giovedì 30 aprile 2009

Il mondo che vorrei. (primo maggio).


"Ed è proprio quello che non si potrebbe che vorrei, ed è sempre quello che non si farebbe che farei..."così canta Vasco Rossi nel suo pezzo “Il mondo che vorrei” che è anche il tema scelto per il concertone del Primo Maggio di quest’anno.
Tu cosa canteresti? Come lo vorresti il tuo mondo? Quale società, quale famiglia, quali amici, quale amore, quale scuola, quale lavoro……? E’ l’invito alla gente a scrivere mail e le più belle saranno lette da Sergio Castelletto sul palco di San Giovanni. Una cosa è certa aggiunge Vasco: “ …. dico che non è cosi il mondo che vorrei”. Il tema offre spunto di riflessione per ogni aspetto della nostra vita, in una giornata in cui si vuole celebrare particolarmente la festa dei lavoratori. Se pensiamo al mondo del lavoro, non è certo questo il mondo che vorremmo e non per fare polemica gratuita. Certo se pensiamo che per gli operai del primo novecento la giornata lavorativa si misurava secondo il sistema tradizionale di quel tempo: da quando si faceva giorno alle ultime luci del tramonto, più di 12 ore di lavoro giornaliere. Le categorie più agguerrite erano riuscite, a forza di scioperi, a strappare le 8 ore giornaliere. Nel settore della tessitura, invece, erano occupate donne, minori e gente di estrazione contadina: lì era difficile poter scioperare. Infatti le ore di luce giornaliera corrispondevano a quelle di lavoro ed il salario sia di donne che minori si aggirava intorno alla metà e al terzo di un operaio adulto. Il boom degli anni sessanta ci aveva forse abituati male: l’Italia contadina smetteva la zappa e indossava la tuta della grande industria e nelle case comparivano gli elettrodomestici. Il Sindacato ha ottenuto notevoli conquiste quando difendeva l’operaio ed ha perso colpi quando ha sconfinato nella partitocrazia. In tempi di reale recessione, dicono, è già tanto conservare il posto di lavoro! Guai a parlare di fabbriche che chiudono i cancelli, di padri in cassa integrazione, di precari quarantenni della scuola, di figli coi capelli bianchi ancora in cerca della prima occupazione. Una cosa almeno pretendiamo da questo mondo assurdo: che si arresti la lunga sfilza delle morti sul lavoro! Più messa in sicurezza nei cantieri e più controlli. Questo è il mondo che vorremmo: che un precario o un extracomunitario non debbano più rischiar la pelle per una giornata di lavoro. Mettere in sicurezza le strutture, mettere in sicurezza le persone, restituire dignità a chi si fa il culo per far arricchire un altro!
Questo è il mondo che vorremmo. Buon Primo Maggio a tutti!
Cordialmente maestrocastello.

martedì 28 aprile 2009

L'isola delle fiabe.


















Che maestro sono stato.
"Le fiabe nutrono in modo immediato come il latte, leggere e gradevoli, o come il miele, dolci e nutrienti, senza pesantezza terrestre", dicevano i fratelli Grimm.
L’origine delle fiabe è antica, in esse si può trovare il contenuto della grande storia universale dei tempi primordiali. “Le favole sono resti di una religiosità che affonda le radici nella preistoria e che comunica in immagini esperienze dell'anima e dello spirito”(Jacob Grimm). Erano in origine racconti orali sopravvissuti per secoli, passando di generazione in generazione. Quando arrivava un bardo tutto il paese si raccoglieva attorno a lui. Da lontano accorrevano anche gli abitanti di fattorie isolate, perché spesso erano l'unica fonte di notizie che le persone ricevevano nel corso dell'anno. Presso di noi le favole divennero ben presto tesori di famiglia. Solitamente spettava agli anziani l’onore e il dovere di raccontarle ai più giovani. I miei ricordi bambini vanno ai cantastorie che piombavano nelle piazzette del mio paese, come diversivo alla nostra semplice vita anni cinquanta e, con l’ausilio di cartelli, un menestrello raccontava di tradimenti, vendette, imprese di banditi ad una folla contadina che assorbiva ogni parola, commentando ogni passaggio, come fossero fatti accaduti veramente e ne avrebbero riparlato ancora nei giorni successivi. Ero letteralmente affascinato da ogni forma di fiaba o racconto che trascendesse la realtà e ne ho compreso le motivazioni solo molto dopo. Forse è un bene che la povera gente, non potendo governare la vita reale, possa rifugiarsi in una dimensione sia pure fantastica. Il mondo della fantasia era una zona franca per la mia educazione bambina, spesso coercitiva ed intrisa di moniti di una divinità quasi sempre punitiva. Prigioniero troppo presto del pensiero della morte, quel bimbo tentava di sfuggirvi dentro sogni che lo vedevano soccombere fatalmente in cadute ricorrenti nel vuoto della sua immaginazione; finchè una sera, non riuscendo a prender sonno, si chiese da dove la sua nonna prendeva i personaggi dei racconti. Fu così che si accorse dell’esistenza dell’isola delle fiabe e cominciarono i viaggi della fantasia: sui banchi della scuola mentre il maestro leggeva di un burattino di legno che diveniva bambino, nella pancia del cavallo di Troia, al fianco dell’astuto Ulisse o nelle profondità del mare, assieme ai personaggi di Verne. In quell'isola vinceva tutte le paure di bambino: l'uomo nero, l'orco, il malvagio risultavano sempre soccombenti. Quell’isola non l’ha più abbandonata e da grande vi ha accompagnato spesso i suoi alunni che non volevano più far ritorno nel reale. Le fiabe hanno rasserenato i suoi anni bambini ed ora illuminano di significato quelli adulti. Genitori, raccontate favole ai vostri figli; esse sono il legame che vi legheranno a loro. Un domani non si ricorderanno più dei giocattoli che avrete regalato loro, ma delle fiabe che avrete raccontato sì.
Per mostrarvi come si può educare tramite le favole a fortificare la fantasia dei fanciulli, allego un esempio del bel lavoro che si sta svolgendo nella scuola che mi ha visto all'opera fino a qualche mese addietro. E' stata attrezzata un'aula surreale che ospita i piccoli alunni delle elementari, dove settimanalmente si leggono o si raccontano fiabe. Colgo l'occasione per augurare ai colleghi della scuola Romanina un finale d'anno strepitoso. Un pò mi mancate!
cordialmente maestrocastello.

