domenica 25 luglio 2010

Ciao, guerriero!


Quando scompare un personaggio dello spettacolo dispiace ogni volta, specie se ha accompagnato vari momenti della nostra vita e pare, a volte, che se ne sia andato un amico; uno che ci ha tenuto compagnia, ci ha fatto ridere e ci ha fato piangere; uno che insomma ci ha trasmesso emozioni. Recentemente la morte ha fatto irruzione nella vita di Pietro Taricone, strrappandolo all’affetto dei suoi cari ed aveva solo 35 anni. A distanza di alcune settimane ancora non si sono spente le luci su questo lutto inaspettato e la gente continua a lasciare messaggi di affetto sia sul luogo dell’incidente, sulla sua tomba ed in rete: facebook e quant’altro. Pietro era uno che la vita se la rischiava, se la godeva fino in fondo. Era una persona vera e non un personaggio costruito. La gente lo piange perché si identifica in lui, uno che ce l’aveva fatta senza raccomandazioni, che dopo aver avuto l’opportunità di una rapida fama, aveva avuto l’intelligenza di eclissarsi per studiare i personaggi che avrebbe interpretato, con grande successo. Pietro non recitava, ma interpretava se stesso. La sua non era una maschera, ma la faccia che indossava ogni mattina: vero il sorriso, veri i suoi vezzi, vero l’intercalare campano-abbruzzese. “Pietro era uno con le palle” - dice di lui Marina La Rosa, sua compagna nel Grande Fratello e sua amica fuori dagli schermi – “Tutti quelli che conoscevano Pietro rimanevano affascinati dal suo modo di essere. Aveva un entusiasmo travolgente, che riusciva in qualche modo a trasmettere a chiunque lo avvicinasse. Si buttava anima e corpo in ogni cosa, era curioso, affamato di tutto. Era sempre a correre dietro a mille cose, Pietro. Era la persona più viva che io abbia mai conosciuto”. Con Taricone è venuto a mancare uno di noi, uno col sorriso buono e gli occhi belli che si stava godendo la vita con l’adrenalina alle stelle. Questo ragazzo di provincia rappresentava lo stimolo per tanti che ce la vogliono fare con i propri mezzi, senza montarsi la testa, senza vendersi a nessuno, senza barattare il proprio successo. Era rimasto il ragazzo semplice di sempre che tornava a tagliarsi i capelli dal suo barbiere-amico di Caserta, che appena poteva tornava a farsi la partita a carte e due chiacchiere con gli amici di sempre. Quando partiva una sua intervista, lo vedvi scalpitare sulla sedia come un cavallo ai nastri di partenza, il sorriso illuminava le parole che gli uscivano a mitraglia dalla bocca e, con naturale simpatia, diceva verità senza offendere nessuno. La morte è giunta senza preavviso a strappare un buon figlio, un buon padre, un buon compagno, un buon amico per tanti. Pietro Taricone è la risposta per tutti quei ragazzi di provincia che sognano di dare una svolta alla propria vita, senza montarsi la testa. Dimostra che è possibile farcela con le armi della caparbietà, semplicità, la simpatia, l’applicazione e lo studio assiduo; senza raccomandazioni e senza compromessi. La sua è la dimostrazione che quando si arriva in cima al successo, è possibile restare semplici ed esprimersi senza paura, vivendo la vita senza fare calcoli. Ciao, guerriero!

lunedì 12 luglio 2010

Capire le ragioni degli altri.


L’avaro del paese cadde nelle acque del lago.
"Aiuto! Aiuto! Non so nuotare", gridava a squarciagola annaspando nell’acqua.
I paesani accorsero a salvarlo.

Uno gli urlò: "Dammi il braccio, che ti tiro fuori!".
Un altro gridò: "Dammi la mano, che ti salvo!".
Un altro gridò: "Dammi il dito, che ti afferro!".

Ma l’avaro non dava proprio un bel nulla: né braccio, né mano, né dito.
E veniva sempre più inghiottito dalle acque.

