domenica 30 maggio 2010

Nathan Falco non è più sereno!


Come se non bastassero gli avvenimenti contrari capitati di recente: le borse in picchiata continua, il vulcano che mette in ginocchio il traffico aereo di mezzo mondo, la piattaforma petrolifera che sta avvelenando il golfo del Messico, le migliaia di famiglie in serie difficoltà economiche, i tanti giovani senza un lavoro, uomini e donne senza prospettive o certezze del futuro; e non ti va a capitare quello che non ti saresti mai aspettato? Ci pensate, il piccolo Nathan Falco, unico rampollo della coppia Gregoraci-Briatore non è più sereno! Non esistono ormai più certezze. Nato in una clinica privata di Nizza e vissuto in un panfilo dotato di ogni cofort, Nathan Falco era da giorni in attesa di trasferirsi nella nuova villa di Montecarlo; quando la sua vita è stata letteralmente sconvolta dall’arrivo chiassoso di impudenti finanzieri ed ora gli viene impedito di riposare nel megayacht paterno che è messo sotto sequestro, per futili questioni tributarie. I figli dei vip, anche se hanno appena due mesi, riconoscono benissimo il rumore assordante che fanno le sirene spiegate della Finanza e poi ci meravigliamo se non ne vogliono più sapere del latte materno. Pensate che scandalo. Poi ti chiedi perchè i traumi subiti da picccolo te li trascini per tutta la vita! Nathan, o meglio, Nathan Falco, in tutto quel trambusto di gente; ormai non ha più pace, poverino : nurse, domestiche, cuochi, uomini di mare, guardie del corpo, guardie di finanza. Che confusione! Roba da far perdere il latte alla sua giovane mamma! Sicuramente il piccolino invidierà i milioni di altri bambini che dormono tranquilli in stanzette di case magari popolari, dentro culle che magari sono state prima di altri fratelli, accuditi da madri distrutte, perché magari di giorno puliscono le scale di interi stabili, raramente coccolati da padri che magari vanno al lavoro quando essi dormono ancora e, a sera, tornano stanchi quando loro già dormono; magari per mille e trecento euro al mese. Come cambiano i tempi: una volta per levare il latte materno ad un bimbo, bastava strofinare sul capezzolo della mamma dell’aglio o altra sostanza sgradevole; oggi serve addirittura l’arrivo della Guardia di Finanza. E’ proprio vero: oramai non c’è più religione! Mi chiedo, dove andremo a finire.
Post Scriptum: Proponiamo di devolvere l’8 X 1000 alla Fondazione Natan Falco, che opera a favore dei Bimbi Vip Disagiati; onde ridare loro ed ai ricchi genitori la serenità perduta.
Buona vita!
maestrocastello.

mercoledì 26 maggio 2010

E io pago!


In quest’ ultimo scorcio di maggio che proprio non ne vuol proprio sapere di volgere al bello, si delinea un futuro economico davvero difficile per noi italiani, fatto di sacrifici parecchio pesanti, parecchio duri. Chissà se ha capito come stanno le cose anche l’Italia del pallone, quella frastornata da coppe dei campioni, che si pone il dilemma su chi vincerà i mondiali di giugno o su chi allenerà l’Inter la prossima stagione . Qualcuno si sarà chiesto come mai nei mesi scorsi predicavano che tutto andava bene, che da noi la crisi era sotto controllo e chi diceva il contrario, era un catastrofista, uno solo buono a remare contro il “governo del fare”, il "partito dell'amore" (a pagamento, aggiungiamo noi). Come mai il leader carismatico, l’uomo dell’immagine, quello che buca lo schermo questa volta non ci ha messo la propria faccia, proprio come fanno i bravi capitani? Invece ha mandato sul video un compassato braccio-destro a paventare possibili sciagure. Troppo comodo spendersi solo quando c’è da mostrare la parte buona delle cose o andare per ben 32 volte in pellegrinaggio elettorale tra i terremotati dell’Aquila, a far battute idiote ai figli dei terremotati, mentre consegna le chiavi dei prefrabbricati ai loro genitori. Non è ancora delineata la manovra da 25 miliardi, ma la gente un’idea se l’è bell’e fatta: congelare gli stipendi degli statali, bloccare le pensioni, tagliare i finanziamenti alla scuola pubblica, sanità pubblica e servizi; insomma paga sempre Pantalone! Gli altri annunci di Tremonti, come la sanatoria sulle case fantasma, dimezzare i soldi ai partiti, tagli ai politici per la cassa integrazione, tetto agli alti stipendi degli statali; sembrano solo paliativi; un modo per gettare fumo negli occhi della gente. Questi sacrifici sono necessari per non rischiare la fine della Grecia, dicono. La cosa che ci accomuna alla Grecia è l’evasione legata alla corruzione: le due cose infatti si nutrono l’una dell’altra. La differenza però è che l’Italia è una potenza industriale, la Grecia no. Con una lotta seria all’evasione fiscale, far pagare tutte le tasse anche a chi non ha ritenuta alla fonte, cioè lavoratori autonomi e professionisti; si risolverebbe gran parte del problema e non si spremerebbero sempre quelli a reddito fisso, quelli che che pagano anche per i furbi. Perchè non si tagliano le spese militari? In Italia, a fronte di un budget militare nazionale del 1,8%, il costo per i cittadini è molto alto: 689 dollari pro-capite, una delle maggiori aliquote al mondo che, per il quinto anno consecutivo, supera di gran lunga quella della Germania (568 dollari) e di altri paesi del G8 come Russia (413 dollari) e Giappone (361 dollari). La pubblica amministrazione è sfasciata: fatta di enti che si ripetono del tutto inutili e che nessuno è riuscito a sopprimere. Ci costano un mare di soldi e producono un mare di inefficienze; non sarebbe il caso di sopprimerne qualcuno? Si parla tanto di taglio agli stipendi ai politici, è solo propaganda politica, una proposta vecchia che non si è mai materializzata. E’ giusto che un presidente di regione guadagni più del presidente degli Stati uniti? E la Rai che piange miseria, perché elargisce tutti quei milioni a giornalisti ciarlatani che, invece di stare a servizio di chi paga un canone forzoso, ubbidiscono solo al padrone di turno? E mentre si prospetta un periodo nero per gran parte di noi, si rispolvera la proposta di spostare l’inizio dell’anno scolastico al 30 settembre, per incentivare il turismo, dicono. Con questi chiari di luna, qualcuno pensa che le famiglie italiane abbiano ancora risorse economiche per lasciare i figli al bivacco per altri 30 giorni su spiagge o in centri turistici? Ma dove vivono i nostri politici? Le milioni di famiglie che vivono con mille, milleduecento euro al mese non tutte hanno lo yacht di Briatore che ciondola sul mare della Costa Smeralda. Sopravviveremo a questo scempio? Ne abbiamo passate di peggio!
Buona vita!
Maestrocastello.

lunedì 24 maggio 2010

Professori dietro la lavagna.


