giovedì 31 dicembre 2009

IL PRIMO GIORNO DELL'ANNO

di Pablo Neruda

Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.
Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli…
La terra accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell’ombra.
Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.


Trovo geniali gli ultimi versi e.... ,come dice Neruda, prepariamoci a vivere questo 2010 in altro modo, prepariamoci a mangiare, a fiorire e, soprattutto, a sperare!

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maestrocastello.

Lo "steccato"


C'era una volta un ragazzo con un brutto carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno. Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato.
Nelle settimane seguenti, imparò a controllarsi e il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì giorno per giorno: aveva scoperto che era molto più facile controllarsi che piantare chiodi.
Finalmente arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò alcun chiodo nello steccato.
Allora andò dal padre e gli disse che per quel giorno non aveva piantato alcun chiodo.
Il padre allora gli disse di levare un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non aveva perso la pazienza e litigato con qualcuno.
I giorni passarono e finalmente il ragazzo poté dire al padre che aveva levato tutti i chiodi dallo steccato.
Il padre portò il ragazzo davanti allo steccato e gli disse: "Figlio mio, ti sei comportato bene ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato"!
Lo steccato non sarà mai più come prima.
Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste.
Puoi piantare un coltello in un uomo, e poi levarlo, ma rimarrà sempre una ferita. Non importa quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà.
Una ferita verbale fa male quanto una fisica.
(Anonimo - traduzione dall’inglese di G. Carro).



Chi è povero e debole spiritualmente in genere cerca di vendicarsi, più o meno inconsapevolmente, perchè egli non è capace di perdonare, di capire gli altri e di girare pagina all'istante; ma cercerà di vendicarsi come può, sbarazzandosi del nemico e disseminando chiodi dappertutto.
Ma non si può vincere i cattivi con la cattiveria, i calunniatori con la calunnia, i gelosi con la gelosia, i collerici con la collera ed i violenti con la violenza!.. poichè significa identificarsi con loro.. mettersi al loro livello.. restare nella zona bassa, legarsi all'inconsapevolezza e conseguentemente alla sofferenza. Tutti quei chiodi sono davvero tanti coltelli che piantiamo negli altri ed in noi stessi. Per difendere e diferdersi dalle offese, è necessario non restare nella stessa onda di chi ti ha offeso. Dobbiamo salire di un'ottava, dobbiamo raggiungere la regione dove brilla la nostra Luce, dove nessun pensiero velenoso possa raggiungerci e ferirci...
Per il nuovo anno ? Promettiamoci di non procurar ferite!
Buona vita e Buon Anno !
maestrocastello.

mercoledì 30 dicembre 2009

BUON ANNO 2010 !





"La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare" (A. Schopenhauer).
Fare gli auguri non è altro che accendere in chi li riceve una speranza nel domani.
Auguro a tutti i lettori un anno zeppo di avvenimenti belli e la capacità di considerare quelli brutti, solo come incidenti di percorso o (se volete) come prove di vita che aiutano a crescere.
Buon anno!
maestrocastello.

giovedì 24 dicembre 2009

Buone feste!




In occasione di questo Natale il blog maestrocastello compie un anno di vita. Anche se non continuativamente, ho cercato di condividere emozioni, partecipare problematiche di interesse generale, cercando di evitare, come promesso, coinvolgimenti politici. Nella speranza che la partecipazione sia più ampia, auguro a tutti i lettori buone feste!
maestrocastello

mercoledì 23 dicembre 2009

Aspettando il Natale.