Progetto: "L'isola delle fiabe "
Scuola primaria
PROGETTO DI EDUCAZIONE ALLA LETTURA
Attenzione al mondo del bambino:“L’isola delle fiabe”
DESTINATARI: Tutti gli alunni della scuola primaria “Romanina”
OBIETTIVI- RISULTATI ATTESI
Assaporare la ricchezza dei libri e saper viaggiare con la mente;
Stimolare un atteggiamento positivo verso il libro;
Facilitare l’incontro tra le differenti culture presenti nel territorio;
Promuovere l’acquisizione della capacità di ascolto;
Sviluppare e potenziare le abilità comunicative;
Imparare a conoscere la diversità e condividerla come ricchezza.
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÁ ·
Incontri della durata di 60 minuti nell’aula adibita a “isola delle fiabe”; ·
Recita di filastrocche propedeutiche all’ascolto; ·
I bambini seduti a terra e liberi dalle scarpe si preparano all’ascolto con la mente, i sensi e il cuore; ·
La “signora delle fiabe” (un’insegnante coinvolta nel progetto) legge a voce alta uno o più testi; ·
Incontri con esperti del settore dell’editoria.
DURATA DEL PROGETTO Gennaio/ Maggio 2009
RISORSE UMANE 12 docenti della scuola primaria della "Romanina".

lunedì 27 aprile 2009

L'Aquila e gli avvoltoi.



Gli italiani si uniscono nel cordoglio per i molti morti a causa del terremoto e di politiche edilizie irresponsabili, mentre avvoltoi di ogni genere fiutano la ghiotta occasione per profitti vari. Mentre i soliti sciacalli profanano dimore di gente disperata, ancora fresche di dolore; c’è chi (tale fantomatico Marco Pelagatti), organizza truffe sul web, ideando finte sottoscrizioni a favore dei terremotati.
E’ vergognoso vedere come anche in queste occasioni ci sia sempre qualcuno che prova ad approfittarne. Il pericolo che si paventa nella fase di ricostruzione è l’intrusione delle mafie nazionali. Lo scrittore Roberto Saviano ricorda che è stato proprio questo il caso del grande terremoto dell’Irpinia del 1980, in cui 2735 persone persero la vita. ”Ciò che per la popolazione abruzzese è una tragedia, può per altri essere una possibilità, un’inesauribile miniera d’oro, il paradiso del profitto”.
Veniamo ad altre sgradevoli forme di profitto. Dal 6 aprile L’Aquila è stato luogo di continuo pellegrinaggio della politica nazionale: Silvio Berlusconi ha visitato ben sette volte quelle zone e secondo l’istituto IPR-Marketing : in un mese, la fiducia nel governo è salita di quattro punti percentuale. Sull’onda lunga dell’emozione c’è stata una riunione ministeriale proprio a L’Aquila e poi ci sarà il G8 a luglio ed è proprio di quest’oggi: lo spostamento di manifestazioni sportive già previste altrove. E’ stato già promesso che avranno casa in pochissimo tempo, forse già in estate. Attenti che la fretta è cattiva consigliera! Questa gente sa aspettare case fatte con la dovuta sicurezza.
Chi ha dato il peggio di se stessi sono i giornalisti, sempre fra i piedi, sempre a dire la loro con quell'aria affranta; ben sapendo quanto il dolore faccia ascolto. Una giornalista, in diretta dall'Aquila, si avvicina alle macchine e, bussando sui vetri, inizia a svegliare gli sfollati che dormono, chiedendo loro senazioni e stati d'animo. Ad un certo punto arriva a chiedere ad una famiglia come mai sono in macchina. L'audience, ecco la vera preoccupazione di qualcuno. Non ci credete? Guardatevi attentamente un minuti del video che segue.
cordialmente maestrocastello.

http://www.youtube.com/watch?v=C9kD0DRdxRA

giovedì 23 aprile 2009

La città dell'Aquila com'era prima.

Questo carosello di foto della città dell' Aquila vuole essere un omaggio a questa terra ed a questa gente ferita dal sisma. Penso che le immagini riescano a dire molto più di qualsiasi parola. Quanti capolavori perduti! L'abruzzese è persona caparbia e come tale saprà al più presto risollevarsi; naturalmente con il nostro aiuto sarà tutto più facile. Forza abruzzesi! (le foto sono prese da internet)
cordialmente maestrocastello.



mercoledì 22 aprile 2009

Nonna Mariannina.