Beh, c’è scuola e scuola … c’è quella dove ti insegnano ad esprimerti correttamente senza far uso del turpiloquio per essere ascoltati, ti insegnano a ragionare, argomentare, difendere il tuo punto di vista senza demolire quello degli altri, ti insegnano che “gli” si usa al singolare e “loro” al plurale. C’è pure quella dove t’insegnano soprattutto che avresti diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per le tue idee, qualunque esse siano.Poi ti arriva una circolare intimidatoria di un alto dirigente ministeriale che mette il bavaglio agli insegnanti che parlano con la stampa o dissentono dalle linee del governo. Se non si “ubbidisce” via alle sanzioni disciplinari. È proprio quello che accade in questi giorni in Emilia-Romagna, dove il dirigente dell’Ufficio scolastico regionale Marcello Limina invia ai presidi una circolare «riservata» in cui manifesta la volontà di porre uno stop a «dichiarazioni rese da personale della scuola con le quali si esprimono posizioni critiche, con toni talvolta esasperati e denigratori dell’immagine dell’amministrazione di cui lo stesso personale fa parte”. “toni che – prosegue la nota – vengono inviati sotto forma di documenti ad autorità politiche, fatti circolare a scuola o distribuiti alle famiglie. Nella circolare Limina “invita” quindi ad «astenersi da dichiarazioni o enunciazioni che in qualche modo possano ledere l’immagine dell’Amministrazione pubblica”. Fatto grave che una tale iniziativa sia appoggiata da un ministro della Repubblica: "E’ lecito avere qualsiasi opinione ed esprimerla nei luoghi deputati al confronto e al dibattito", dice la Gelmini che non vieta ai docenti di esprimersi, ma che lo facciano da eletti: "chi desidera fare politica, si candidi alle elezioni e non strumentalizzi le istituzioni". Per la Gelmini solo da parlamentare un insegnante può dunque criticare il suo operato; nella sua funzione, invece, non può esprimere il suo pensiero. Ciò è inaccettabile! Ma alla Gelmini cosa hanno insegnato alla sua scuola? Lo sa che nella Costituzione vigono ancora gli articoli 3, 21 e 33, in materia liberta di pensiero e di parola dei cittadini? Lo sa che un insegnante è innanzitutto un cittadino? Non ci sembra un caso che si vogliano apertamente imbavagliare gli insegnanti nello stesso momento in cui si sta cerando di ostacolare il lavoro della magistratura e imbavagliare l’informazione con la legge contro le intercettazioni telefoniche. Non è un caso che in Rai siano sparite brave giornaliste come la Busi e la Ferrario che non sono allineate col direttore di rete, che avvengano manovre per cancellare trasmissioni scomode come "Anno Zero", che un capo del governo dica: “In Italia di libertà di stampa c’è n’è anche troppa”; salvo classificarla tutta “comunista”. Insomma, siamo al classico clima da regime autoritario. Ma cosa c’è che non si possa dire? Dice Raoul Vaneigem: “Niente è sacro, tutto si può dire . Non c'e' un uso buono o cattivo della liberta' di espressione. C'e' solo un uso insufficiente": Il suo è un attacco all'ipocrisia di una societa' che, non riuscendo a rimuoverne le cause, preferisce nascondere il male a se stessa.
Se ci pensiamo, l’unica vera libertà che ci appartiene come diritto naturale, e che definisce il nostro orizzonte nel mondo, è la libertà di esprimerci: è cioè la libertà di pensiero, di stampa, di coscienza, di religione, di ricerca scientifica...
Tutte le nostre attività, che sia scrivere una canzone o andare in chiesa, votare alle elezioni o comprare un giornale, cambiare canale o scegliere una compagnia telefonica, hanno a che fare, in un modo o nell’altro, con la libertà di espressione. Quando ci mettono un bavaglio, questo diritto lo stiamo delegando ad altri che, anche se democraticamente eletti, compiono un furto ai nostri danni.
La libertà di poter dire la nostra è bene prezioso, non lasciamocelo portar via.
Buona vita!
maestrocastello.

venerdì 21 maggio 2010

Cervelli dentro un cassonetto.


