sabato 27 febbraio 2010

STOP - PENSIONI - DEPUTATI


Per quanto mi riprometta di evitare telegiornali e fatti della politica, poi va a finire che ci ricasco puntualmente; proprio come un fumatore che aveva smesso e si riaccende la sospirata sigaretta. Ma provo sempre la stessa delusione nel costatare che non è mai cambiato nulla: si litiga sempre su tutto, in dibattiti che si trasformano in piazzate e che invece di chiarire, finiscono spesso per confondere ulteriormente la mente di chi si era ripromesso di capire. Fa specie, in un momento di grave crisi di lavoro e di fatica a far quadrare il bilancio familiare, sentir parlare sempre delle solite cazzate che fanno comodo a qualcuno solamente. Per fortuna che ogni tanto arrivi un matto a far riflettere la gente. Il matto in questione (matto in senso scherzoso, ovviamente) è Luciano Casasole che, preso lo spunto dall’invito del cardinale Poletto ai consiglieri del Piemonte di rinunciare ai privilegi pensionistici, in virtù del principio di uguaglianza ed in un momento di grave crisi economica ed occupazionale; ha attuato un bliz a Piazza San Pietro, facendo apparire sulla cupola la scritta intermittente: STOP – PENSIONI – DEPUTATI. "I nostri politici sono sempre pronti a bisticciare su tutto, ma quando si mettono a discutere di premi e di liquidazioni solo per loro, vanno d'accordo", aveva detto il cardinale, facendo riferimento all'indennità di fine mandato dei consiglieri regionali del Piemonte, una 'superliquidazione' di 100mila euro lordi decisa dall'allora governatore Enzo Ghigo. "E' una contraddizione, ha aggiunto Poletto, predicare che bisogna trovare risorse, fare sacrifici, e poi quadruplicarsi ( da uno a quattro euro per ogni voto) il premio elettorale. Non mi pare sia un bell'esempio, non fa bene al popolo. Pensare che i buoni esempi dovrebbero venire proprio dalle istituzioni pubbliche". Che senso ha pretendere che il comune cittadino vada in pensione ad un passo dalla tomba, quando si coserva per sé il privilegio di acquisirlo dopo appena pochi anni di mandato? Naturalmente quella scritta ha incuriosito i tanti pellegrini stranieri in attesa di entrare nella basilica che si son chiesto il motivo della scritta e non sono mancati gli applausi per la trovata di Casasole. E’ da tempo che si discute della opportunità di far percepire stipendi tanto alti e pensioni così facili ai nostri onorevoli parlamentari. Ma quanto percepiscono in realtà? Ho fatto un giro in rete ed ecco cosa trovo: il trattamento economico è determinato in base alla legge n. 1261 del 31 ottobre 1965 : la prima voce è l’indennità, quella che nel linguaggio comune è definita “stipendio” è pari a 5.486,58 euro al netto delle ritenute varie, seguono la diaria che ammonta a 4.003,11 mensili ed i rimborsi inerenti il rapporto tra eletto ed elettori per un importo mensile di 4.190,00 euro mensili. Le spese di viaggio variano da 3.323,70 a 3.395,10 euro trimestrali a seconda che si superi i 100 Km); per le spese telefoniche riceve mensilmente 3.098,74 euro (la Camera non fornisce ai deputati telefonini cellulari). Completano la scheda l’assegno di fine mandato, le prestazioni sanitarie e sui trasporti. Insomma lo stipendio mensile di un parlamentare si aggira sui 15. 237,02 euro netti; mentre la sua pensione va da un minimo di 2.797 euro netti ad un massimo di 8, 952,712 euro mensili. Scordavo le tante facilitazioni.
1. TESSERA DEL CINEMA gratis
2. TESSERA TEATRO gratis
3. PISCINE E PALESTRE gratis
4. TESSERA AUTOBUS - METROPOLITANA gratis
5. CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis
6. FS gratis
7. AUTO BLU CON AUTISTA gratis
8. RISTORANTE spesso gratis o a 2 lire
e tante altre ancora.....Non penserete ora di diventare tutti deputati???
Buona vita!
Maestrocastello.

giovedì 25 febbraio 2010

Una parabola Zen racconta……


"Un ragazzino e suo padre passeggiavano tra le montagne...
All'improvviso il ragazzino inciampò, cadde e, facendosi male, urlò :"AAAhhhhhhhhhhh!!!"
Con suo gran stupore il bimbo sentì una voce venire dalle montagne che ripeteva :
"AAAhhhhhhhhhhh!!!"

Con curiosità, egli chiese: "Chi sei tu?"
E ricevette la risposta: "Chi sei tu?"
Dopo il ragazzino urlò: "Io ti sento! Chi sei?"
E la voce rispose: "Io ti sento! Chi sei?"


Infuriato da quella risposta egli urlò: "Codardo"
E ricevette la risposta: "Codardo!"

Allora il bimbo guardò suo padre e gli chiese: "Papà, che succede?"
Il padre gli sorrise e rispose:"Figlio mio, ora stai attento:"

E dopo l'uomo gridò: "Tu sei un campione!"
La voce rispose: "Tu sei un campione!"

Il figlio era sorpreso ma non capiva.
Allora il padre gli spiegò: "La gente chiama questo fenomeno ECO ma in realtà è VITA.
La Vita, come un'eco, ti restituisce quello che tu dici o fai.
La vita non è altro che il riflesso delle nostre azioni.

