vigilia di incontri importanti per la sua squadra del cuore! Sarà forse colpa delle punture di papaverina che lo rendono così virile, ma gli impediscono di fare la pipì all’interno del vaso. Quando si metterà in testa che lo Stato non è una sua azienda e che appartiene a tutti, pure a quelli che non votano per lui? Hanno protestato le opposizioni, lo hanno fatto più educatamente i sindacati e perfino la Chiesa ha riconosciuto il servizio fondamentale che gli educatori rendono al Paese, chiedendone  maggiore rispetto.  Vi chiederete il motivo di tutto questo astio. E’ semplice: la scuola pubblica resta ancora zona franca e i suoi insegnanti si ostinano a non voler ragionare con la testa del capo.

Buona vita!
maestrocastello