Ai primi degli anni sessanta ero appena un ragazzo e ricordo bene che in casa non si buttava quasi nulla: gli avanzi di cibo finivano al gatto domestico o al cane randagio, nella scatola vuota di scarpe trovavano posto lettere e cartoline di famiglia e una grossa buatta, appena vuotata, ospitava una pianta di rigoglioso oleandro da ostentare sul limitare di casa. Quando venni in città, c’era il mondezzaio di zona che passava casa per casa; ma era sempre poco quello che gli consegnavi oltre alla mancia. Poi venne il consumismo e sua eminenza la plastica che ha soppiantato vetro e cartone e ci ha cambiato lo stile di vita, intrufolandosi perfino nel nostro organismo, per rimpiazzare pezzi di organi anche vitali dell’uomo. Se ci fate caso, il bidone della plastica è quello che si riempie per primo: acqua, carne, uova, formaggi, elettrodomestici sono tutti avvolti nella plastica e i suoi derivati. Ma che fine fanno questi materiali di scarto? Ormai tutti i comuni si sono dotati di cassonetti che troneggiano, simili a totem, lungo le strade italiane . Anche se certi imbecilli, gitanti della domenica, abbandonano di tutto e direttamente dove si trovano, trascurando il dettaglio che se butti un pezzo di mela, quella diventa concime per il terreno; ma se abbandoni una bottiglia di plastica, la ritroverai l’anno successivo nello stesso posto e ancora intatta. I cervelli di questi soggetti li destinerei, sì volentieri, ai cassonetti; anche se avrei poi la difficoltà di scegliere quello giusto, per paura che vengano riciclati. Per distruggere un sacchetto di plastica la natura impiega mille anni, 450 per un pannolino, 50 per una lattina e cinque per una gomma da masticare. Lo smaltimento dei rifiuti è un problema serio dell’uomo moderno che spesso non viene affrontato seriamente. Abbiamo tutti a mente la mondezza di Napoli? Quando si combinano insieme due elementi: l’incuria della politica e il tornaconto della malavita; allora il quadro è completo. La verità è che la mondezza è sì sparita dalle strade, ma non si sa bene che fine abbia fatto. Ci hanno insegnato a differenziare la raccolta dei rifiuti, ma non sappiamo bene cosa, in realtà, avvenga oltre il cassonetto sotto casa. La via più semplice, ma più costosa in termini di spesa e di inquinamento dell’aria è l’inceneritore che, giustamente nessuno vuole, se non il privato che ne trae profitto o il politico che ne ha calcolato la mazzetta. Molta gente, esposta ad un altissimo tasso di inquinamento da ignoranza e disinformazione, fa discorsi tipo: “I rifiuti o li bruci o li sotterri, che ci fai?” … “L’inceneritore ha i filtri” … “produce energia e acqua calda” … “Io sono favorevole. Sennò che ci fai?” … “i soliti no a tutto?”. I rifiuti non vanno inceneriti perchè liberano sostanze nocive che hanno un impatto negativo su aria, acqua, suolo, vegetazione e
salute pubblica. Nelle zone di Colleferro o di Taranto ne sanno qualcosa: le malattie tumorali sono sempre più frequenti in questi ultimi anni. Lo so che incenerire rappresenta un affare; ma non è quella la strada.
Esistono diversi sistemi alternativi di smaltire senza inquinare, basterebbe solo la volontà politicà di adottarne qualcuno, senza badare a convenienze di parte.
Il metodo ArrowBio, ad esempio, che smaltisce rifiuti anche se non differenziati ed il metodo Thor che inquina poco più dell'ArrowBio; ma sempre in percentuale ridotta.
Ma noi, che esterofili non siamo, vi segnaliamo che in Italia e precisamente a Vedelago, nel trevigiano; abbiamo il miglior progetto pilota di trattamento rifiuti a freddo con impatto zero e recupero di materia di tutta Europa; il progetto è ideato e condotto dalla imprenditrice Carla Poli. E’ un esempio di imprenditoria privata che lavora per l’ambiente, crea posti di lavoro e fornisce le materie prime per aziende seconde. E’ dura capire l’assurdità di ciò che stiamo per vivere. Vedelago ricicla, consuma meno acqua di un inceneritore, non utilizza carbone, non emette diossina, fa sparire le discariche, recupera il 99% di materia e costa 40 volte meno di un inceneritore dato ad un privato con soldi pubblici.

Nota bene :
INCENERITORE= COSTA 180 MILIONI DI €, INQUINA CON DIOSSINA E NANOPARTICELLE DI PM INFERIORE A 2,5, OFFRE LAVORO A CIRCA 10 PERSONE .

TRATTAMENTO BIOLOGICO= COSTA MENO DI 10 MILIONI DI €, NON INQUINA IN ALCUN MODO, RICICLA MATERIE PRIME CHE POSSONO ESSERE RIVENDUTE ALLE INDUSTRIE, OFFRE LAVORO A CIRCA 50 PERSONE

Pensiero finale :

Intanto sarebbe già buona cosa ridurre i tanti sprechi, limitando i consumi : come comprare ad esempio 500000 bottiglie di plastica l'anno, stare sempre in macchina pure di notte, vivere in case di 200 mq, che se non andiamo in vacanza è un dramma, dover essere sempre trendy con i vestiti all'ultima moda. Cominciamo col considerare i rifiuti dei materiali che possono creare lavoro e ricchezza e non aspettiamoci sempre dagli altri ciò che possiamo fare noi stessi.
P:S: guardate il video che è interessante e andrebbe mandato ai tutti i sindaci italiani!
Buona vita!
Maestrocastello.

mercoledì 19 maggio 2010

Cosa lasceremo ai figli oltre il cognome?


LA RICONOSCENZA.
Era vicino l’inizio della stagione dei monsoni e un uomo assai vecchio scavava buchi nel suo giardino.
“Che cosa stai facendo?”, gli chiese il vicino.
“Pianto alberi di mango”, egli rispose.
“Pensi di riuscire a mangiarne i frutti?”
“No, io non vivrò abbastanza a lungo, ma gli altri si.
L’altro giorno ho pensato che per tutta la vita ho gustato manghi piantati da altri.
Questo è il mio modo di dimostrare loro la mia riconoscenza”.
(L’Albero Sacro)

Per la riflessione.

Piantare un albero è un atto di fiducia nei confronti del futuro e delle nuove generazioni: ed è per questo che i nostri nonni piantavano un albero per ogni nuovo nato in famiglia. Educare un bambino è come piantare un germoglio perchè domani diventi un albero. L’atteggiamento del vecchio che piantava manghi e del suo vicino rispecchiano due diverse filosofie di vita, due modi di atteggiarsi nei confronti del futuro. Il vecchio non ha perso la memoria di quel che già aveva visto fare da ragazzo, quando altri piantavano alberi di cui lui solo ne avrebbe mangiato i frutti. Ora il suo gesto è un atto di fede nella vita che prosegue senza di lui, un segno di riconoscenza verso tutti quei piantatori di mango sconosciuti del passato. Tanti si comportano, invece, come il vicino che è preoccupato dal fatto che lui stesso non ne potrà mangiare. E’ l’atteggiamento di quelli che hanno perso memoria del proprio passato, che si affannano tutta una vita per assicurarsi un’agiata vecchiaia che, forse, non vedranno mai. Questi individui, impegnati come sono a capitalizzare al massimo il loro tempo, non ne hanno mai potuto dedicato ai figli, delegando la loro educazione magari alla televisione che racconta spesso false verità che creano poi illusioni e frustrazioni. Cosa racconteranno questi individui ai loro figli? Cosa lasceranno loro in eredità? Una società come la nostra, compressa a tutto tondo nel dover vivere il presente "mordi e fuggi", senza alcuna probabilità di un domani, rischia di non farci più riflettere sul futuro dei nostri figli. C’è stata un’epoca, neppure troppo remota, in cui tutte le energie di una famiglia erano tese alla costruzione in ogni senso. Costruzione comune di uno status, di case, di risparmi, di storia familiare. Ma pian piano l’immagine della famiglia che accudisce, protegge e fonda radici, ha dovuto cedere il passo a valori legati ai beni di consumo. Ad una visione dell’esistenza, fondata più sull’attimo presente che sul futuro. Di questo passo lasceremo proprio poco ai nostri figli, oltre al cognome, ovviamente. Forse abbiamo bisogno di più vecchi che piantano mango nei loro giardini, perché se ne possano raccogliere i frutti ancora in un prossimo domani.
Buona vita!
Maestrocastello.

martedì 18 maggio 2010

Il rovescio della Calabria.