« Io che conosco bene l'idee tue
so' certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me...Semo compagni

No, no - rispose er Gatto senza core -
io non divido gnente co' nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno so' conservatore
(Trilussa)

L’amore oggi si veste di formalità e consuetudine, di gesti ripetitivi e storie già narrate. C’è bisogno di Natale per smuovere coscienze e costringerci ad un buonismo di maniera? “A Natale bisogna essere più buoni” e poi? Tornare nell’indifferenza di sempre. Tanti si comportano proprio come il gatto di Trilussa: predicano, a digiuno, amore e fratellanza e quando gli capita di papparsi un pollo, si ricordano, improvvisamente, di essere figli unici. Mi ricorda tanto il linguaggio di moda nella politica italiana. Non tutti, però, si comportano in questo stesso modo, ci sono anche i personaggi famosi che, poverini, sono “testimonial di lusso”per un giorno, signore impellicciate che organizzano serate di beneficenza e politici che distribuiscono panettoni ai carcerati; basta che tutto poi si risappia in giro. La cosa più penosa sono i pranzi organizzati per poveri ed anziani, trasmessi puntualmente in televisione; come se questi disgraziati avessero diritto ad un solo pranzo all’anno! E meno male che l’insegnamento evangelico ammoniva: “Quando fai l’elemosina non suonare la tromba davanti a te..” e ancora: “la tua mano destra non sappia cosa fa la la sinistra” . C'è da ricordarsi che l’elemosina nel segreto è il gesto concreto di fare qualcosa di buono per chi non potrebbe procurarsi il necessario con le sue sole forze. Che si delinea così una relazione di fratellanza nonostante la disparità sociale, di fronte a Dio ; un’uguaglianza manifestata nell’aiuto concreto di chi può verso chi non ha. E ricordiamo anche che è Natale tutto un anno! E' Natale ogni volta che facciamo nascere l'amore nei nostri cuori! Auguri!


Buona vita e Buon Natale!
maestrocastello

martedì 22 dicembre 2009


Glitterfy.com - Glitter Gráficos em Português




Tu
che
ne dici
SIGNORE se
in questo Natale
faccio un bell’albero
dentro il mio cuore, e ci
attacco, invece dei regali,
i nomi di tutti i miei amici: gli
amici lontani e gli amici vicini, quelli
vecchi e i nuovi, quelli che vedo ogni gior-
no e quelli che vedo di rado, quelli che ricordo
sempre e quelli a volte dimenticati, quelli costanti
e quelli alterni, quelli che, senza volerlo, ho fatto soffrire
e quelli che, senza volerlo, mi hanno fatto soffrire, quelli che
conosco profondamente e quelli che conosco appena, quelli che mi
devono poco e quelli ai quali devo molto, i miei amici semplici ed i miei
amici importanti, i nomi di tutti quanti sono passati nella mia vita.

Un albero con radici
molto profonde, perché
i loro nomi non escano
mai dal mio cuore; un
albero dai rami molto
grandi, perché i nuovi
nomi venuti da tutto il
mondo si uniscano ai già
esistenti, un albero con
un’ombra molto gradevole
affinché la nostra amicizia,
sia un momento di riposo
durante le lotte della vita



Tratto da "Fantasiando Natale"

lunedì 21 dicembre 2009

LEZIONE DI VITA.


Glitterfy.com - Glitter Gráficos em Português

Qualche tempo fa quando un gelato costava molto meno di oggi, un bambino di dieci anni entrò in un bar e si sedette al tavolino. Una cameriera gli portò un bicchiere d'acqua.
"Quanto costa un sundae?" chiese il bambino.
"Cinquanta centesimi" rispose la cameriera.
Il bambino prese delle monete dalla tasca e cominciò a contarle. "Bene, quanto costa un gelato semplice?".
In quel momento c'erano altre persone che aspettavano e la ragazza cominciava un po' a perdere la pazienza.
"35 centesimi!" gli rispose la ragazza in maniera brusca.
Il bambino contò le monete ancora una volta e disse: "Allora mi porti un gelato semplice!".
La cameriera gli portò il gelato e il conto. Il bambino finì il suo gelato, pagò il conto alla cassa e uscì.
Quando la cameriera tornò al tavolo per pulirlo cominciò a piangere perché lì, ad un angolo del piatto, c'erano 15 centesimi di mancia per lei.
Il bambino non chiese il Sundae per riservare la mancia alla cameriera.
(da Nardo riflessioni)
PER LA RIFLESSIONE
Sono quei piccoli fatti che ci lasciano impietriti, perchè non hanno bisogno di essere spiegati con parole. Se solo, ogni tanto, concedessimo qualche pausa alle quotidiane tensioni, non ci capiterebbe di ricevere proprio da un bimbo una eloquente lezione di vita. Essere bruschi è una reazione che ci viene spontanea, più difficile resta invece sorridere nonostante tutto. Forse è in quest’ultima direzione che dovremmo lavorare maggiormente.
Buona vita!
maestrocastello

