martedì 31 marzo 2009
Trentuno di marzo.
In tempi come i nostri, dove la fantasia non trova casa nemmeno nella mente dei bambini; mi piace ricordare la leggenda di “Marzo e il Pastore” che trovava invece posto in tutti i libri di lettura degli anni sessanta.
“ Si era ai primi di marzo, il mese “pazzo” che ti scatena temporali rovinosi in giornate di sole primaverile e gelate improvvise dopo serate tiepide. Proprio per questa sua aria imprevedibile e dispettosa, marzo disponeva di soli trenta giornate di comando; mentre il tranquillo aprile ne aveva a sua disposizione ben 31 di giornate.
Una mattina un pastore si avviava bel bello al pascolo col suo gregge fatto anche di agnellini appena nati e ancora bisognosi di cure e di calore. Strada facendo, il pastore incontra Marzo chi gli chiese:
- Dove te andrai oggi, pastore, verso valle o salirai sui prati freschi di montagna?
- Andrò a valle, perché l’aria è ancora frasca- rispose il pastore, conoscendo il carattere dispettoso di Marzo.
Appena Marzo si fu allontanato, il pastore prese la strada di montagna; mentre Marzo scatenava un violento temporale al piano, con fulmini e grandine grande come uva. Solo a sera si accorse che il pastore lo aveva ingannato
Il giorno dopo Marzo incontrò di nuovo il pastore col suo gregge e gli chiese:
- Carissimo, dove condurrai oggi le tue pecore?
- Oggi senz’altro andrò in montagna! - rispose l’uomo.
Non appena Marzo si fu allontanato, però, il pastore si diresse verso il mare.
Quel giorno sulla montagna si abbatté un vero nubifragio senza però causare
alcun danno.
Per tutto il mese il furbo pastore riuscì a ingannare il dispettoso Marzo e il suo gregge restò al gran completo; anzi qualche ulteriore nascita lo aveva incrementato.
Giunto al suo ultimo giorno, il trentesimo, Marzo decise di andare dal suo
vicino Aprile e gli raccontò di come quell'accidente di un pastore, un ometto
qualunque, si fosse preso gioco di lui. Doveva vendicarsi… ma aveva bisogno di
un altro giorno. Aprile gliene concesse uno in prestito.
Poi il giorno dopo, quello che avrebbe dovuto essere il 1° aprile ma non lo era
più, Marzo si incontrò, come d'abitudine, col pastore e lo interrogò
ancora su dove stesse andando a pascolare il suo gregge.
- Andrò in montagna- disse il pastore – e questa volta lo farò davvero. Per
tutto il mese ti ho mentito, ma ora che marzo è finito, io non ho più nulla da
temere da te!
Così detto, si incamminò verso la montagna. Nel pomeriggio, una vera tempesta
di pioggia e grandine si abbatté sul pascolo di montagna; molti agnellini si
inzupparono fino alle ossa e morirono. Marzo aveva avuto la sua vendetta!
Da allora il mese di marzo ha avuto sempre 31 giorni , perché da dispettoso qual era non l’ha mai restituito indietro al suo vicino.
Quale morale possiamo trarre dal racconto?
Da bambini i genitori ci hanno insegnato che occorre sempre dire il vero, ma subito dopo aggiungevano anche :”fatti furbo!”.
Un detto popolare suggeriva un’altra verità: “Chi non sa fingere, non sa regnare!”.
Troppi insegnamenti, tutti insieme, ci creavano un po’ di confusione.
Cordialmente, maestrocastello
domenica 29 marzo 2009
Ivano Fossati "Mio fratello che guardi il mondo".
Dice Kahlil Ibran:" Il desiderio è metà della vita, l'indifferenza è metà della morte".
Imparariamo a donare, ricordando le parole di Fossati: "..se non c'è strada nel cuore degli altri, prima o poi si traccerà."; è la nostra speranza!
Buona visione del video, maestrocastello.
http://www.youtube.com/watch?v=mNwEEaYeomY
giovedì 26 marzo 2009
Cinema Italia.
martedì 24 marzo 2009
Non ho bisogno di denari.
Ho apprezzato subito questa poesia che vi propongo per il suo contenuto che mi riguarda personalmente, per il mio cattivo rapporto col denaro e che dovrebbe portare a noi tutti qualche contributo di riflessione.
NON HO BISOGNO DI DENARI.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all' orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
ALDA MERINI
sabato 21 marzo 2009
Primavera a confronto.
In città, non è mai primavera di Giovanni Papini.