Se tu desideri più amore nel mondo, devi creare più amore nel tuo cuore;

Se vuoi che la gente ti rispetti, devi tu rispettare gli altri per primo.

Questo principio va applicato in ogni cosa, in ogni aspetto della vita; la Vita ti restituisce ciò che tu hai dato ad essa.

La nostra Vita non è un insieme di coincidenze,
è lo specchio di noi stessi
……………………..Invito alla riflessione…………….
Recita un adagio popolare: “Il mio migliore amico è lo specchio, perché quando piango non ride mai”.
Lo specchio, si sa, non prende posizioni e non è capace di mentire. Un giorno che vi trovai riflesse due rughe della fronte, pensai bene di esclamare con me stesso: ” bisogna che decida una buona volta a cambiare questo specchio che ha ormai fatto il suo tempo”. Lo specchio, per me, era come l’eco per il bimbo della parabola, con la differenza che il bambino non era a conoscenza dell’accidente naturale(L’ECO); mentre io sapevo bene dov’era la magagna(LO SPECCHIO NON CENTRAVA NULLA). Sono i due atteggiamenti ad essere sbagliati. Il bimbo come si rivolge all’eco? Con lamenti (Aaahhhhh!), con improperi (codardo!) ed ha la fortuna di avere un padre saggio che gli dà il giusto insegnamento. Io che non avevo l’onestà mentale di accettare le conseguenze del tempo che traforma tutto; baravo difronte all’evidenza. Queste dello Zen sono autentiche perle di saggezza che invitano ad un atteggiamento positivo per la vita che capitalizza quanto di buono le affidi. Non si può pretendere ciò che prima non si è dato: offri amore, stima e rispetto e te ne sarà reso a fiumi. Riempi il tuo cuore di valori e vedrai quanto il tempo è galantuomo.
Buona vita!
Maestrocastello.

lunedì 22 febbraio 2010

Sono solo canzonette.


“Sono solo canzonette” ripeteva il testo di Bennato ed è quanto andavo ripetendo anch’io nella passata settimana sul Festival di San Remo. Si è appena concluso questo annuale tour de force, vera occasione di business per l’azienda Rai che piange miseria in campagna abbonamenti e poi elargisce euro facili in pacchi della fortuna, ospitate a gente stupida ch’è andata a ritrovare fama in isole di Ventura. Torniamo al fenomeno San Remo, ormai concluso, che ha rappresentato un momento di auto-incensazione per la struttura della rai, paga, almeno questa volta, di aver accontentato proprio tutti. C’è stata l’attesa della vigilia ch’è durata mesi, la polemica legata al caso Morgan che ha creato aspettativa e la vicenda del ranocchio che tentava di trasformarsi in principe-cantante. Dopo Bonolis era francamente difficile far meglio ed avevano pensato come presentatrice ad un personaggio che gli tenesse il posto in caldo per un anno e mai sospettavano che proprio una persona semplice come Antonella Clerici incontrasse il gradimento generale; in quanto ha incarnato pregi e difetti dell’italiano medio. Tante le novità. Niente scalinate del passato e niente belle statuine da accompagnare al presentatore. Pochi vecchi tromboni delegati al canto e subito estromessi. Accontentati i giovani che hanno applaudito sul palco sanremese i loro beniamini dei talents, per nulla impauriti dal grande pubblico e dalla competizione. La libertà lasciata a tutti ha pagato: si è respirato aria di freschezza nel look degli interpreti, anche se i pezzi non sono sembrati proprio eccezionali. Daltronte si sa che San Remo è tutto fuorchè una gara di canzoni. La Clerici ha giocato molto sull’autoironia; ha mostrato brio, semplicità e senso materno sia con la regina ospite che con i ragazzi del ”Ti lascio una canzone”. Non sono mancate le solite polemiche che rappresentano, da sempre, il sale di San Remo. I fischi a Pupo e compagnia hanno finito per avvantaggiarli e gli spartiti dei maestri dell’orchestra gettati in aria fan capire che il festival non va preso troppo sul serio. Le polemiche sul televoto son presto cominciate: sembra che l’unione dei consumatori abbia interessato la Guardia di Finanza ad esaminare i tabulati. “Panem et circenses” dicevano i latini. Oltre al cencenses (canzoni e risate) c’è chi ha pensato anche al “panem” ed è stato Maurizio Costanzo che ha chiamato sul palco gli operai di Termini Imerese, ultimo baluardo lavorativo di un Sud che si va sempre più sgretolando, da San Fratello a Maierato. Come atto finale c’è stata l’indignazione generale per la proclamazione dei cantanti vincitori. Tutti arrabbiati? Bene, domani avremo qualcosa in più per parlare!.
Ma non scordate mai che son pur sempre canzonette!
Buona vita!
Maestrocastello.

venerdì 19 febbraio 2010

Le bestie siamo noi.