Se percorrete la litoranea della costa ionica, a sud di Soverato, incrocerete un trenino da Far West che sfreccia (si fa per dire) tra stazioni balneari senza fascino, composte di agglomerati di case senza senso; spesso carenti di tutti quei confort che cerca un turista vacanziero. In corrispondenza di detti centri di vacanza, ci sono paesi collinari pittoreschi che prendono lo stesso nome dei centri balneari e ne costituiscono la parte vecchia del paese: Riace, Caulonia, Stignano, Badolato che sono detti “paesi di accoglienza". I vecchi centri sono pressochè svuotati di persone che hanno scelto di spostarsi al mare o sono emigrati in cerca di un lavoro più sicuro. La storia ha inizio nel 1998, quando una nave carica di 300 profughi è spinta dalle correnti al largo di Riace. Questi profughi, bisognava sfamarli, ospitarli d’urgenza nelle chiese o altri luoghi con l’aiuto della Croce Rossa. Erano soprattutto Curdi minacciati nel loro paese. In uno slancio spontaneo, i giovani del posto pensarono di aprire le case abbandonate dagli emigranti a questi nuovi migranti. Da quella iniziale gara di solidarietà è nato un vero progetto di accoglienza e reinsediamento dei rifugiati che richiedono asilo politico ed è stata anche l’occasione per salvare quei borghi dall’abbandono più totale. Proprio a Riace, la città dei bronzi, nasce l’associazione “Città futura Riace G. Puglisi” che dal 1998 sperimenta un modo nuovo di fare accoglienza agli immigrati, coinvolgendo tanti altri comuni limitrofi nel medesimo progetto. L’associazione non si limita a fornire gli alloggi: ha creato laboratori per insegnare le antiche tradizioni del paese: dalla lavorazione della ginestra al ricamo, dalla tessitura di filati all’arte antica di impagliare sedie; oltre ad una taverna ristorante dove piatti della cucina tipica calabrese convivono con pietanze etniche. Hanno intuito che il lavoro come terapia semplifica l’integrazione di persone spesso traumatizzate. Questo modo di fare accoglienza ha rilanciato ed aumentato l’offerta turistica di quei paesi, creando un indotto importante, in un contesto debole come quello calabrese. Riace è recentemente salita alla ribalta delle cronache nazionali anche grazie al noto regista tedesco Win Wenders che ha girato un cortometraggio, “il volo”, proprio su questa esperienza riacese, con attori che sono il sindaco e i bambini immigrati. Wenders ne ha parlato in modo entusiastico all’interno del X summit dei Premi Nobel per la pace, organizzato nel Municipio Rosso di Berlino, in occasione delle celebrazioni per il ventennale della caduta del muro dicendo: "La vera utopia non e' la caduta del muro, ma quello che e' stato realizzato in alcun paesi della Calabria, Riace in testa. Il vero miracolo non è qui, ma in Calabria, dove per la prima volta ho davvero visto un mondo migliore. Ho visto un paese capace di risolvere, attraverso l’accoglienza, non tanto il problema dei rifugiati, ma il proprio problema: quello di continuare a esistere, di non morire a causa dello spopolamento e dell'immigrazione. E ho voluto raccontare questa storia in un film che ha come attori i veri protagonisti". Il lavoro di Wenders sarà presentato il 21 maggio alla seconda edizione di “A-Accoglienza Riaceinfestival”, Festival delle migrazioni e delle culture locali di Riace. Il festival assume una valenza in questo particolare momento storico in cui la questione della coesistenza tra popolazioni e tradizioni culturali differenti emerge in modo sempre più marcato, soprattutto dopo i recenti fatti di Rosarno. Questa è un'iniziativa concreta che, attraverso il linguaggio universale del cinema, vuole promuovere lo scambio e la conoscenza reciproca, per contrastare forme di chiusura e razzismo e dare l’immagine di una Calabria diversa dalle cronache nere. Naturalmente tutti questi riflettori puntati su Riace non fanno piacere alla ‘ndrangheta che ha invece bisogno di omertà, di silenzio e della cappa di piombo che fa pesare sull’intera regione. Una mattina il sindaco di Riace ha trovato morto il proprio cane e quello di suo figlio e lui non s’è fatto intimidire, facendo tappezzare di murales il paesino.

Qui non si fa retorica, ma si rischia per difendere la propria dignità di uomini. ll lavoro è difficile e si regge su fragili equilibri e tutti lo sanno; ma vanno avanti ugualmente. Non resta che fare i complimenti a questa coraggiosa realtà che rappresenta il rovescio della Calabria.
Buona vita!
maestrocastello

domenica 16 maggio 2010

Quando gli affari tuoi sono un pò anche i miei.


IL CAVALLO E IL MAIALE.
Un fattore comprò un esemplare stupendo di cavallo da monta; pur avendolo pagato una fortuna, dopo un mese il cavallo si ammalò. Così il fattore disperato chiamò il veterinario. "Il suo cavallo ha un virus e deve prendere queste medicine per 3 giorni; dopo il terzo giorno vengo a controllare: se non si sarà ripreso dovremo abbatterlo." Il porco lì vicino ascoltò tutta la conversazione.
Dopo il primo giorno di medicinali tutto era come prima. Il porco si avvicinò al cavallo e gli disse: "Forza amico, alzati !" Il secondo giorno la stessa cosa, ma il cavallo non reagì. "Dai amico, alzati, altrimenti dovrai morire !" lo avvisò il porco. Anche il terzo giorno gli diedero li medicinali ma... niente !
Il veterinario arrivò e disse al fattore: "Purtroppo non abbiamo scelta, i medicinali non sono stati sufficienti: dobbiamo abbatterlo perchè ha un virus molto grave e potrebbe contagiare gli altri cavalli !"
Il porco sentendolo, corse verso il cavallo per avvisarlo: "Coraggio vecchio mio, il veterinario è arrivato, forza, ora o mai più ! Alzati subito, dai !"
Subito il cavallo diede un sussulto, si alzò e cominciò a correre. "Miracolo ! Dobbiamo festeggiare" gridò il fattore "Facciamo una festa ! Ammazziamo subito il maiale !"