domenica 20 dicembre 2009

Tradizioni natalizie




Francia
In Francia Babbo Natale non lascia i suoi regali sotto l'Albero di Natale, ma dentro le scarpe dei bimbi!
Il presepe, chiamato CRECHE è molto popolare.
Si brucia il legno di Natale -- un grande legno che deve ardere durante tutto il giorno di Natale, dopodiché si mangia la "Buche de Noel", una torta al cioccolato che assomiglia ad un legno!
Polonia
Le famiglie polacche celebrano il Natale con un pasto di 12 portate.
Si lascia sempre un po' di spazio in tavola, in caso arrivi un ospite inatteso.
In molte case ancora oggi si mettono dei covoni di grano nei quattro angoli di una stanza, in memoria della stalla dove nacque Gesù Bambino.
Spagna
In Spagna le celebrazioni per il Natale iniziano l'8 Dicembre con l'Immacolata Concezione.
I presepi sono chiamati "Nacimientos", e proprio come da noi si preparano all'interno delle case e delle chiese. Le famiglie si riuniscono per cantare i canti tipici di Natale davanti alla scena della Natività.
Si donano vestiti e cibarie ai più poveri per portare fortuna nel nuovo anno.
Il 6 Gennaio i Re Magi (sulla via per Betlemme) portano dei doni ai bambini.
Germania
L'Albero di Natale è originario della Foresta Nera in Germania.
Alcuni dolci tipici del Natale, come il marzapane, sono tipici di questa zona.
Qui si utilizzano moltissimo il Calendario dell'Avvento e la Ghirlanda dell'Avvento per segnare quanti giorni mancano sino al Natale.
I bimbi ricevono i doni da San Nicola (St. Nicholas).
Svezia
In un luogo dove regna il buio per mesi e mesi, il Natale è celebrato con tanta LUCE.
Le celebrazioni del Natale iniziano il 13 Dicembre con la festa di Santa Lucia: una bambina deve indossare un abito bianco e una corona di candele, e deve poi svegliare le famiglie che dormono e mangiare con loro la colazione a base di torta e caffè.
Il pranzo di Natale svedese include tanto maiale arrosto e tanta Torta di Natale.
(da La classe dei balocchi).

Paese che vai, usanza che trovi.

sabato 19 dicembre 2009

Letterine di Natale


Ho scovato sul web pezzi di letterine di Natale di bambini che trovo molto divertenti per originalità e fantasia e le voglio condividere con i lettori del blog, così avremo da farci anche qualche risata; dimenticando per un momento tutto il resto.

"Caro Gesù, la giraffa la volevi proprio così o è stato un incidente?"

"Caro Gesù Bambino, i miei compagni di scuola scrivono tutti a Babbo Natale, ma io non mi fido di quello.
Preferisco te."
Sara

"Caro Gesù, sei davvero invisibile o è solo un trucco?"
Giovanni

"Caro Gesù, Don Mario è un tuo amico oppure lo conosci solo per lavoro?"
Antonio

"Caro Gesù, mi piace tanto il padrenostro. Ti è venuta subito o l'hai dovuta fare tante volte?
Io quello che scrivo lo devo rifare un sacco di volte."
Andrea

"Caro Gesù, come mai non hai inventato nessun nuovo animale negli ultimi tempi?
Abbiamo sempre i soliti
Laura

"Caro Gesù, per favore metti un altro po di vacanza fra Natale e Pasqua.
In mezzo adesso non c'è niente."
Marco

"Caro Gesù bambino, per piacere mandami un cucciolo.
Non ho mai chiesto niente prima, puoi controllare."
Bruno