I lettori del blog ricorderanno che provo ammirazione per Erri De Luca, poeta-scrittore napoletano ed ex studente “sessantottino” che aveva tentato mille mestieri, prima di approdare a quella che sarebbe poi stata la sua naturale inclinazione per la poesia e la narrazione; risultando, oggi, uno dei pochi scrittori italiani in grado di comunicare emozioni in modo fluido, lirico, essenziale e pregne di contenuti. L’ultimo suo capolavoro è un romanzo breve “il peso della farfalla”. Questa è la storia di un camoscio, magnifico animale di montagna, che rimasto orfano, impara tutto da solo, senza appartenere a un branco. E’ forte, unico, bellissimo. Sfida tutti senza timore e diventa il “re dei camosci“. Ma questa è anche la storia del cacciatore che lo ucciderà. Il romanzo mi richiama alla mente “la forza della natura” che Luisa Mandrino aveva scritto per l’alpinista bellunese Franco Miotto; così come mi ricorda anche le scene di caccia che appaiono nel capolavoro cinematografico “il cacciatore” di Michael Cimino. In tutte e tre le opere viene raccontata la lotta perenne tra preda e predatore, l’evoluzione di ciascuno e la loro fine triste e silenziosa. Tre storie per tre protagonisti che ingaggiano una sfida personale con le rispettive prede per il predominio della montagna. Il personaggio che interpreta De Niro è un cacciatore, specializzato nella caccia al cervo che proprio nel momento di muovere il grilletto, viene dissuaso dallo sguardo animale del cervo che lo fissa con occhi che sanno molto più di quelli umani. Miotto è soprattutto un alpinista vero, il re dei viaz, sentieri aerei sulle montagne bellunesi, che soltanto lui ed i camosci conoscono. Un uomo che quando abbatté il più bel camoscio della sua vita, un vero re delle vette, capì la parte più triste del vivere, e cioè che niente resta mai come prima, quando hai realizzato un sogno. Addirittura smise di fare per sempre il cacciatore, lui che cacciava perché non poteva permettersi il lusso di entrare in macelleria, quando, dopo aver abbattuto un camoscio adulto, assistette alla scena dei piccoli camosci che non ne volevano sapere di abbandonare il loro genitore accasciato per terra. La storia di Erri De Luca narra invece di due re (camoscio e cacciatore) che, su barricate diverse, si contendono il predominio della montagna in uno scontro che conoscerà fine nel mese di novembre. Lui è un cacciatore eccezionale, l’altro è un camoscio fuori dalla norma : il re dei camosci. La loro storia è un abbraccio mortale. Il re dei camosci nutre rancore da una vita, per la morte del padre, abbattuto proprio da un cacciatore e la sua ragione di vita è stata la supremazia sugli altri camosci e l’eterna sfida verso l’uomo che l’ha visto fin qui vincitore. L’anziano cacciatore è vissuto sempre “alla macchia” e non ritenendo possibile un normale confronto coi simili, ha ingaggiato una guerra personale col mondo animale. In un giorno di fine novembre arriva la resa dei conti, perché i due si stanno cercando. Il camoscio sente l’odore dell’uomo e lo sfida con la sua velocità, la prontezza; fin quando non incappa su un sasso appuntito e resta immobile, aspettando solo il colpo mortale dell'uomo. Cade a terra, privo di vita. Il branco non si allontana, ma si raduna intorno al suo re per rendergli omaggio. Il cacciatore se lo carica in spalla e camminano insieme, mentre vede una farfalla volare lieve fra le corna della bestia e non riesce proprio a mandarla via. Quel battito insistente di ali, agita la sua cattiva coscienza, come un peso aggiunto che lo prova fino a sfiancarlo e il cacciatore cade a terra sfinito, insieme al camoscio. Li troverà abbracciati, in primavera, un cacciatore che li seppellirà insieme. Le recensioni parlano di un libro scritto con la solita arte fatta di musicalità e maestria che contraddistinguono da sempre il suo autore. ” Erri De Luca racconta questa storia in maniera molto lieve, lieve come la neve che cade in montagna e come il battito d’ali di quella farfalla bianca. Con abilità e rispetto entra in queste due solitudini, raccontandoci prima di un duello lungo anni e poi di una pietà finale, di un abbraccio forte e eterno che vede queste due solitudini legate nella morte, come lo erano anche nella vita. Leggera e presente emozione.”
Una riflessione finale sembra obbligata: possiamo imparare molto anche dal mondo animale, se solo non abbiamo l’animo incelofanato di aridità. “Qui l’uomo vide una cosa che mai era stata vista.Il branco non si disperse in fuga, lentamente fece la mossa opposta. Le femmine prima, poi i maschi, poi i nati in primavera salirono verso di lui, incontro al re abbattuto. Uno per uno chinarono il muso su di lui, senza un pensiero per l’uomo in agguato…Niente era più importante per loro di quel saluto, l’onore al più magnifico camoscio mai esistito”.
E ora sono ancora più convinto che è del tutto sbagliato esclamare che” le bestie siamo noi”….. magari!!!
Buona vita!
Maestrocastello.

(alcuni spunti virgolettati sono presi dalle recensioni di L. Dell'Olmo e A. Pizzini)

lunedì 15 febbraio 2010

Saranno famosi?