Le nostre città non sono più coricate sui fioriti letti delle campagne.
Son rinserrate in una spaventosa cerchia di binari e di pali,
di cabine e d'antenne, di capannoni fuliginosi e di casamenti tetri.
Gli alberi intristiscono lungo il bitume degli stradali untuosi,
gli uccelli sono spariti, o se ci sono
il loro canto è vinto dai rombi e dagli ululati delle macchine,
mentre le fragranze dei fiori son sommerse dal puzzo della benzina,
della nafta e del fumo dell'antracite bruciata.
La scoperta della primavera, per gli abitanti delle grosse città, significa
un viaggio sempre più lungo e, molte volte, inutile.
Primavera di Diego Valeri.
Una distesa d'orti. In primo piano,
selvette d'insalata ricciolina,
viali d'aglio, qualche testolina
di fagiolo che spunta a far cucù;
dietro: tappeto di varia verdura
distesi in simmetria, tende pezzate,
molli trapunte, scure, fiocchettate
di verze gialle e cavolfiori blu;
nello sfondo: robinie che la guazza
ha ingioiellate di puri diamanti,
un filare di pioppi palpitanti
e il cielo azzurro... la serenità.
giovedì 19 marzo 2009
Peppedda.
L’esercizio era a carattere familiare e collaborava ad organizzare le varie attività commerciali il signor Costa, suo marito, che era dotato di un’ape (automezzo a tre ruote) che gli serviva per trasportare bombole di gas. Ci accorgemmo di lui una volta che chiedemmo dove potevamo acquistare della frutta. E Peppedda ci fece:
- Frutta vi occorre? Abbiamo albicòcche (disse piano e con la o molto stretta); ma non vedevamo in giro l’ombra di una sola albicocca.
Non ci eravamo accorti che aveva fatto un cenno al marito, il signor Costa, che era partito a razzo e presa una scala era salito su d’un albero dell’orto situato proprio alle spalle del negozio ed ora raccoglieva la frutta che sua moglie ci avrebbe venduto poco dopo. Da una finestrella assistemmo increduli a tutta la scena.
Era proprio il caso di dire: dal produttore al consumatore !
Ma il signor Costa lo avremmo conosciuto meglio di lì a qualche giorno, quando, appressandosi il giorno della partenza, chiedemmo a Peppedda se ci indicava un posto dove acquistare vino di proprietà, cioè fatto da privati. Naturalmente ci indicò suo marito e il signor Costa pretese di farci assaggiare prima il suo Cannonau. Il mattino seguente, mentre ci portavamo in spiaggia, pensammo bene di fare una visita a casa sua per l’acquisto del vino e quella visita non l’avremmo poi scordata per un pezzo. Quel basso ometto claudicante ci ricevette in casa sua con tutti gli onori e ci raccontò di sua figlia parrucchiera che esercitava vicino Roma e dopo poco si presentò con quattro bicchieroni con cui solitamente ti servono l’acqua nei bar, colmi fino all’orlo di rosso Cannonau di quindici gradi . Mia moglie del tutto astemia e i figli appena decenni mi facevano ampi cenni disperati di soccorso! Fu così che mi trovai, mio malgrado, a tracannare uno dopo l’altro tutto quel vino ed erano appena le dieci del mattino. Poco dopo, pur trovandoci al fresco di quella casa e non ancora in spiaggia, cominciai ad avvertire un caldo insopportabile. Pensavo al modo di combinare presto per il vino da acquistare e prendere congedo e feci
- Buono questo vino, complimenti!
- Io sono un tifoso del vino – fece il signor Costa che col termine “ tifoso” voleva intendere “appassionato”.
Ma io ostinato, feci una domanda stronza, invece di tagliar corto :
- Producete solo il rosso?
- Maledizione! ……. fece il Costa, balzando letteralmente sulla sedia e in un baleno sparì nuovamente. Al suo ritorno afferrava due bottiglie di bianco e….
- Una ce la bevviamo e una ve la regalo! Disse in tono tassativo.
Insomma si stava ripetendo la scena di poco prima col vino rosso: i bicchieri erano sempre quelli di prima, quattro bicchieri esagerati e si ripetè lo stesso cinematografo. Lui che si girava ed io che approfittavo per dare soccorso a qualche figlio: afferravo rapidamente il suo bicchiere ed al suo posto mettevo il mio che avevo già vuotato. Tracannavo con molta indifferenza, provocando le ilarità dei miei familiari che si divertivano da matti. Quando riuscimmo a prendere congedo ero gonfio come una spugna ed erano appena le dieci e mezza del mattino!