Dei quattro nonni che di solito spettano a ciascuno me ne son toccati due solamente, i genitori di mia madre. Nonno Giovanni, di cui porto il nome, l’ho conosciuto solo a dodici anni, quando una nave lo riportò indietro dall’Australia dopo un’assenza di 37 anni, in compagnia di un’infinità di bagagli. Un valigione intero era stipato di tabacco delle migliori marche e divenne il bottino di noi nipoti, da poco dediti all’uso della nicotina. Nonna Mariannina è stata proprio una seconda mamma, non a caso dalle mie parti la nonna viene chiamata “mamma-nonna”. Questa donnetta nata nel 1898 era persona eccezionale, la ricordo sempre vestita a lutto, come se indossasse una veste monacale. Proprio come una religiosa, spesso s’imponeva la regola del digiuno e raramente la vedevi mangiar carne al venerdì, pure che non era giorno di precetto. Lei era come un faro per le famiglie assai prolifiche delle sue due figlie: Angela e Letizia. Era il “refugium peccatorum” degli undici nipoti, una specie di madre superiora. Quando volevi sfuggire ad una sicura punizione, correvi da nonna Mariannina che si frapponeva volentieri fra te e il tuo carnefice domestico, cioè tua madre che di punirti avrebbe avuto tutte le ragioni. Con noi era sempre affabile e difficilmente lasciava trasparire un cruccio o un risentimento. Praticamente faceva da completamento alla figura della prima mamma. Mia madre, per esempio, era restia a raccontarci fiabe: o che non aveva tempo o che arrivava a sera a corto di energie; quindi interveniva nonna Mariannina. Davanti al fuoco del camino ci raccontava favole che lei chiamava “Li cunte” (i racconti). Quello ricorrente era una variazione paesana della favola di Pollicino e parlava di un Orco che aveva sposato una vedova che aveva sette figlie piccoline, ma presto dimostrò la sua cattiveria ed un giorno si partì col carico delle piccole sulle spalle per “papparsele” nel bosco. L’orco era ignaro che sua moglie aveva sostituito il carico umano con dei vasi di terracotta pieni di acqua calda. Durante il tragitto i vasi inclinati perdevano e l’Orco credendo che le bimbe se la stessero facendo sotto per la paura, ripeteva una filastrocca la cui traduzione suona più o meno: “Come pisciano abbondanti queste fanciulle, al bosco facciamo i conti!”. Certo nel dialetto rende meglio, perché suona come un ritornello. Una volta giunto al bosco, l’Orco scoprì d’essere stato raggirato. Quel ritornello seguitava anche quando, uno dopo l’altro, nonna ci metteva a letto e, finchè non ci vedeva addormentati, ripeteva : “Cumme pisciene belle ste figliole….”. Mia nonna aspettò per ben 37 anni il suo Ulisse e ogni volta che il postino le recapitava una busta dal bordo colorato era festa in tutta la stradina del paese. Aveva scritto il nonno dall'Australia. Faticava a nascondere un’immancabile lacrima furtiva e poi si passava alla lettura, secondo una precisa gerarchia: prima nonna, seguivano le figlie e quindi toccava a quei nipoti già in grado di cimentarsi col sillabare. Alle comari, rimaste tutto il tempo sulle spine, veniva fatto solo un resoconto orale. La missiva veniva finalmente riposta religiosamente in una cassetta portamunizioni di metallo scuro, proprio come in un tabernacolo, insieme al resto della nutrita collezione che la nonna ogni tanto ci leggeva di ripasso. Penelope nell’attesa ventennale di Ulisse faceva e disfaceva una tela per ingannare il tempo; nonna Mariannina in un tempo, esattamente il doppio, faceva mille mestieri anche umili, per crescere le due figlie prima e gli undici nipoti successivamente. Ella aveva attenzione e riguardo per tutte le persone e l’espressione sua abituale era: “poveretto”. Noi la prendevamo in giro perchè la utilizzava indifferentemente anche per un re o per il papa. L’immagine che proprio non ho potuto mai scordare era quando passava il carretto dei gelati. Col tempo bello la vita del paese si svolgeva anche per la strada: le donne a cucire sulle scale e noi bambini a fare mille giochi. Inaspettatamente avvertivamo il trillo di un fischietto inconfondibile che annunciava l’arrivo del carretto dei gelati: di botto si smetteva di giocare e si era presi come da fibrillazione; ognuno correva dal parente adulto che implorava, aiutandosi col pianto. Noi partivamo alla volta della nonna che cominciava la difficile ricerca delle monetine in una tasca del grembiale, in cui c’era di tutto e cavava fuori, tra bottoni e pezzi di fettuccia, tante cinque lire per quanti erano i nipoti supplicanti.
Ad agosto del ’60 il suo Ulisse ritornò al paese e vissero sereni alcuni lustri, poi fu vedova veramente; ma ormai era già stata abituata. Gli anni finali li ha vissuti senza l’uso del parlare e si agitava se non la comprendevi. Dolce nonnina, mi piace ricordarti seduta davanti casa tua che mi facevi mille confidenze e pure quella volta che nella calza della Befana mi riservasti carbone al posto delle caramelle, dovevo averla fatta grossa; ma solo successivamente ho capito che anche quello era un tuo modo per dirmi quanto mi volevi bene.

martedì 21 aprile 2009

Che venticinque aprile sarà?