Leggevo in un articolo di qualche anno addietro che Daniel Radcliffe, interprete della fortunata serie di Harry Potter, dopo il secondo film che lo aveva reso oltremodo famoso; si augurava che il successivo film non aumentasse la sua popolarità fra la gente, perché non ne poteva più di uscire di casa scortato dalle guardie del corpo. Essere all’attenzione di tutti, oggi invece, è diventato un chiodo fisso dei nostri ragazzi, dai teenagers agli over 30/40 e divenire famosi sembra esser diventato un valore! La televisione che detta modelli di vita si è trasformata in ufficio di collocamento per i “saranno famosi” di tutte le età, un moderno Lucignolo che invita i ragazzi a saltare sul carro festoso, alla volta del “paese dei balocchi”. Ehi, ragazzo! Che aspetti? A scuola vai male e sei stanco di studiare? Partecipa al reality che diventerai conosciuto! Non importa se non sai fare nulla; faranno tutto loro! Non sei capace a fare un discorso di senso copiuto e non hai nessuna cultura; in televisione non serve! Faranno di te una persona famosa e felice. Quante opportunità hai oggi ragazzo! Potresti andare al “GF” e strabiliare se mostri una qualche particolarità (gay, ex donna o magari un petto esagerato- rifatto); puoi provare con gli “Amici di Maria” se hai iclinazioni di ballo e di canto; oppure tentare a “Uomini e donne”, se credi di essere strafigo. Se poi non sei interessato a mostrarti su digitale e passi molto tempo su Youtube, puoi sempre inventarti qualche cretinata ed essere il più visto. Perché studiare una vita o lavorare otto ore al giorno per pochi miseri spicci; quando è così facile bruciare le tappe? Se vuoi farti conoscere da tanti, apri un profilo su Facebook e metti una foto credibile che potresti anche “acchiappare”.
Forza, ragazzo! Questo è il momento adatto per te, perché non conta più tanto essere qualcuno, quanto sembrarlo.
Buona vita!
maestrocastello.

sabato 13 febbraio 2010

Ditelo con un fiore!


Nell’antichità il termine festa degli innamorati era legato ad un popolare rito pagano della fertilità. Il mese di febbraio e le feste che includeva erano la preparazione per l’arrivo della primavera che era considerato il periodo della rinascita. In questo mese si compivano i riti della purificazione: le case venivano pulite con lo spargimento di sale e di una particolare farina. Verso la metà del mese iniziavano le celebrazioni dei Lupercali (Dei che tenevano i lupi lontano dai campi coltivati) a cui venivano offerti sacrifici ed il sangue degli animali sacrificati veniva sparso lungo le strade della città, in segno di fertilità. Si racconta anche di un ulteriore rituale che era una vera e propria lotteria dell’amore: un bambino estraeva dall’urna i nomi di alcune coppie casuali che avrebbero poi vissuto in intimità per l’intero anno; affinchè il rito della fertilità fosse concluso. Solo nel 476 d.c. Papa Gelasio annullò questa licenziosa pratica con l’ntroduzione del culto di San valentino, vescovo nato a Terni e martirizzato due secoli prima. San Valentino divenne così il patrono dell’amore ed il protettore degli innamorati di tutto il mondo. Oggi che l’inflazione delle giornate di festa ha toccato il punto più alto, più per soddisfare le esigenze di un mercato che non sa proprio più che inventare che per altro; questa festa alletta solo innamorati principianti e gli inguaribili nostalgici che sono sempre alla ricerca dell’idea che strabilia. Passi per la rosa che ti vendono anche in unico esemplare o la cenetta a base di involtini primavera; ma non convince chi, per una volta, strabilia; sicuro di poter dimostrare che dietro un’idea stravagante si celi anche un amore grande. Ricordate la pubblicità del pennello? Parete grande non pennello grande, ma grande pennello! Così anche per l'amore grande ci vuole un grande dono. Questi gesti “unici” che incantano alcuni ricordano tanto gli eroi che compiono un solo gesto e per questo rimangono famosi. Per dirla con Nietzsche, guardatevi da geni, santi ed eroi! Eroico è il gesto di un solo momento e in amore non può certo bastare; più difficile è gestire la quotidianità di una vita. Amare è condividere i difetti dell’altro, giorno dopo giorno, senza mai lagnarsene; ben sapendo che lo stesso avviene anche per i propri. Una donna se ne sbatte di un fascio di rose, un brillante o l’attenzione di una volta; se tale atto è destinato a rimanere isolato.
Va bene lo scambio di un dono; ma l’amore si dimostra coi fatti e… ogni giorno dell’anno!
Buona vita!
Maestrocastello.