Morale della favola...Fatevi sempre gli affari vostri !
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per la riflessione....

La saggezza popolare ha sempre un fondo di verità, ma non sempre è la soluzione giusta. Penso semplicemente ad un fatto di cronaca avvenuto di recente, parlo di quel ragazzo malmenato dai poliziotti nel dopo partita di Roma-Inter ed a quel signore che, dalle finestre di casa sua, ha ripreso tutta la scena, poi ripetutamente trasmessa in televisione. E’ proprio grazie a quel signore che si è potuto scoprire un sopruso e meno male che quel buon uomo non s’è fatto gli affari suoi! Come vedete, bisogna fare un distinguo. Un conto è fare la spia, tutt’altra cosa è agire perché prevalga la giustizia e la verità. L’adagio che raccomandava sempre anche mia nonna va bene, evidentemente, solo in determinate circostanze. A prenderlo troppo alla lettera, si rischia di assumere un atteggiamento che in certi posti chiamano omertà. Se stanno rubando nella casa a fianco, se per la strada pestano uno come una zampogna; vi fate gli affari vostri? O magari non intervenite personalmente, per paura; ma sicuramente afferrate il telefonino e chiamate la polizia! Troppi avvenimenti ci dicono, purtroppo, che le nostre città si stanno trasformando in vere giungle, dove magari stuprano per strada una ragazza e non c’è un cane che le dia soccorso. Tutti si fanno gli affari loro! Pestano a morte un giovane davanti ad una discoteca e se non c’è la solita provvidenziale telecamera a filmare tutto l’accaduto, nessuno delle decine di ragazzi presenti aveva visto nulla. Tutti si fanno gli affaracci loro! Quanti atti criminosi avvengono tutti i giorni, proprio sotto il naso della gente che finge di non vedere niente. Avanti di questo passo, per forza che poi spariscono ragazzine dalla Basilicata e nessuno ha visto niente; salvo ritrovarne i resti anni dopo e scoprire che in tanti del paese sapevano e sanno; ma hanno tenuto e tengono le bocche cucite. L’omertà di uno poi diventa l’omertà di tutti. Abbiamo così interi paesi arroccati nel loro silenzio atavico che copre il mafioso che fa pagare il pizzo, il caporale che sfrutta l’extracomunitario, il politico locale che s’approfitta della povera gente. Il detto di pochi è ormai divenuto il coro di tanti: “Nente vidi, nente sacciu e i fatti mei mi facciu”.
Buona vita!
Maestrocastello.

venerdì 14 maggio 2010

Italia a pezzi!


Proprio mentre il presidente della Repubblica in carica Giorgio Napolitano si apprestava ad inaugurare l’iter dei festegiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, recandosi in Sicilia, ecco che un altro presidente, Carlo Azelio Ciampi, che aveva tanto operato per ripristinare il valore della patria e la memoria dell’unità nazionale, lascia la presidenza del comitato per le celebrazioni di tale avvenimento. Le polemiche continuano ancora dopo le annunciate defezioni dei ministri leghisti Bossi e Calderoli e di tanti altri personaggi della cultura italiana. L’accusa è che si voglia solo far retorica e un po’ di propaganda che non guasta. La verità è che ci accingiamo a festeggiare una sagra dove manca il santo protettore! Sui libri delle elementari leggevamo: “Abbiamo fatto l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”, ricordate? Ma quale Italia è stata fatta e da chi? Allora delle camicie rosse, capeggiate da un nizzardo, hanno alimentato guerre fratricide per annettere lo Stivale alla monarchia sabauda, oggi delle camicie verdi, capeggiate da un lombardo, lo voglio annettere alla padania. Usano persino un linguaggio similare: “Obbedisco” disse Garibaldi al re in quel di Teano; “Se il Presidente dovesse chiamarmi, risponderò obbedisco ” gli fa eco Bossi, riferendosi alla sua partecipazione all’anniversario in questione. La storia insegna che i grandi stati nascono quasi tutti da una rivoluzione popolare che in Italia non c’è stata, dove il sangue di uno è il sangue di tutti e allora sì che quando suona l’inno nazionale, lo si ascolta in piedi, mani al petto e lacrime negli occhi. La conosciamo bene la nostra storia risorgimentale: i fratelli Bandiera che nel tentativo di far insorgere la gente calabrese, venivano presi a fucilate da altri italani che li credevano nemici. Dove sono gli Italiani? Ora si spiegano molte cose recenti e del passato: ieri il banditismo, oggi la mafia, la ndrangheta e la camorra; ma dov’è lo Stato? Ieri i carabinieri inviati al Sud che venivano presi a fucilate, oggi si plaude ai malavitosi che vengono arrestati e si inveisce contro la polizia che l’arresta. Dov’è lo Stato? Penso che lo Stato, come l’amore, debba nascere prima all’interno delle persone per sentirsene inondati. La verità è che 150 anni fa sono nate tante Italie e tutte diverse: quella della valigia di cartone, quella delle tante mafie, quella delle raccomandazioni, quella tutta casa e chiesa, quella bolscevica, quella del quando c’era lui, quella dei soldi sotto il mattone, quella che compra tutto a rate, quella di Roma ladrona, quella di “lei non sa chi sono io”, quella dei primi della classe, quella della gente laboriosa del nord, quella… e potremmo continuare all’infinito. E gli Italiani sono stati fatti? Troppo poco sentirsi tali solo quando gioca la nostra nazionale; che poi, fino a qualche anno addietro, l’inno di Mameli veniva spesso storpiato e più nessuno lo cantava; nemmeno gli stessi calciatori! Bisogna far lo sforzo di andare oltre le partite del pallone che un giorno divide e l'altro unisce. Una grossa colpa è da attribuirsi anche al forte analfabetismo che nelle regioni meridionali toccava il 45% ancora ai primi del sessanta. Gli Italiani, per anni, hanno fatto fatica perfino a parlare una stessa lingua, per ignoranza o per tigna. Tanti, ancor oggi, non parlano un corretto italiano; ma conoscono tanti termini della lingua inglese, magari riferiti a testi di canzoni. Bella soddisfazione! La televisione, per certi versi, è servita a veicolare un linguaggio comune e far capire che un guardaboschi valdostano ha la stessa dignità del pescatore di Mazzara del Vallo e che sono entrambi cittadini della stessa Italia; pur con mille differenze. Forse sarebbe il caso di resettare le nostre coscienze e recuperare quella rivoluzione mancata del 1860, da fare ora all’interno di noi stessi, lasciando magari stare i tanti “cattivi maestri” della politica, “gente infame, che non sa cos'è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene….. governanti, quanti perfetti e inutili buffoni” come dice Battiato. Se cominceremo ad indignarci tutti insieme quando uno come Bossi dice che l’inno nazionale non serve e che lo mette al cesso; allora vuol dire che il lavoro di rivoluzione interna comincia a dare i suoi frutti e avremo costruito un pò d'Italia. Solo quando avremo capito che Italia significa un minestrone fatto di venti tipi di verdure diverse; allora sì, qualcosa di importante potremo festeggiare.
Buona vita!
Maestrocastello.