Da un po’ di tempo c’è il desiderio da più parti di riscrivere la storia, naturalmente ciascuno lo farebbe a modo proprio. La nostra Repubblica ha appena i capelli bianchi e non si smette di recriminare sul passato. Repubblica di Salò, prima repubblica, seconda repubblica; ma quando diventeremo veramente una repubblica, o meglio, un vero popolo? La storia è già tutta scritta da un bel pezzo, ma in noi permane l’antico vizio italico: la polemica gratuita. Prendete questo venticinque aprile, sembra una lotta all’arrembaggio, un mercatino delle idee dove ciascuno monta un banchetto per vendere solo le proprie ragioni. Ma quali sono i motivi che impediscono al 25 aprile di diventare una festa di tutti gli italiani?
La Resistenza nacque dall’impegno comune delle ricostituite forze armate del Regno del Sud, di liberi individui, partiti e movimenti che, dopo l’8 settembre del ’43, si opposero all’occupazione nazista dell’Italia e alla Repubblica Sociale Italiana, fondata da Benito Mussolini sul territorio controllato dalle truppe naziste. Il movimento fu caratterizzato dall’impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici). La logica vorrebbe vedere tutte queste forze parimenti coinvolte nella celebrazione di un avvenimento che riguarda tutti e che ha restituito dignità all'intero popolo italiano, senza distinzioni di colore e invece la situazione è un tantino ingarbugliata. Le forze di governo accusano la sinistra di aver monopolizzato politicamente la Resistenza e al loro interno si va dall’aperta ostilità dei pos-fascisti, al pacato interesse di chi aspira al 50% dei voti degli italiani e mostra qualche interesse per l’avvenimento; mentre c’è anche chi non aspetta altro che passi presto questo giorno e si vada già al 26 di aprile, perché non gliene frega niente. I motivi che hanno impedito al 25 aprile di diventare la festa di tutti gli italiani sono molteplici e non a caso negli ultimi decenni si è andati alla riscoperta delle varie resistenze: la resistenza dei soldati italiani prigionieri nei campi di prigionia, il contributo delle popolazioni cattoliche, la riscoperta di eroi partigiani estranei al comunismo ed ai soprusi commessi dagli stessi partigiani. Tutte queste polemiche proprio in un momento di crisi economica e morale, in pieno clima terremoto che ci ha appena visti far quadrato intorno ai fratelli dell’Abruzzo; ma si sa, siamo alla vigilia di elezioni e non possono non approfittare di gettar discredito sull'avversario di turno: tutti contro tutti: troppo spesso è in questo modo che si fa campagna elettorale. Così il 25 aprile alcuni saranno coi soldati e non coi partigiani, chi a ricordare partigiani liberali, chi festeggerà solo il santo del giorno, chi andra nei cimiteri americani per ricordare gli Alleati, chi ricorderà solo gli eroi dimenticati e chi andrà semplicemente al mare.
Spero che Silvio Berlusconi partecipi davvero alla ricorrenza senza essere fischiato e che, una volta tanto, domini il buon senso. Spero che ciascuno partecipi con spirito pacifico,che onori il sacrificio delle tante vittime che sono morti per darci dignità e, almeno per un giorno , si metta il bavaglio a tutte le polemiche.
cordialnente maestrocastello.

domenica 19 aprile 2009

laurea"ad honorem" per gli otto studenti vittime del terremoto.



Il crollo della casa dello studente dell'Aquila ha causato otto vittime. Il magistrato Alfredo Rossini, in questi giorni, ha aperto un'inchiesta "per omicidio e disastro colposo" in merito agli stabili, molti anche pubblici, crollati sotto l'urto del terremoto. Diversi studenti avevano denunciato con molto anticipo i difetti del moderno edificio di Via XX Settembre, l'arteria dove si sono registrate le devastazioni maggiori. Racconta Daniela Tomassetti che lei, e altri della Casa dello studente, avevano già trascorso diverse notti fuori dall'ostello, alcuni addirittura in auto. Fino al 30 marzo, quando una scossa raggiunse magnitudo 4 sulla scala Richter. Una brutta scossa. "Quel giorno chiesi all'amministrazione una verifica, arrivò l'architetto dello stabile, un sopralluogo durato appena 10 minuti, e se ne andò dicendo che era tutto a posto, nessun pericolo". Abbiamo tanta rabbia che per l'incuria di un manipolo di furbi: chi doveva costruire nel rispetto delle norme e chi quelle norme le doveva far rispettare, ora siamo a piangere le vite spezzate di questi nostri figli. Erano ragazzi meritevoli "tenga conto che, per avere il diritto di alloggiarvi, bisognava dimostrare di avere ottimi punteggi negli studi" dice Daniela e noi aggiungiamo che oltre ad essere meritevoli erano anche figli di povera gente, altrimenti avrebbero avuto una diversa collocazione. Poveri figli sfortunati!
Mi è balenata questa idea che ho girato subito a chi di dovere. Avrò mai una risposta?
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Gentile Signor Ministro Maria Stella Gelmini,
sono un maestro elementare di Roma che da giovane ha fatto il servizio di leva nella città dell'Aquila. Sono rimasto sconvolto, come tutti, dalle tragiche vicende di questa città che paga in termini di danni materiali e vittime umane. Come persona che ha lavorato tutta la vita nel mondo della scuola sono rimasto colpito dalle reazioni di un padre che ha perso il figlio sotto le macerie della casa dello studente dell'Aquila e, stringendo fra le mani il libretto universitario del figliolo, esclama: " è giusto che di mio figlio mi deve restare soltanto un libretto di studi?".
Avrei da suggerirle l'idea di assegnare la laurea "ad honorem" a tutti gli studenti universitari rimasti vittime del terremoto. Quei ragazzi avrebbero sicuramente raggiunto autonomamente gli obiettivi massimi dello studio se un destino assurdo non avesse spezzato prematuramente le loro giovani vite.
Se vorrà far suo questo suggerimento sono certo che sarebbe un modo degno di ricordare questi giovani, vittime sia delle intemperanze della natura che di errori di costruttori e amministratori sconsiderati. Un tale riconoscimento servirebbe a far sentire lo Stato vicino alle loro famiglie che tanto puntavano su di essi.
Le auguro buon lavoro.
maestrocastello

venerdì 17 aprile 2009

Il filo di Arianna, tom tom di antica generazione.