giovedì 11 febbraio 2010

I Mamuthones a Mamoiada



Tempo di carnevale, tempo di maschere. Le varie maschere sono rappresentative delle singole regioni italiane e ciascuna interpreta un po’ lo spirito della gente locale. Noi conosciamo bene quelle maschere che hanno allietato la nostra vita scolastica e poco sappiamo di certe altre che sono legate a storie locali della nostra penisola.
Il fulcro del Carnevale di Mamoiada - uno degli eventi più celebri del folclore sardo - è costituito dalla sfilata dei Mamuthones che sono maschere di legno inqietanti, indossate dalla gente di questo paesino di montagna, nelle caratteristiche sfilate del carnevale. Il termine mamuthones ha varie accezioni: significa spauracchio, fantoccio, spaventapasseri, vile, miserabile ed uomo da poco.Sono state avanzate diverse ipotesi sull'origine della rappresentazione: dalla celebrazione della vittoria dei pastori di Barbagia sugli invasori saraceni fatti prigionieri e condotti in corteo, al rito totemico di assoggettamento del bue, ad una processione rituale fatta dai nuragici in onore di qualche nume agricolo e pastorale. Alcuni interpretano questi rituali come segno di liberazione dalle tante invasioni a cui i sardi sono stati soggetti nel corso della storia; altri,semplicemente come rito propiziatorio legato alla fine dell’inverno e all’inizio della stagione primaverile.
I Mamuthones indossano un vestito di velluto tipico degli abitanti della Barbagia, sopra al quale portano "sa mastruca", un giubbino di montone rovesciato e senza maniche. Sul petto e sulla schiena portano legati numerosi campanacci e campanelli che producono il tipico tintinnio che risuona per le strade di Mamoiada durante il Carnevale. Il loro viso è nascosto, appunto, da una maschera nera scolpita nel legno e hanno un fazzoletto legato sotto il mento.
I Mamuthones avanzano distribuiti in sei coppie e sono affiancati dagli "Issohadores", giovani vestiti con pantaloni di velluto nero, camicia bianca e corpetto rosso. Mentre i Mamuthones procedono in modo lento e ritmico, piegati dal peso dei loro campanacci, gli Issocadores avanzano agilmente, catturando alcune persone del pubblico con una sorta di fune. I malcapitati possono liberarsi solo dopo aver offerto da bere.
La sfilata inizia nel pomeriggio, finisce a notte fonda ed è interrotta da numerose soste, per bere il vino pagato dalle persone del pubblico catturate. Il Carnevale di Mamoiada inizia con la festa di Sant'Antonio Abate (il 16 - 17 gennaio), prima uscita per Mamuthones e Issohadores e si conclude nel giorno di Martedì grasso, con la sfilata del Juvanne Martis Sero, un fantoccio portato per le vie di Mamoiada sopra un carretto. Per una volta, lasciamoci andare al sorriso che è l’ autentico toccasana di ogni male, come dicevano Orazio, Seneca e Sant’Agostino: “una volta all’anno è lecito impazzire” (semel in anno licet insanire).
(Le notizie sono prese dal "carnevale di mamoiada")
Buona vita!
Maestrocastello.

martedì 9 febbraio 2010

Roba da matti!



Nelle sere del 7 ed 8 febbraio 2010 la Rai s’è finalmente riscattata, mandando in onda qualcosa di molto interessante come “C’era una volta il paese dei matti”, interpretato dai bravi Fabrizio Gifuni (Franco Basaglia) e Vittoria Puccini nei panni di Margherita che insieme ad un cast davvero all’altezza ha raccontato le esperienze innovative di Franco Basaglia nei manicomi di Gorizia e di Trento ed il suo tentativo di dare dignità di uomini ad autentici emarginati sociali. Basaglia operava in un tempo in cui la malattia di mente era ritenuta inguaribile e la risposta dello Stato era l’istituzione di questi luoghi chiusi, a tutela dei sani nei confronti dei matti, dove era facile entrare (bastava la dichiarazione di un medico) e quasi impossibile uscire, dato il presupposto dell’inguaribilità. Basaglia avverte che dalla pazzia si può anche guarire, che non la si può costringere in un luogo, perché la pazzia è un “non luogo”, come qualcosa che il matto ha dentro di sé e vuole portar fuori; come a dire che un certo grado di pazzia è insito in ogni persona, anche se non rinchiusa in manicomio. Non a torto Pirandello diceva che “i matti siamo noi” ed io ribadisco ch'è vero se pretendiamo mettere la camicia di forza ai sentimenti di un uomo, spogliarlo della sua dignità di persona, credere che un pazzo calmo, perché sedato, non è più pazzo; o peggio, alienarlo ulteriormente, spappolandogli il cervello con cavi elettrovoltaici. Le teorie di Basaglia sfoceranno nella legge 180/1978 che affermava che la malattia di mente è una malattia come tutte le altre e, pertanto, guaribile. Venne disposta l’immediata abolizione dei manicomi e l’istituzione di servizi psichiatrici presso le Usl. A più di trent’anni dalla legge Basaglia ci accorgiamo che è stata scritta una legge senza aver creato prima i presupposti per poterla applicare in tutte le sue forme corrette. Non esistendo adeguate strutture, il problema è stato scaricato sulle famiglie, lasciate sole a gestire questi familiari, con tutta la responsabilità ed i disagi che questo comporta. Alda Merini che pure aveva vissuto in prima persona la condizione di malata mentale, si lamentava non poco di questa buona legge rimasta poi monca: «i malati di mente sono rimasti abbandonati a se stessi, molti sono morti, si sono uccisi. Il matto viene soppresso, in questa società, non è produttivo...Quasi quasi vorrei dire di riaprirli, i manicomi. In fondo mi hanno curata, no?, almeno mi hanno accolta». E ride, «la verità è che Basaglia immaginava un amore tra pazzia e società, la non violenza verso il malato, ma la sua legge è stata negata, è rimasta incompiuta, perché ci volevano ospedali, ospedali veri e propri per curare le persone, altro che gli "operatori sociali": la mente umana è vasta come il mare, c' è bisogno di grandi medici, anche perché magari non si riconosce la violenza e si finisce per ritenere "pericoloso" chi è depresso per amore...». A mio avviso i malati di mente si dividono i tre categorie distinte: quelli che possono guarire, quelli che lo possono solo in parte e chi purtroppo non guarirà mai. Forse non era giusto aprire le porte per tutti, come non è giusto assistere all’andirivieni alle Asl, dove imbottiscono di psicofarmaci il malato e lo rispediscono a casa, da quei “poveri cristi” dei familiari che altro non possono fare che dare amore. Basterà solo quello?
Buona vita!
Maestrocastello.

lunedì 8 febbraio 2010

Peccati di gola.