Al mare mi portai subito nell’acqua per cercare un qualche refrigerio, ma avevo movenze di un demente e suscitavo risate incontenibili nei miei che mi ripetevano di continuo :
- Maledizione!…… Io sono un tifoso del vino!…Forse avrò provocato anche la curiosità di quanti, vedendomi allegrotto, avranno pensato che ero un povero scemo che i familiari avevano portato al mare; mica sapevano che ero completamente ciucco, perché avevo in corpo quasi due litri di vino Cannonau ed erano appena le undici del mattino.
lunedì 16 marzo 2009
Siamo tutti emigranti !
Mario si allontana e ora sorride dentro. Si accorge che il suo passo non è più incerto e intanto l’altro non smette di sbracciarsi per riconoscenza. Mentre continua la sua strada, Mario pensa a don Milani, prete-amico di deboli e diseredati : "Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri".
venerdì 13 marzo 2009
" Dopo Carosello, tutti a nanna! "
mercoledì 11 marzo 2009
" Domenica è sempre domenica....."
domenica 8 marzo 2009
Le donne sono stufe di commemorare!
giovedì 5 marzo 2009
Che maestro sono stato?..............parte seconda.
Le cinque classi delle elementari non le ho frequentate tutte in un edificio regolare, come avviene normalmente. Mi è capitato anche di frequentare un paio di classi in case private che il Comune del mio paese prendeva in affitto, per ovviare alla carenza delle aule. In "seconda" avevamo per scuola una casetta con due stanze, situate su due piani e collegate da una ripida scala di legno, tutta tarlata, che noi chiamavamo “scalone”. Quei locali avevano come impianto di riscaldamento una misera stufa a legna, solo al piano superiore, che riscaldava poco e male. Non essendoci molto spazio, non esisteva una cattedra per il maestro che stazionava perennemente col culo appiccicato alla stufetta; mentre noi eravamo nel locale sottostante. Chi provvedeva al buon funzionamento della stufa? Noi, naturalmente! Tre-quattro alunni, a turno, avevamo l’incarico di arrivare mezz’ora prima che cominciassero le lezioni, provvisti di qualche ciocco di legna che portavamo da casa e provvedevamo all’accensione della stufa che doveva essere pronta per l’arrivo del signor maestro. Al suo arrivo, il maestro si toglieva i guanti di lana grigia, ispezionava l’intensità della fiamma, si fregava le mani ed estraeva dalla sua cartella marrone un immancabile involucro di carta oleata che depositava sulla stufa; quindi ci spediva tutti nel locale sottostante. Uno di noi aveva l’incarico di capoclasse. Eri scelto quasi mai per meriti scolastici, ma per tutt’altro: perché eri un conoscente del maestro, figlio di genitore "in vista" del paese o perché avevi la possibilità di portargli dei regali. Il maestro passava la mattinata a sfogliar delle riviste e scendeva nell’aula inferiore solo per dettare il compito che noi eseguivamo sotto la stretta sorveglianza del capoclasse-spia. I banchi avevano un foro rotondo sul pianale per accogliere un calamaio di vetro o di plastica che il bidello provvedeva a riempire periodicamente di inchiostro nero. Era sempre un teatrino quando tiravamo fuori le penne e provavamo, sulla carta assorbente, i pennini che si spuntavano facilmente. Alcuni avevano un osso di seppia e vi sfregavano contro il pennino che ritornava come nuovo. Tanti di noi avevano geloni nelle mani e facevano fatica ad usar subito la penna ed anche chi non li aveva, ne era impedito dal troppo freddo. Il guaio dei pennini era che facilmente macchiavano i quaderni, con notevole disappunto del maestro e per lui, anche se perfetto, un compito macchiato era come una fedina penale sporca! Quando eravamo finalmente intenti a compitare, dal piano superiore, prima sottile e poi sempre più pressante, arrivava un profumo di pane caldo con ripieno di salsiccia che il maestro stava facendo rosolare bene al calore della stufa. In quei momenti puoi misurare tutta la resistenza di un uomo! Ed io che ero poco più che un bimbo, spesso ho rischiato di svenire. E non parlo per il freddo, ma proprio per la fame! Puntualmente alzavo gli occhi allo scalone e pensavo deciso: “da grande farò il maestro elementare!”. E quando riteneva caldo al punto giusto il desinare, l’emerito insegnante, da sopra sentenziava : “ E’ ora della colazione!”. Era una vera provocazione per gente come noi che si puzzava dalla fame. Chi ce l’aveva, cavava dalla cartella un frutto, un pezzo di pane battezzato con l'olio o qualche noce ed il gioco era fatto! Tanti, invece, attaccavano subito a giocare per non pensare ed esorcizzavano così la fame che si aggirava maligna tra i nostri banchi.
mercoledì 4 marzo 2009
Francia - Italia (mondiali 1998)........ 8 luglio.