Minosse, re di Creta, diede incarico allo scultore ateniese Dedalo di costruire un labirinto talmente intricato dal quale nessuno sarebbe potuto uscire, per rinchiudervi il Minotauro, un essere mostruoso metà uomo e metà toro, in modo che non avesse alcuna possibilità di fuga. Dedalo costruì quello che è noto alla storia come il labirinto di Cnosso. Vuole la leggenda che il Minotauro venisse rinchiuso nel labirinto e che ogni anno sette giovani e sette fanciulle ateniesi venissero sacrificati al Minotauro per saziare la sua fame di carne umana. Per due volte fu ripetuto il sacrificio fino a quando, alla terza spedizione, giunse a Creta Teseo, giovane sovrano di Atene, fingendosi parte del gruppo dei sacrificandi, con l'intento di porre fine ai sacrifici. L'impresa era molto difficile non solo perché doveva uccidere il Minotauro, ma perché, una volta entrato nel labirinto, era impossibile uscirne. Il giovane si innamorò di Arianna, figlia di Minosse e da questa fu aiutato nell'impresa che avrebbe liberato Creta dal Minotauro. Infatti quando fu il turno di Teseo di entrare nel labirinto, questi dipanò lungo la strada un rocchetto d filo, fornitogli da Arianna, su suggerimento di Dedalo. Quando Teseo giunse al cospetto del mostro lo uccise e riavvolgendo il filo, riuscì ad uscire dal labirinto, grazie a questo rudimentale tom tom fatto con lo spago.
L’antichità non possedeva la moderna tecnologia e pure un semplice rocchetto come navigatore potè cavare Teseo dall’impiccio. Perrault che era un favolista, aveva pensato invece a delle briciole di pane come coordinate per indicare a Pollicino la strada del ritorno a casa, ma gli andò male per via dell’ingordigia di certi uccelli di passaggio. La stella cometa fu poi il tom tom che portò i Magi dritti alla grotta di Betlemme. Ai primi naviganti sarà venuto il collo lungo a forza di sbirciare sole, vento e stelle per seguire la giusta rotta, prima che qualcuno potesse pensare alla prima bussola che indicava sempre il nord. Oggi che la tecnologia è sviluppata ad un livello spaventoso possiamo lanciare un missile intelligente che colpirà un obiettivo anche a chilometri di distanza, con una precisione impressionante. Già, sempre a scopo distruttivo, quando l'uomo ha fatto un'invenzione! Nobel si rese conto solo molto tempo dopo della potenza distruttiva della sua dinamite e non c'è Premio Nobel che tenga per compensare a tutto il danno che producono le guerre. Ma torniamo al tom tom di ultima generazione. Da qualche tempo, infatti, ci affidiamo ad un tutor virtuale, una specie di "accompagno personale" che ci imbecca passo passo nei percorsi giornalieri, salvo ritrovarci in situazioni paradossali. Arriveremo pure a giusta destinazione, ma, in verità, stiamo perdendo quella nostra intraprendenza del passato, quando eravamo in grado di stabilire la nostra posizione dalla direzione di un vento o da quanto era alto il sole. Pensate che le formiche del deserto hanno un sistema interno al corpo, come un contapassi, che gli permette di calcolare le distanze e di ritrovare sempre la via di casa.. Belli i tempi quando un semplice rocchetto ti permetteva di tenere il filo. Sono leggende? Io amo le leggende!
cordialmente maestrocastello.

mercoledì 15 aprile 2009

Lettera ad un ragazzo del 2009 di Beppe Grillo.




Vi consiglio questa lettera di Beppe Grillo: "lettera ad un ragazzo del 2009" che trovo molto vicina ai miei pensieri. Anch’io, come lui, sessantenne ed ex ragazzo degli anni ’60 che pensava di cambiare il mondo. Faccio parte come lui della generazione che portava un "eskimo innocente dettato solo dalla povertà"(Guccini), aveva in tasca- sempre bene in vista- l'Unità, era in lotta permanente col mondo intero ed ha lasciato in eredità solo illusioni.
cordialmente maestrocastello.