Il peccato di gola o golosità appartiene ad uno dei sette vizi capitali che la Chiesa condanna, ritenendolo pericoloso proprio perché passa inosservato e non se ne conoscono gli effetti negativi che non sono pochi né di poca importanza. D'altra parte la prima tentazione con cui il Demonio si rivolge a Gesù dopo il suo digiuno di quaranta giorni nel deserto, riguardò appunto la soddisfazione della gola mediante la trasformazione delle pietre in pane (Lc 4, 1 – 13). La vita di Gesù e dei suoi Apostoli non è fatta di grandi mangiate, in ragione della povertà della loro condizione; tant’è che due volte si sono trovati in situazione di precarietà, per la presenza al seguito di una grande moltitudine di gente e Gesù è dovuto ricorrere al miracolo dei pani e dei pesci. Il peccato di gola lo riscontriamo in gente comune ed anche in molti ecclesiastici in alcuni periodi della storia della Chiesa. Alcuni papi e cardinali sono rimasti famosi per la loro ingordigia e per essersi circondati di scalchi (pregustatori), cuochi e sommelier e per aver organizzato pranzi luculliani nei palazzi apostolici che sono ricordati dalla storia. Dal Rinascimento al Settecento grandi banchetti caratterizzano la vita di corte di papi e cardinali, soprattutto alla corte di Avignone. Si ricordano pranzi faraonici di Bonifacio VIII, di Giovanni XXII, di Clemente VI (ben 27 portate), Martino V nell’anno santo del 1423, Paolo II a Venezia (l’abbondanza è tale che gli avanzi vengono buttati dalla loggia di piazza San Marco al popolo che si ammazza per arraffare il più possibile e non per ingordigia; ma per autentica fame). Memorabile è un banchetto del cardinale Pietro Riario articolato in sei giorni, dal sabato 5 giugno del 1473, vigilia di Pentecoste, a giovedì successivo, nel suo palazzo apostolico : ogni giorno il banchetto ha la durata di sei ore, suddiviso in tre portate di 42 vivande. Non gli sono da meno Sisto IV ed Alessandro VI; né tantomeno Pio V e Sisto V. I banchetti furono poi sospesi e ristabiliti in epoca barocca da Urbano VIII a Castelgandolfo. Si segnala il pranzo speciale in onore del papa organizzato da Donna Olimpia Aldobrandini il 12 ottobre 1625, alla presenza di 12 cardinali e numerosi patrizi romani. Il costo di 2000 scudi è stratosferico per l'epoca, come a dire 200.000 euro di oggi! L’ultimo papa dedito ai banchetti sarà Pio V che, nonostante l’insorgere del giacobinismo, si fa promotore di abbuffate pazzesche. Oggi il desinare dei papi desta la curiosità della gente comune e riempie le pagine di tanti rotocalchi che avrebbero altrimenti poco da scrivere. Si segnala la golosità di Pio IV per budini, sformati e cosce di rane fritte con aglio e prezzemolo. Gregorio Magno andava pazzo per le ciliegie, mentre Martino IV ghiotto di anguille che, secondo la leggenda, gli avrebbero procurato la morte per indigestione. Pio II ha voglia insaziabile di cacio pecorino che accompagna con fave, noci e pere; annaffiato da un buon bicchiere di Chianti. Leone X fa passare per “quaresimali” “granelli di pollo, legumi, agnello e vitello cotti al burro” e preparati espressamente per lui. Pio IX termina ogni volta il pasto col bignè alla crema, accompagnato da un bicchiere di Bordeaux rosso. Mentre tra i papi del Novecento s’impone la golosità di papa Giovanni XXIII che non nasconde le sue origini contadine e si fa preparare dalle suore piatti a base di verdure e polenta con farina esclusivamente del bergamasco e non disdegna taleggio e robiola. Paolo VI è l’ultimo papa amante della tavola ed anche per lui cucina prevalentemente contadina a base di “polenta e osei” ed uccelletti “scappati”, ovvero involtini di vitello ripieni di prosciutto crudo e parmigiano, rosolati al burro ed al vino bianco. Una specialità per niente peccaminosa.
Il piacere del mangiare e del bere è una delle cose belle della vita che va considerato un mezzo necessario e non un fine. Basterebbe soltanto ricordarsi che si mangia per vivere e non si vive per mangiare!
Diventa ancora molto più grave il peccato di gola se pensiamo che, ancora oggi, a fronte di pochi che mangiano a quattro ganasce, c'è una moltitudine di persone che si puzza di fame!
(le notizie riportate sono prese da “I peccati del Vaticano” di Claudio Rendina- Newton Compton Edizioni- seconda edizione 2009).
Buona vita!
maestrocastello

sabato 6 febbraio 2010

hai paura del giudizio degli altri?