mercoledì 12 maggio 2010

La cultura fa le ore piccole!


Ci eravamo appena lamentati (nel precedente post) del disinteresse tutto nostrano a frequentare i tanti luoghi d’arte di cui straborda la nostra penisola che arriva una gradita notizia: finalmente, anche da noi, la cultura fa le ore piccole! Anche quest’anno ritorna l’iniziativa, nata in Francia nel 2005, chiamata “la notte dei musei” che è dedicata alla riscoperta delle bellezze del patrimonio artistico di tutta Europa… Il 15 maggio saranno aperte gratuitamente le porte di musei e delle aree archeologiche in orario serale e notturno. Molte città italiane, non tutte, hanno aderito a questa lodevole iniziativa che ci pare un’ottima strategia di economia del turismo che mira a rilanciare quello che molti ritengono il maggior potenziale della Penisola: il suo patrimonio culturale. Per il secondo anno consecutivo, all'iniziativa aderirà anche la città di Roma. Circa 80 spazi culturali, tra musei statali, musei civici, musei privati, accademie, istituti e case di cultura, chiese, palazzi storici di Roma, saranno aperti straordinariamente e gratuitamente dalle 20 di sera fino alle 2 di notte. Ci sembra un’ottima occasione per coinvolgere anche un pubblico più giovane, notoriamente più distante dai luoghi di cultura che forse considera come distanti e un po’ ammuffiti , in orario più gradito ai ragazzi e senza spendere una lira, (pardon!), un euro. E’ senz’altro un’occasione da non perdere: concerti, performance di teatro e danza, proiezioni scenografiche, installazioni artistiche, letture, proiezioni video, degustazioni, conferenze, lezioni, visite guidate e laboratori, accompagneranno le manifestazioni per l'intera notte. Alcuni di questi eventi si svolgeranno eccezionalmente anche in luoghi come l'Università La Sapienza, la Cassazione, la Camera, il Senato. Dice il professor Campanella della Sapienza : “L’offerta capitolina è arricchita dalla possibilità di passare dalla teoria alla pratica, di sperimentare cioè quello che di solito è nascosto dietro una teca. Ce ne è per tutti i gusti: vuoi vedere come si forma un cristallo oppure da dove derivano le spiagge? Desideri andare a caccia delle orme di un dinosauro e vedere come si viveva in un villaggio di 4.500 anni fa? Vuoi isolare il DNA da un reperto antico e magari da una goccia del tuo sangue e portartelo a casa in una miniprovetta? Tutto questo e molto di più si può trovare alla Sapienza, il 15 maggio, visitando i suoi straordinari Musei".
Sembra proprio una ghiotta opportunità per coloro che non riescono a conciliare gli orari di apertura dei musei con i propri impegni di lavoro e per gli assidui che fanno visite normalmente di giorno, che avranno così l’occasione di ammirare dipinti e sculture avvolti da una luce insolita e di vivere la magia della notte che fa da sfondo a tante bellezze del passato. Paolina Borghese, mentre posa per un calendario d’altri tempi, sembra che dica proprio: “Ci sono appuntamenti a cui non puoi mancare”.
Buona vita!
Maestrocastello.

lunedì 10 maggio 2010

Ministro, lei s'era accorto del crollo al Colosseo?


Era la notte di due giorni fa, quando un pezzo di intonaco si è staccato dalla struttura originale del Colosseo. Un pezzo non molto grande: circa mezzo metro quadrato di spessore, che, cadendo dalla volta di una delle gallerie, ha rotto la rete di protezione che era stata collocata tra gli anni ’70 ed ’80 ed è rotolato giù da uno degli ambulacri del primo piano, quello dove vengono ospitate le mostre. La notizia non desterebbe scalpore se non si trattasse della ricchezza archeologica italiana d’eccellenza nel mondo, uno tra i monumenti più visitati in assoluto del pianeta. Il mondo istituzionale ha cercato subito di rassicurare, affermando che tutto è sotto controllo: ("è come se in casa fosse sbattuta una porta"); intanto le preoccupazioni aumentano visto che negli ultimi giorni altri resti di epoca romana sono stati interessati da crolli, vedi il cedimento della galleria della Domus Aurea. Questi fatti offrono uno spunto di riflessione sull’arte nostrana. La presenza sul nostro territorio di un così consistente patrimonio storico-artistico dovrebbe oltre che renderci orgogliosi, anche particolarmente sensibili a sviluppare strategie volte ad assicurare il più possibile la conservazione delle opere che il mondo ci invidia; ma questo non sempre accade. Perché? In Italia ci riempiamo tanto la bocca di cultura, ma spesso è solo un parlare se poi disertiamo numerosi quei luoghi che sono cibo per la mente e dire che sono a portata di mano. Prendiamo la politica, si comporta proprio come la gente comune, quando, pittosto che preservare tanti luoghi di cultura dal degrado , predilige solo ciò che attiene ai voti. Ironia della sorte, si era fatto tanto parlare di Colosseo nei giorni passati e chissà se quel famoso ministro che abita proprio di fronte si sarà accorto del crollo; pare difficile, se non si era neppure avveduto che gli avevano saldato la casa! Ora faranno a cazzotti a selezionare il restauro al miglior offerente ed è pronta una torta fatta di immagine, guadagni in denaro e ghiotta propaganda politica. Lancio un appello all’anonimo benefattore che opera in zona, pagando case all’insaputa dei neoproprietari. “ Per favore, finanzia tu i lavori di restauro del Colosseo, accettiamo anche se agisci in incognito e te ne saremo grati doppiamente, come amanti dell’arte e come contribuenti!” Come Paese non ci meritiamo, forse, la bellezza dei monumenti che la storia ci ha donato. Siamo più interessati alle partite di calcio, alle lotterie e al Festival di San Remo e non siamo stati abituati fin da piccoli a visitare le numerose città d’arte italiane, come fanno i ragazzi stranieri. Abbiamo immensi tesori e non li sappiamo sfruttare. Se fossi uno che conta terrei monumenti e musei aperti anche di notte, dando lavoro a tanti giovani e la possibilità al turista di capitalizzare al meglio la sua trasferta italiana. Caro ministro, evitiamo tante manifestazioni mondane troppo a ridosso del nostro Colosseo, la presenza di traffico nuoce alla stabilità dell’antica struttura, calmieriamo il biglietto d’ingresso e tant’altro; a queste cose mettiamoci mano, altrimenti è meglio vendere ad un ricco paese straniero che ne avrebbe una cura maggiore.
Buona vita!
Maestrocastello.