"Caro ragazzo, cara ragazza del 2009,
sono un ex ragazzo degli anni ’60, mi chiamo Beppe Grillo, ho sessant’anni. Faccio parte della generazione che ti ha fottuto. Il tuo futuro è senza pensione, senza TFR, senza lavoro. Il tuo presente è nelle mani di vecchi incartapecoriti, imbellettati, finti giovani. Quando ero bambino l’aria e l’acqua erano pulite, il traffico era limitato, la mia famiglia non faceva debiti e tornavo a scuola da solo a piedi. Non c’erano scorte padane e neppure criminali stranieri in libertà. I condannati per mafia non diventavano senatori.
Le stragi di Stato non erano iniziate, Piazza Fontana a Milano era solo un posto in cui passavano i tram. Le imprese erano gestite da imprenditori. E’ strano dirlo ora, ma c’erano persone che investivano il loro denaro per sviluppare le aziende. E manager che vedevano lontano. Enrico Mattei dell’ENI, ucciso in un attentato, Adriano Olivetti, Mondadori, Ferrari, Borghi e cento altri che non ricordo. Intorno alle città c’erano i prati e non i cimiteri di cemento che chiamano unità residenziali. La bottiglia di latte la riportavo al lattaio e non costruivano inceneritori. La televisione era un servizio pubblico in cui lavoravano anche veri giornalisti come Enzo Biagi, e con solo un quarto d’ora di pubblicità al giorno. Quando si parlava si usava il tempo futuro. Il presente e soprattutto il passato erano verbi di complemento. I giardini pubblici erano puliti e sui marciapiedi si camminava senza doversi destreggiare tra le macchine parcheggiate. Le persone erano più gentili, spesso sorridevano. Sul Corriere della Sera scrivevano Montanelli, Buzzati e Pasolini.
I genitori sapevano che i loro figli avrebbero avuto un futuro migliore. Solo dal punto di vista economico, ma questo non potevano prevederlo. I fiumi erano puliti e si poteva fare il bagno nel fine settimana che non si chiamava ancora week end. L’unico problema era rappresentato dagli imprendibili tafani. Le spiagge erano libere e il mare quasi sempre verde azzurro. La P2 era una variabile al quadrato e non ancora l’antistato progettato da Cefis. Gelli non aveva arruolato il novizio Berlusconi con la tessera 1816. L’Italia era una e indivisibile e Bossi studiava alla scuola per corrispondenza Radio Elettra. Si lavorava duro, ma si poteva risparmiare e la pensione era un approdo sicuro. Era un piccolo Eden, ora perduto. Non sapevamo di averlo. Molti lo disprezzavano. Negli ultimi sessant’anni abbiamo avuto uno sviluppo senza progresso. E ora non ci resta neppure lo sviluppo.
Le generazioni che ti hanno preceduto meriterebbero un processo da parte tua, caro ragazzo e cara ragazza. Sono colpevoli di averti rubato il futuro. Loro vivono nel presente con la seconda casa, le pensioni senza base contributiva. Loro ti governano. L’Italia ha la coppia di cariche dello Stato Presidente/Primo ministro più vecchia del mondo. Loro usano la Polizia contro gli studenti e i precari. Loro hanno ucciso la democrazia e le aziende come Tronchetti e Geronzi, i brizzolati di successo.
Caro ragazzo e cara ragazza, non potete più stare a guardare, la vita vi scivola tra le mani. Voi, invece di lasciarla scivolare, trattenetela. Io non sono in grado di dare lezioni a nessuno. Ho fatto troppi sbagli e sono troppo vecchio (anche se non dimostro i miei anni, belin). Ma ho vissuto un tempo più bello, più vero, più colorato, più umano. E so che è possibile anche per voi.
Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.” Beppe Grillo

martedì 14 aprile 2009

Se la vita diventa un'abitudine.


Se la vita è un dono, l’abitudine è come rendere indietro anzitempo tale dono al legittimo proprietario, senza averne goduto tutti i benefici. L’azione ripetuta sempre a un modo è abitudine. Ne fai una, ne fai cento oppure mille; sono come una solamente. Quante azioni giornaliere sono meccanismi che fatichiamo a ricordare. Cos’hai mangiato ieri a pranzo? E ieri l’altro? E così via..
Naturalmente non lo puoi ricordare, perché le routine vengono eliminate dalla memoria.
E passi per il pranzo, ma quando riduciamo a routine giorni interi della nostra esistenza: colazione, autobus, ufficio, pranzo al tramezzino, palestra sotto casa, pizza per cena e film alla televisione; allora tutta la giornata, ridotta come l’automatismo di lavarsi i denti dopo un pasto, ossia ad abitudine, finirà come il resto nella spazzatura. Ma confidiamo nel fine settimana! Fantastico, parliamo del sabato in libera uscita: stessa pizzeria, stessa compagnia, dici le solite cazzate; magari parli ancora di lavoro. Non si esce dal discorso precedente. Insomma, per quanto divertente, guarderesti ripetutamente uno stesso film? Che palle! Vivi anni tutti uguali, come le croci di un sacrario, tutte bianche e della stessa dimensione. Ne puoi vivere trenta, cinquanta o cento di anni; tanto non passa differenza.
Mi sono imbattuto in una profonda poesia di Martha Medeiros, giornalista e scrittrice brasiliana che parla appunto dell’abitudine di vivere. La propongo, fiducioso che scateni delle riflessioni in tutti noi e forse ci aiuterà a vivere più intensamente questa vita.
Cordialmente maestrocastello

Ode alla vita di Martha Medeiros

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità

lunedì 13 aprile 2009

Pic-nic di Pasquetta: da Villa Certosa al prato di fronte casa mia!

Poichè, quest'anno, non siamo stati invitati da Silvio nella sua Villa Certosa, il “buen retiro” del Cavaliere in Sardegna( sarà stata una dimenticanza?... Lo voglio sperare!) e non potendoci immergere nella sua grande piscina a forma di palma e praticare la talassoterapia tra cactus e piante grasse; abbiamo optato per una più semplice gita di Pasquetta al prato di fronte casa mia. Niente jet privato, niente guardie del corpo e niente quegli odiosi cappellini del cavolo che ogni anno ci obbligava ad indossare. Tanto ci divertiamo lo stesso. Il pranzo sarà a base di grigliata di carne, arrosticini abbruzzesi, frittata di pasta avanzata dalla Pasqua, carciofi alla giudìa, tortino salato, pastiera dei giorni passati e vino della casa per tutti. Oggi tralasciamo i brutti pensieri che domani si ritorna a combattere.
Buon divertimento!
cordialmente maestrocastello.
(le foto più grandi raffigurano la Villa Certosa di Berlusconi in Sardegna)















Buon Dvertimento e.........
Questa Silvio me la paga!

sabato 11 aprile 2009

BUONA PASQUA A TUTTI.