Allora un altro gli disse: "Prendi la mia mano, che ti porto in salvo".
Immediatamente l’avaro afferrò la mano dell’uomo. E così fu salvato.
Morale:
"Il saggio parla secondo la capacità di comprensione dell'uomo che vuole portare in salvo".
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Per la riflessione.
La comunicazione è dialogo e senza dialogo la società non funziona. Solo attraverso il dialogo ci può essere un confronto con gli altri e l’uomo ha estremo bisogno di dialogo e di confrontotarsi con i suoi simili per potenziare il suo essere. Attraverso il dialogo si possono comunicare le proprie opinioni, ma soprattutto si ha la possibilità di capire la ragione degli altri e questo dovrebbe essere una ragione di vita. Solo una persona ottusa può pensare di essere sempre nella ragione, bastevole a se stessa e poter fare a meno di tutti gli altri. Non bisogna considerare il nostro interlocutore come un amico quando la pensa esattamente come noi e vederlo come un nemico quando esprime idee diverse dalle nostre. Se la pensassimo tutti allo stesso modo, il mondo non sarebbe piatto? Invece solo in una situazione in cui c’è una diversità di vedute può esservi crescita. Le leggi della fisica ci insegnano infatti che da poli opposti scaturisce la corrente elettrica che illumina la nostra casa. Certo che in un mondo individualista come il nostro non sembra possibile quel libero slancio d’amore che rende l’uomo capace di limitare il proprio essere per esaltare l’altro! Questo è capire le ragioni degli altri; altrimenti l’avaro dell’adagio lo faremmo affogare mille volte. Voi direte:"Ma io non condivido gli avari!" - Benissimo, ma non per questo lo lascio affogare! Sto salvando l'uomo non l'avaro che è dentro di lui; e per trarlo in salvo utilizzerò le armi più congeniali per lui: fargli credere che ci sta guadagnando qualcosa. E' un pò come facciamo coi bambini: mettiamo in atto mille raggiri, pur di riuscire a fargli mangiare quella pietanza sgradita che è necessaria alla sua crescita. E' tutta una questione di slanci d'amore che ritengo siano decisamente possibili, quegli atti di altruismo che induconoo a dire all’altro:”Prendi la mia mano che ti porto in salvo!”. Anche se poi ad uno slancio d’amore, seguono dieci nostri momenti di completo egoismo. Tutto sta nel ridurre i margini del nostro egoismo, pensando che aiutando un altro, stiamo anche aiutando noi stesssi.
Buona vita!
maestrocastello.

martedì 6 luglio 2010

Impara l’arte e mettila da parte.


Tutti laureati e nessuno che sappia attaccare uno specchio, collegare una presa di corrente o riparare un rubinetto. Imparare un mestiere è diventato oggi un vero investimento per il futuro dei nostri ragazzi. E’ vero che cambiano i tempi e tanti antichi mestieri hanno ceduto il posto ad altri più di moda; ma anche quelli classici non li impara più nessuno. Provate a cercare in questo periodo un idraulico nella vostra zona, un falegname o un muratore e vedrete che i tempi di attesa sono gli stessi di chi prenota una risonanza magnetica nella struttura pubblica. Una volta, finita la scuola dell’obbligo, i genitori ti accompagnavano dall’artigiano ad imparare un mestiere e dicevano al titolare:”Ti deve rubare il mestiere!” I mastri artigiani, sia essi fabbri, falegnami o calzolai erano attorniati da frotte di giovani desiderosi di imparare l’arte del maestro; ma passavano anni a rassettare gratis botteghe artigiane prima di essere iniziati ad eseguire lavori veri e propri. I maestri erano spesso gelosi ed insegnavano solo agli allievi più capaci tutti i trucchi del mestiere. Quando avevi capacità sufficienti, potevi restare a bottega e ricevere una paga regolare o aprire una tua attività indipendente. La paga artigiana, fino alla soglia degli anni sessanta, era una vera miseria. Mio padre stesso che era un apprezzato mastro muratore, seguito da decine di apprendisti, riusciva, a fatica, a mandare avanti la nostra numerosa famiglia. Oggi un idraulico avviato guadagna più di un chirurgo di fama. Quando il boom economico ha strappato alla terra tanti contadini, richiamato tanti promettenti elettricisti, fabbri, falegnami e calzolai verso la grande industria del Nord; è iniziata la lenta agonia per tanti mestieri che hanno segnato le tappe dell’infanzia a noi ragazzi di allora. Mi ricordo che mi portavano a fare il taglio di capelli dal barbiere Pasqualino che mi procurava fastidiose scottature col fon, proprio dove i preti hanno la chierica. Il calzolaio Rocco Capaldo era il più rinomato del paese e per il suo italiano perfetto e per la bravura degli allievi che superavano il maestro. Ricordo il sellaio, lo stagnaro, l’ombrellaio; ma quello che mi affascinava tanto era l’impagliatore di sedie, stavo ore intere ad osservarlo. Il mio paesino di montagna allora pullulava di botteghe artigiane di ogni tipo, di “mastri” uno più bravo dell’altro e tutti adeguati alle tasche di quel tempo. I più pittoreschi erano i fornai, quando i forni andavano a paglia. Facevano ripetuti viaggi con i carri, fino al campo sportivo, dove prelevavano coi forconi tanta di quella paglia che avvolgevano nei teloni e la trasportavano ai rispettivi forni. Tra un viaggio e l’altro, facevano tappa fissa nell’unica mescita di vino del paese e tanto bastava per farli passare per autentici ubriaconi. Oggi i maestri artigiani si lamentano che nessuno vuole imparare mestieri che finiranno per scomparire. Per rifare i tacchi si preferisce andare nei centri commerciali, dove sei servito da ciabattini improvvisati che si limitano ad incollare e ti liquidano in un batter d’occhio. Non sarebbe il caso di indirizzare i giovani verso mestieri che garantirebbero loro un futuro certo; invece di obbligarli a studi verso cui non sono tagliati? Tanti si sentirebbero maggiormente gratificati e le università non sarebbero gremite di “fuoricorso” che non si laureeranno mai.
Buona vita!
maestrocastello.