venerdì 7 maggio 2010

Ci devi fare un gol!


La mia è un’ immagine ormai sparita del gioco del pallone, quella di un gruppo di ragazzini scalzi e mal nutriti che giocavano su acciottolati di un paesino di montagna, con una palla di fortuna che spesso nemmeno rimbalzava. Si giocava da mattino a sera, quando finalmente quella specie di palla la prendeva in cosegna uno del gruppo e la nascondeva fuori della portata di genitori, ostili ad un gioco tanto chiassoso e che comprometteva l’integrità di quell’unico paio di scarpe che era essenziale per fraquentare la chiesa e la scuola. E noi che eravamo cosi felici di giocare a pallone, lo facevano anche scalzi! Si vinceva, si perdeva, si litigava e poi si faceva subito pace. Quanto ho giocato a pallone negli anni successivi! Alle medie ero un bravo portiere, in collegio ero una specie di Totti; al liceo Augusto di Roma andavamo a giocare al mercato rionale di via Sannio, adiacente alla popolare piazza di San Giovanni, nelle ore che non c’era mercato. Chi perdeva, pagava un cremino. Quando facevo il maestro, portavo a giocare i ragazzi in un campetto di preti, cercando di insegnare loro ad essere sempre leali e saper gestire vittorie e sconfitte. Mi sono poi sempre divertito ad assistere alle partitelle dei più piccoli che giocano in branco,come le pecore; senza tattiche e si dannano l’anima. E’ quando giocano i grandi che la musica cambia. Il gioco del calcio oggi è divenuto un lontano parente di quello di un tempo. Gli eccessivi interessi che ruotano intorno al pallone hanno avuto la capacità di trasformare semplici avversari in nemici; proprio come se si combattesse una guerra. Le offese razziste hanno preso il posto dei sani sfottò. Se gli ambienti non sono abbastanza infocati, provvedono giornali e tivvù a creare i presupposti perché un avvenimento sportivo degeneri in qualcos’altro. Ne sono una valida dimostrazione gli episodi di questo epilogo di stagione nei campi di calcio. Non bastasse la politica, ora ci si è messo anche il calcio a dividere ulteriormente un’Italia in crisi che si aggrappa al calcio come ad uno dei pochi valori ancora in grado di appassionare e far sorridere. Sono emblematiche le parole del nuovo disco di Francesco Baccini: “Ci devi fare un gol” che coglie alla perfezione la filosofia di chi si attacca al calcio, perchè non può attaccarsi altrove: “Un gol, ci devi fare un gol, per questa vita un gol, per arrivare a fine mese. Sono un italiano medio, torno a casa dallo stadio, da domani son precario; per fortuna Totti ha fatto un gol!"
Penso che siamo ormai alla frutta.
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 6 maggio 2010

Figli delle "stelle" vincono all'Isola della Ventura.


Le stelle sono quei corpi celesti che brillano di luce propria, mentre i satelliti sono pianetini che vivono di luce riflessa da altre stelle come il sole. Persone famose in tutti i campi siamo abituati a chiamarle stelle e i loro rampolli vengono spesso marchiati come “figli di papà” o più semplicemente come “figli di”. Quest’anno, per la prima volta, sono approdati in Nicaragua quattro “figli di”, ad arricchire l’Isola della Ventura. Sulle prime eravamo tutti scettici sulla validità della pensata, forse perché queste presenze stridevano accanto a quelle dei non famosi, presi letteralmente dalla strada e che si giocavano l’unica occasione della vita . Passi che un ex- famoso vada a far dieta forzata per recuperare quel credito di popolarità che lo rimetta in carreggiata, ma un “figlio di “ che ci va a fare? Non bastano le credenziali del cognome? Sarà perché siamo abituati a considerare “figlio di“ il benestante che vive in case con piscina dentro e fuori, che fin da piccolo ha imparato a farla nel vasino, che ha frequentato le migliori scuole; uno che è abituato ad avere la pappa pronta, che non ha mai alzato un dito nella vita e non ne sarebbe nemmeno in grado se ci provasse; un viziato cronico insomma! All’inizio guardavano con curiosità questi rampolli impacciati mentre si cimentavano nella costruzione di un capanno e ostentavano un inglese impeccabile col vecchio tutor di colore. Poi, cosa per noi del tutto sorprendente, hanno imparato a sopportar la fame, ad affrontare prove di coraggio, a capire chi giocava sporco (i famosi) e con chi dovevano allearsi (i non famosi) e… sono arrivati in fondo all’avventura. Per una volta un gioco televisivo ci ha restituito delle persone vere. Perché sono stati votati? Ma perché non hanno avuto paura di dichiarare le loro debolezze personali, le disavventure familiari, le loro fragilità; il desiderio finalmente di camminar da soli. La gente ha capito che hanno fatto un serio lavoro su se stessi, che erano vogliosi di splendere finalmente di propria luce. Essere figlio di papà non è sempre una fortuna, puoi avere due piscine in casa, vestire griffato e frecciare a bordo della tua limuosine ed essere uno sfigato senza amici.
Buona vita!
Maestrocastello.

martedì 4 maggio 2010

Le parole sono piume e sono sassi!