La vita è un bene prezioso e non va banalizzata. La vita è un attimo, è vero, ma abbiamo tutto il tempo per lasciare un segno del nostro amore a chi ci è caro ed anche chi ha bisogno del nostro sostegno. Facciamo in modo che la terra sia più lieve a chi già domani tenterà di riprendere da dove aveva tralasciato.
BUONA PASQUA di cuore ai lettori di questo blog.
maestrocastello.

Per l'Abruzzo
48580 via sms
Un euro per L'Abruzzo
48580 da telefono fisso
Due euro per l'Abruzzo.

P.S. E' prossima la data di scadenza per la dichiarazione dei redditi e un modo per aiutare le popolazioni dell'Abruzzo alla ricostruzione può essere destinare ad esse l'8x1000. Propro oggi il governo ha deliberato in tal senso. Farete così della beneficenza in modo indolore per le vostre tasche.
Se non avete gia altre idee, pensateci!

La Via Crucis della gente d'Abruzzo.

Proprio oggi, venerdì di passione, si è svolta la celebrazione funebre delle vittime del terremoto abruzzese. Quelle centinaia di bare in fila ci fanno ricordare una delle ultime stazioni della Via Crucis, quando Gesù viene deposto dalla croce, in procinto del sepolcro. Quest’anno la gente aquilana non ha assistito alla rituale finzione scenica, ma ha vissuto una Via Crucis personale che perdura dalle prime ore di lunedì 6 aprile dell’anno del Signore 2009 ed erano le tre e trenta di notte. Cristo viene deposto dalla croce e trasportato da Maria ed altre donne; questi “poveri cristi” vengono deposti dalle macerie e trasportati dagli uomini della protezione civile, tra lo spavento, il pianto, la disperazione e mille altri sentimenti che nemmeno loro sanno raccontare.















Il Cristo poi è risorto dalla morte, come desideriamo per i nostri fratelli risorga presto la speranza del domani.

giovedì 9 aprile 2009

Il più umile fra loro.


E' GESU'che parla :

Se il vostro Gesù che chiamate con il nome di Maestro
Se il vostro Gesù che chiamate con il nome di Signore
Se il vostro Gesù ha lavato i vostri piedi con le mani sue
Se il vostro Gesù innanzi a voi s'è inginocchiato in segno d'umiltà
fate come lui
fate come lui
voi fate come me perché non c'è servo al mondo più grande
del suo padrone
ne ascoltatore più grande di chi parla.
In verità vi dico se fate come me
avrete rispettato la Sua volontà.
Sarete del mio gregge
l'acqua pura
il nido degli uccelli
quando è sera
il grembo dei bambini che son soli
dei vecchi che non sanno dove andare.
(da Gesù e Giuda – musical di Tony Cucchiara).

Ai vespri del Giovedì Santo si spogliano gli altari che raffigurano il corpo del Signore allorché fu spogliato e ridotto male dai soldati o, veramente, perché fu abbandonato dai discepoli che nella Scrittura Sacra sono chiamati “vestimenta di Dio”. Questa giornata segna la data del testamento spirituale, non scritto, che Gesù volle fare agli Apostoli, sapendo che li stava per lasciare. Dopo che si fu alzato dalla cena, il Signore versò dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli. Questo esempio lasciò loro. “Intendete quello che ho fatto a voi, io Signore e Maestro?” e disse poi “Vi ho dato l’esempio, affinché anche voi facciate ugualmente”. Uno di loro gli disse: ” Signore, che Voi a me lavate i piedi? ” . Lui rispose “ Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me”. Gesù con quel gesto intendeva raccomandare loro la pratica dell’umiltà. E’ questa appunto una grande lezione di umiltà che insegna come dovrebbe essere il carattere di un cristiano. Le ricorrenze possono rappresentare un’occasione per guadarci nel profondo, se solo tralasciamo l’aspetto coreografico della Pasqua. Cristo non è morto una sola volta; ma ri-muore ogni volta per la presunzione della gente, per l’aridità di chi non tende una mano ad un fratello, per l’egoismo di chi bada a interessi personali più che ai problemi della collettività pur avendone il mandato. “Esempio vi ho dato, affinchè lo stesso anche voi facciate. Se io, Signore e maestro vostro, vi ho lavato i piedi; quanto più dovete l’un l’altro lavarvi i piedi?”. Tutti quelli che si dicono cristiani, oggi, si lavano ancora i piedi l’un l’altro?
Cordialmente, maestrocastello.

mercoledì 8 aprile 2009

Pastiera napoletana.


La pastiera napoletana è il classico dolce pasquale partenopeo. Per i napoletani la pastiera non è solo un dolce, ma un vero e proprio rito con tempi e modalità ben definite: si prepara rigorosamente il giovedì santo e viene cotta in forni rionali, a temperatura dolce. Le origini della pastiera restano sconosciute, ma le leggende in materia si sprecano. La più conosciuta racconta che Maria Teresa d’Austria, consorte di Ferdinando II° di Borbone, soprannominata dai soldati ”la Regina che non sorride mai”, dopo aver assaggiato una fetta di pastiera, non potè fare a meno di sorridere. Pare che a questo punto il Re esclamasse: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, Ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.