VIVI COME CREDI
(di Charlie Chaplin)
C'era una volta una coppia con un figlio di 12 anni e un asino. Decisero insieme di viaggiare, di lavorare e di conoscere il mondo. Così partirono tutti e tre con il loro asino. Arrivati nel primo paese, la gente commentava: "Guardate quel ragazzo quanto è maleducato... lui sull'asino e i poveri genitori, già anziani, che lo tirano". Allora la moglie disse a suo marito: "Non permettiamo che la gente parli male di nostro figlio." Il marito lo fece scendere e salì sull'asino.

Arrivati al secondo paese, la gente mormorava: "Guardate che svergognato quel tipo... lascia che il ragazzo e la povera moglie tirino l'asino, mentre lui vi sta comodamente in groppa." Allora, presero la decisione di far salire la moglie, mentre padre e figlio tenevano le redini per tirare l'asino.

Arrivati al terzo paese, la gente commentava: "Povero uomo! Dopo aver lavorato tutto il giorno, lascia che la moglie salga sull'asino; e povero figlio, chissà cosa gli spetta, con una madre del genere!"
Allora si misero d'accordo e decisero di sedersi tutti e tre sull'asino per cominciare nuovamente il pellegrinaggio.

Arrivati al paese successivo, ascoltarono cosa diceva la gente del paese: "Sono delle bestie, più bestie dell'asino che li porta: gli spaccheranno la schiena!". Alla fine, decisero di scendere tutti e camminare insieme all'asino.
Ma, passando per il paese seguente, non potevano credere a ciò che le voci dicevano ridendo: "Guarda quei tre idioti; camminano, anche se hanno un asino che potrebbe portarli!

Conclusione: Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei.
Quindi: vivi come credi.
Fai cosa ti dice il cuore... ciò che vuoi... una vita è un'opera di teatro che non ha prove iniziali.
Quindi: canta, ridi, balla, ama... e vivi intensamente ogni momento della tua vita... prima che cali il sipario e l'opera finisca senza applausi.


(riflessioni...)
Max Weber, padre fondatore della moderna sociologia, afferma che il giudizio degli altri ci condiziona in maniera pesante. Noi ci muoviamo spesso con la mentalità “da gregge” e ciò che è giusto o sbagliato ci viene spesso impartito dai media e dagli altri componenti della nostra società. Fin da fanciulli ci adoperiamo per l’appartenenza ad un gruppo e ci adeguiamo alla moda dei più, per guadagnare la considerazione degli altri. E’ più facile adeguarsi che distinguersi e, comunemente, crediamo che la maggioranza abbia sempre ragione; perché la maggioranza comanda e non teme giudizi. Chi, invece, la pensa in modo diverso è costretto a da dare giustificazioni continue e rischia di restare ai margini. A diventare minoranza ci vuole coraggio; basta riappropriarsi della propria capacità di scelta ed essere consapevoli che si è il protagonista della propria vita, senza deleghe a nessuno. Per essere genuini, spontanei e non avere paura del giudizio degli altri dobbiamo aver lavorato prima ad una nostra trasformazione interiore.
Dice una massima:”non vince sempre chi arriva prima; ma, spesso, chi ha il coraggio di non mollare mai”. Fai secondo quanto insegna il poeta indiano Kabir : “Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l’unico che sorride e ognuno intorno a te piange”
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 4 febbraio 2010

Meta-nò o meta-ouì?


Da qualche tempo, tra le tante banalità della telepromozione, ce n’è una che cattura attenzione e sorrisi: è la serie di spot che il bravo Fiorello o, meglio, monsieur Fiorellò ha realizzato per reclamizzare la Fiat. Si apre il sipario e su di un palco avvolto da fumo e penombra appare un attore col maglione nero accollato e con la chioma semi-spettinata. Parla uno strano linguaggio, pare francese. Ma sì è francese! ma un po’ strano; perché mischiato al corrente italiano. Fa diventare francese ogni parola: il metano diventa “le metanò”, il finanziamento diventa “le finanziamònt”, la rottamazione “le rottamàr”. Questo moderno giullare, allo stesso modo degli attori itineranti della commedia dell’arte, usa questo intreccio di lingue, misto a parole inventate ed è aiutandosi col gesto e la mimica che rende possibile una comunicazione che strappa belle risate in appena un minuto di scena. Fiorello, sempre prodico di spunti geniali, aveva gia usato in passato il genere “grammelot” parodiando Carla Bruni e la lingua francese. Il "grammelot è appunto un genere recitativo che assembla insieme suoni e parole privi di significato, facendolo sembrare un discorso di senso compiuto. Questo genere antico era stato ripreso nel teatro dalle commedie di Dario Fo (la cosa buffa) e gli ha reso nientemeno che un Nobel. Ritornando a Fiorello c’è da dire che rimane uno dei pochi che brilla in questo mondo di manichini in permanente vetrina. Lui ha idee, simpatia, modestia e se mettesse la testa fuori dal plasma, lo potremmo davvero vedere dentro casa; perché sembra proprio uno di noi.
Grazie Fiorello! E come direbbe lui: “Il tempo stringe, quindi muvt, muvt….”
Buona vita!
Maestrocastello.

martedì 2 febbraio 2010

Non toglieteci anche l'aria!