Intanto la febbre del pallone ha decimato dalla spiaggia quasi tutti i bagnanti di sesso maschile, ma non ha rapito anche me che ammiro estasiato quel piccolino che continua imperterrito ad attaccare il suo grande pane.
Siamo tutti davanti a quello stesso mare che io divoro a pezzetti, proprio come fa il bimbo col suo pane, davanti a questo mare stupendo nelle sue mille sfumature di verde : più chiaro alla riva e sempre più marcato quando prende il largo; fino ad incupirsi del tutto quando incontra la linea dell’orizzonte.
Le donne dalla spiaggia sono sempre in attesa dell’urlo liberatorio dei mariti che non arriverà mai, mentre io sono disteso sulla riva e mi lascio lambire da un’onda troppo regolare e troppo stanca; desideroso che il suo ritmo mi svuoti gradualmente, fino a farmi scordare di me stesso.
L’urlo dei patiti del pallone non arriva e un’onda galeotta mi sommerge completamente, consegnandomi al mare.
Il bimbo?..... L’ha avuta finalmente vinta sul suo pane!
La partita si è risolta male ai calci di rigore e gli uomini ritornano delusi verso il mare, a sfogare in acqua tutta la collera del momento ed io che sono sempre in cerca di nuove forme di emozione, ripongo in una grossa sacca avanzi di giornata e la speranza di ritrovar me stesso.
lunedì 2 marzo 2009
"Valore" di Erri De Luca.
Avevo piacere di far conoscere Erri De Luca, scrittore-poeta napoletano, peraltro mio coetaneo , che avevo notato nelle “Invasioni barbariche” della talentosa Daria Bignardi di qualche anno addietro. Mi aveva colpito la sua storia di poeta-operaio e il modo semplice e diretto di comunicare idee e sensazioni. Oltre ad ammirare il suo impegno civile e sociale, successivamente, ho potuto apprezzare in lui lo scrittore e poeta dal tratto inconfondibile per la sua profondità ,chiarezza, musicalità e modernità dei temi affrontati. Poiché abbiamo avviato, ultimamente, la nostra riflessione sul tema dei valori; volevo far conoscere a quanti non l’avessero ancora letta la composizione poetica di Erri De Luca “Valore”, per proporre spunti di approfondimento sull’argomento.
domenica 1 marzo 2009
19 luglio. Il nuoto.
Dice il poeta: “… immergersi nell’acqua è come immergersi nell’infinito…”, è come lanciarsi in una dimensione surreale alla ricerca di un illusorio orizzonte che libera la mente dagli assilli del reale, dove, sospinto da un corpo divenuto magicamente leggero, sei finalmente alla ricerca di te stesso e della tua vera identità.
Il mare è un palcoscenico incredibile, in cui capita di tutto e gli fa da proscenio ideale la spiaggia, da cui parenti suggeritori danno consigli agli attori-bagnanti che si esibiscono nell’acqua. Vedi bambini dapprima letteralmente impazziti per il divertimento che procura loro giocare con l'acqua, diventare poi tristi; perché puntualmente imbeccati dagli adulti, quasi sempre imperiosi che scaricano su di essi le proprie ansie mal represse. Altri, a bordo dei grandi, vivono invece più serenamente le prime esperienze con l’acqua. Ragazzotti maggiormente spavaldi sfoderano i vari stili di nuoto, per catturare l’attenzione di maschiette finte-distratte. C’è pure chi è da mezz’ora nell’acqua, sempre all’impiedi, e ritarda all'infinito il momento del tuffo, nel timore di essere osservato. Certi, non più giovani, giocano a fare i ragazzi, improvvisando tuffi e capriole e si divertono da matti. E che dire di quelli che, armati di maschere nuove di zecca, esplorano fondali troppo bassi; suscitando le risate degli astanti? C’è pure chi amoreggia nuotando e chi si diverte da un’ora rincorrendo semplicemente una palla. Il mare accoglie tutti noi e forse anche lui se la ride come un matto.