Ricetta per 6 persone

Ingredienti per la pasta:
600 G Farina - 300 G Zucchero - 300 G Burro - 6 Tuorli d’'uovo.

Ingredienti per il ripieno:
50 G Grano - 500 G Ricotta - 3 Cucchiai Farina - 50 Cl Latte - 9 Uova Intere - Acqua Di Fiori D'arancio - 500 G Zucchero - 1 Noce Burro (o Sugna) - 150 G Canditi (cedro, Scorzette d'arancia).

PREPARAZIONE

L'involucro è una comune pasta sfoglia. Per il ripieno fate cuocere il grano coperto d'acqua con la noce di sugna o di burro per un paio di ore e preparate la crema pasticciera con i rossi d'uova, 1/2 l di latte, 3 cucchiai colmi di zucchero e tre cucchiai di farina. Passate o frullate la ricotta e mescolatevi lo zucchero rimasto, i tuorli delle uova avanzate, l'acqua di fiori, i canditi, la crema e, in ultimo, gli albumi montati a neve. Per la pastiera esistono due scuole e due gusti: c'è chi la vuole bassa 3-4 cm. e c'è chi la preferisce sui 5-6 cm. perché così resta più umida e profumata. Con la dose che vi ho dato potrete fare una pastiera piuttosto alta in una teglia di 27-28 cm. di diametro o una più bassa ed ancora più larga. Ho ritenuto di darvi delle dosi piuttosto generose perché si tratta di un dolce che si consuma in giorni di festa quando ci sono numerosi commensali: non va a male facilmente e potrete consumarlo nell'arco di 4-5 giorni. D'altronde, mi sembra assurdo fare un lavoro così elaborato solo per poche persone. Stendete i 2/3 della pasta e foderate come al solito la teglia che riempirete con il ripieno. La parte superiore di questo dolce, anziché completamente chiusa, deve essere schermata da strisce di pasta larga circa 2 cm. incrociate a griglia. Dopo aver allargata la pasta, tagliate quindi queste strisce e mettetele prima per un verso, lasciando fra l'una e l'altra circa 3 cm. di distanza, poi per l'altro verso, in modo che restino in vista dei rombi di ripieno. Mettete in forno già caldo a calore moderato e lasciate cuocere per 40-45 minuti se avrete fatto una pastiera bassa e per un'ora quasi se la pastiera sarà alta. Spento il forno mettete il dolce a raffreddare fuori se toccandolo al centro con i polpastrelli vi sembrerà asciutto; lasciatelo raffreddare nel forno se sarà ancora un po' molle. La pastiera comunque non deve essere troppo asciutta. Quando sarà fredda cospargetela di zucchero a velo: è preferibile mangiarla il giorno seguente, e dura anche diversi giorni. Non farà che migliorare nell'attesa.

martedì 7 aprile 2009

Storia di un terremoto annunciato?


“Tornano in alto ad ardere le favole / Cadranno colle foglie al primo vento” recita Ungaretti e domenica notte la gente aquilana ha visto crollare come foglie i propri sogni, sotto la furia di un vento funesto che non ammette distinzione. Come un avvoltoio, il sisma ha colto una comunità dormiente ed ha dissacrato sia civili abitazioni che luoghi di culto e case di studenti che di sogni ne cullavano parecchi; arrecando ferite fisiche e morali che difficilmente scorderemo. Ha cancellato letteralmente una città d’arte millenaria dal fascino inconfondibile e chi, come me, c’è stato militare lo può testimoniare. In casi come questi, non si smentisce mai il cuore della gente nostra, sempre pronta a far quadrato e ad aiutare chi ha più bisogno. Anche la politica, per una volta, ha tralasciato gli schiamazzi di cortile e s’è adeguata alla situazione. E’ la storia di un terremoto annunciato? Questa, piuttosto, è la polemica del momento, se questa tragedia poteva essere evitata. Le emissioni di gas radon da parte delle rocce sotto stress, le perturbazioni del campo elettromagnetico o il nervosismo degli animali possono bastare agli scienziati per prevedere esattamente un evento sismico? Ha ragione la scienza ufficiale ad affermare che i terremoti non sono prevedibili?
Oltre alle dolorose scene di macerie, le immagini televisive hanno anche mostrato una giovane mamma aquilana in procinto di partorire una bambina. La figlia di questo terremoto che proprio oggi è venuta alla luce rappresenta la speranza del futuro ed è a lei che dedichiamo gli altri versi della breve lirica di Ungaretti.”Ma venga un altro soffio, /ritornerà scintillamento nuovo”. Per lei le stelle torneranno a risplendere e con esse splenderanno anche le illusioni e i desideri crollati. La sua casa che un soffio crudele ha fatto dileguare sarà presto ricostruita e si spera che questa volta lo facciano coi dovuti accorgimenti. Gli stanziamenti vanno fatti prima che questi fatti accadono e non quando “i buoi sono scappati”. Con costruzioni adeguate, in Giappone si sopravvive tranquillamente a terremoti di 5/6 gradi di magnitudine o almeno si riducono i danni di parecchio.
Dedico un caro pensiero alle centinaia di vittime di questa catastrofe e ai loro cari. Un augurio speciale va ai genitori della bimba appena nata, che possano crescerla in una città ricostruita bene, dove non si dovranno più temere le tragedie a cui stiamo purtroppo assistendo in questi giorni.
Cordialmente maestrocastello.