Ancora una volta è scattato l’allarme “polveri sottili” che in molte città italiane hanno raggiunto picchi dieci volte più alti del limite consentito. Molteplici le cause che determinano questo fenomeno che si va ripetendo da un ventennio a questa parte. Tra il 2002 e il 2004 più di 8 mila decessi nelle principali città italiane sono stati attribuiti agli effetti, a lungo termine, delle polveri sottili. Si fatica non poco a prendere drastiche misure di contenimento da parte dei sindaci delle principali città e persino il blocco del traffico nei giorni festivi sembra un sacrificio insostenibile per la gente che intanto è esposta quotidianamente agli inquinanti, lungo le vie dello shopping, in una lotta senza tregua per i nostri polmoni. Quello che crediamo un problema nazionale, riguarda invece tutti gli inquilini di questo pianeta. Come mai siamo arrivati all’attuale situazione? La questione è antica: le nazioni industrializzate (compresa l’Italia) si sono sviluppate, soprattutto negli ultimi due secoli, depredando le risorse di quelle povere e inquinando il Pianeta, senza curarsene affatto. Quando leggevamo, negli anni sessanta, che le sostanze inquinanti avrebbero sconvolto gli equilibri vitali dell’uomo; accusavamo di catastrofismo tali studiosi. Oggi stiamo puntualmente pagando gli errori di quella crescita sfrenata e senza regole e pretendiamo pure che i poveri del pianeta si sviluppino moderatamente e soprattutto senza inquinare, perché a noi fa male. I paesi in via di sviluppo chiedono giustamente un impegno finanziario e tecnologico da quelli industrializzati, per la loro limitazione delle emissioni inquinanti e, francamente, non si può dar loro torto. Solo che ci troviamo tutti su un’unica barca che rischia presto di affondare, paesi poveri compresi. A dicembre si è svolta a Copenaghen, la 15esima Conferenza delle Parti della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici chiamata Cop15 ed è stata un fallimento: 193 Paesi che fanno parte del pianeta Terra, seduti insieme in una grande aula, non hanno preso alcuna decisione. Almeno nel COP3 svoltosi a Kyoto(Giappone) si era stabilito di ridurre le emissioni sia pure del 5% e pensate che gli scienziati, quelli seri, indicano in una riduzione del 60% di CO2 un passo veramente significativo per contrastare il riscaldamento climatico e gli effetti si vedrebbero solo dopo decenni. La conferenza è rimandata di qualche mese e noi, nel frattempo, non lasciamo che ci impediscano di avere un futuro!
Buona vita!
Maestrocastello.

lunedì 1 febbraio 2010

Perché la televisione mi infastidisce tanto?


“ Vi ricordiamo che oggi è l’ultimo giorno utile per rinnovare l’abbonamento alla televisione……” è stato il tormentone di questa ultima settimana che ci ha indispettiti non poco ; tant’è che mia moglie mi ha pregato di pagare presto questa ulteriore gabella, di cui avremmo fatto volentieri a meno, per non essere ulteriormente infastiditi. Mi sono chiesto spesso perché la televiosione mi infastidisce tanto ed ho trovato molteplici risposte. Il passaggio al digitale ha evidenziato il trionfalismo di tanti dirigenti rai con scarsa competenza ed esperienza nel settore. Anche nella mia regione tutto si è fatto, mettendo in moto gli immancabili fenomeni speculativi; ma nessuno ha pensato ai più poveri e agli anziani, l’anello debole, nelle fasi del passaggio al digitale . Posso capire l’emittenza commerciale, ma il servizio pubblico qualche riguardo ai suoi utenti lo dovrebbe pur usare; non fosse che per il canone che essi pagano annualmente. Ancora una volta si è anteposto il mercato alle persone. La tivvù di stato viene storicamente gestita da chi, al momento, detiene il potere ed usa il mezzo televisivo per una propaganda politica senza fine. Ma diamo uno sguardo all’nterno del contenitore: le pagliacciate della politica fanno la parte del leone e le subiamo sempre mentre mangiamo : (tg- approfondimenti- primipiani- portaaporte-oggialparlamento-matrix e quant’altro), il papa da piazza san Pietro è immancabile, i film tutti del tempo delle crociate (non se ne può più di “via col vento- amici miei- ladri di biciclette- pane amore e…- il marchese del grillo- bianco, rosso e verdone e mille altri che non sto a ricordare), l’intrattenimento che mette in piazza fatti privati (oggi vi raccontiamo la storia di…) e s’interessa dei pettegolezzi di gente famosa (veri e, spesso, inventati). Trasmissioni copiate da altri paesi, spettacoli di scarso interesse, dove tutti pretendono di essere protagonisti: Il grande fratello! L’isola dei famosi! La fattoria! Solo per citarne alcuni per tutti: la demenzialità più assoluta! La cosa più grave di tutte è vedere ospiti, in qualità di esperti, veline, personaggi dei reality, tronisti, ex presentatori, comici, escort o presunte tali che pretendono di dare pareri su come va affrontata la vita, spesso adoperando un linguaggio scurrile. Siamo all’assurdo! La colpa è anche la nostra che lasciamo troppo a lungo i piccoli davanti a questa trappola infernale che è la televisione, delegandole il delicato compito di educare i nostri figli. Non ci lamentiamo poi se da grandi vogliono essere tutti calciatori o veline e nessuno pensa più a diventare operaio o commessa. Per oggi questo può bastare, quindi, diamo lo stop alle telefonate!
Buona vita!
maestrocastello