Si racconta che un uomo andò un giorno da Maometto e gli disse: "Sono molto infelice, ho accusato ingiustamente un amico, l'ho calunniato, ed ora non so come riparare". Maometto lo ascoltò attentamente e poi rispose: "Ecco quello che devi fare: va a mettere una piuma davanti alla porta di ogni casa della città e domani ritorna da me". L'uomo se ne va e fa quello che Maometto gli ha detto: mette una piuma davanti ad ogni casa della città e l'indomani ritorna. "Bene, dice Maometto, ora va a riprendere tutte le piume e portale qui". Dopo qualche ora l'uomo ritorna tutto triste: non aveva ritrovato una sola piuma. Allora Maometto gli dice: "E lo stesso per le parole: una volta pronunciate, non è più possibile ritirarle, ormai hanno preso il volo". E l'uomo se ne andò molto triste.
(Tratto dal web).

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Per la riflessione ......

Le parole sono piume e sono sassi. Ci pensate che l’uomo ha inventato molteplici strumenti di difesa personale, ma non esiste ancora uno scudo contro le parole che, quando ci va bene, si limitano a procurar ferite; ma spesso queste diventano letali. Le parole uccidono al pari delle armi. E mentre un revolver recide nel fisico la vittima; la parola distrugge l’anima delle persone che è la parte più fragile di esse e non ci sono mezzi di difesa, perché proprio non esistono. Un’arma, si sa, può mancare un colpo; ma la parola quasi mai. Se non colpisce “ a primo acchitto”, resta come sospesa e sceglie quando è il momento adatto per assestare il colpo. Quindi bisognerebbe sempre misurare le parole, perché il nostro avversario potrebbe non uscirne vivo. Le parole si comportano come i colpi di un revolver: una volta usciti dalla loro sede naturale, non è più possibile ritirarli; ormai hanno preso il volo, proprio come le piume del racconto. Siamo nell’era della grande comunicazione, abbiamo a disposizione mezzi che farebbero impallidire mio nonno, se solo uscisse dalla tomba; ma spesso non sappiamo proprio cosa dirci . Tanti non hanno la bocca collegata col cervello e sparano “cazzate”, in un linguaggio sempre più sgrammaticato e fatto di parole monche del tipo: TVB, Xchè, 6 fantastico ed altre similari. Socrate, ad un allievo che gli voleva riferire un fatto, così disse: “Se quello che hai da dirmi non è nè vero, nè buono, nè utile, preferisco non saperlo. E ti consiglio di dimenticarlo anche tu..." Mia nonna mi diceva sempre che prima di parlare, bisogna pensarci non dieci volte, non cento; ma, se occorre, anche mille di volte. A questo proposito, ancora ricordo “ la regola delle dieci P”, appresa da ragazzo: “ Prima-pensa-poi-parla-perché-parole-poco-pensate-portano-pena”.
Buona vita!
Maestrocastello.

lunedì 3 maggio 2010

Perchè pregare?


La preghiera è l’unione personale con Dio visto proprio come una persona a cui ci rivolgiamo.. L’atto di pregare è pratica comune a tutte le religioni che permette all’uomo , attraverso la parola o il semplice pensiero di invocare, chiedere aiuto, lodare o ringraziare la dimensione del sacro. Il pregare è nella religione ciò che il pensiero è nella filosofia, come diceva Novalis. Racconta la Bibbia che ogni volta che Mosè pregava, alzando le braccia e tenendo il bastone puntato verso il cielo, Israele vinceva; mentre quando le abbassava, perdeva e così dovevano tenergli le braccia protese in preghiera per tutto il tempo che durò la battaglia. I nostri padri contadini pregavano per ottenere pioggia per i loro campi. Dov’era la preghiera? Nella pioggia! Dov’era la pioggia? Nella preghiera! Stava proprio lì. Ciò che essi facevano per trovare la pioggia è preghiera. Pregavano per settimane, senza scoraggiarsi e spesso senza risultati positivi; ma pregavano lo stesso. Il viandante irlandese prega perchè sia la strada al suo fianco, il vento sempre alle sue spalle; che il sole splenda caldo sul suo viso e la pioggia cada dolce nei campi attorno e che Dio possa proteggerlo nel palmo della sua mano. ( lo dice San Patrizio). Quello di pregare è un bisogno costante che abbiamo; è un po’ come rivolgerci al nostro “analista celeste”, al benzinaio di fiducia che provvede a fornirci quel carburante necessario per affrontare il percorso tortuoso che è la vita. Ma se Dio già sa tutto; perché pregare? Anche la persona che amate già sa che l’amate; eppure ama sentirselo dire. Fate conto che Dio sia la persona che amate e state certi che ama molto sentirselo dire. Non servono libri o grandi parole; va bene anche una frase appena accennata; basta ch’è detta col cuore. Ascoltate, a proposito, la storiella che segue:

La preghiera dell'alfabeto.

Un contadino povero, nel rincasare la sera tardi dal mercato, si accorse di non avere con sé il suo libro di preghiere. Al suo carro si era staccata una ruota in mezzo al bosco ed egli era angustiato al pensiero che la giornata finisse senza aver recitato le preghiere.
Allora pregò in questo modo: «Ho commesso una grave sciocchezza, Signore. Sono partito di casa questa mattina senza il mio libro di preghiere e ho così poca memoria che senza di esso non riesco a formulare neppure un'orazione. Ma ecco che cosa farò: reciterò molto lentamente tutto l'alfabeto cinque volte e tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere insieme le lettere in modo da formare le preghiere che non riesco a ricordare».
Disse allora il Signore ai suoi angeli: «Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa è senz'altro la più bella, perché è nata da un cuore semplice e sincero».

(dal libro "La Via dell’Umorismo, 101 burle spirituali"
di Gianluca Magi - Panozzo Editore)

Buona vita!
maestrocastello.