"Caro Gesù, forse Caino e Abele non si ammazzavano tanto se avessero avuto una stanza per uno.
Con mio fratello funziona."
Lorenzo

"Caro Gesù, a carnevale mi travestirò da diavolo, ciai niente in contrario?"
Michela

"Caro Gesù, tu che vedi tutto mi dici chi mi ha nascosto l'astuccio?"
Marco

"Caro Gesù, mi chiamo Andrea e il mio fisico è basso, magrino, ma non debole. Mio fratello dice che ho una faccia orrenda, ma sono contento perchè così non avrò quelle mogli che stanno sempre tra i piedi a fare pettegolezzi."
Andrea

"Caro gesù, abbiamo studiato che Tommaso Edison ha inventato la luce.
Ma al catechismo dicono che sei stato tu. Per me lui ti ha rubato l'idea."
Daria

"Caro Gesù Bambino, grazie per il fratellino. Ma veramente avevo pregato per un cane."
Gianluca

"Caro Gesù, non credo che ci possa essere un Dio meglio di te.
Bè, volevo solo fartelo sapere ma non è che te lo dico perchè sei Dio."
Valerio

"Caro Gesù, i cattivi ridevano di Noè, stupidino, ti sei fatto un'arca sulla terra asciutta. Ma lui è stato furbo a mettersi con tuo padre, anche io farei così."
Edoardo

"Caro Gesù, lo sai che mi piace proprio come hai fatto la mia fidanzata Simonetta?"
Matteo

"Caro Gesù, invece di far morire le persone e di farne di nuove, perchè non tieni quelle che hai già?"
Marcello

"Caro Gesù, la storia che mi piace di più è quella dove cammini sulle acque.
Te ne sei inventate di belle. La mia seconda preferita è quella dei pani e dei pesci."
Antonella

"Caro Gesù, se tu non facevi estinguere i dinosauri noi non ci avevamo il posto, hai fatto proprio bene."
Maurizio

"Caro Gesù Bambino, non comprare i regali nel negozio sotto casa, la mamma dice che sono dei ladri.
Molto meglio l'iper."
Lucia

mercoledì 16 dicembre 2009

Caro Gesù Bambino,


quest’anno, per la prima volta, a casa nostra abbiamo deciso di non farci regali per il prossimo Natale, data la situazione critica che non ci costringe, è vero, a particolari ristrettezze; ma ci chiama, per una volta, ad uno sforzo di buon senso. Tanto ci vogliamo tutti un gran bene e ce lo dimostriamo aiutandoci durante tutto l’anno, specialmente quando qualcuno di noi attraversa un momento di bisogno. Credo che capirai benissimo, proprio Tu che hai scelto di nascere in condizioni di estremo disagio. Noi non possiamo davvero lamentarci, il problema fosse solo quello dei regali; se pensiamo a quanta povertà affligge questo mondo. Il Natale non dovrebbe servire d’occasione per dimostrare affetto ad amici e parenti e per dare una mano a tanta povera gente? Passi l’ indifferenza difronte al fratello che soffre, ma perché permetti che tanti comuni del bresciano possano pensare ad un’operazione dal nome provocatorio “Natale senza immigrati”? Perché non fai capire loro che emarginando il povero, emarginano lo stesso Cristo ; che la loro idea di identità, a sostegno di politiche non cristiane, puzza di strumentalizzazione e di cattiva interpretazione del Vangelo? Forse sarebbe il caso che ritornassi a nascere nuovamente sulla terra, per scacciare dal tempio quei politici corrotti che si ergono a paladini di quel Cristo che poi non rispettano nei comportamenti quotidiani. Fai capire a certi cristiani che se ti portano “crocifisso” appeso al collo, e poi non fanno opere di misericordia; sono solamente dei cristiani di facciata! Spiega bene ai ricchi che la questione del cammello e della cruna dell’ago è la distanza che intercorre fra loro e la povera gente. Ti prego caldamente di non permettere che il malumore per la politica sfoci in violenza. Illumuna la mente di chi ha il potere di comando che sappia davvero rappresentare e garantire gli interessi di tutti. Le maggioranze cambiano, ma deve rimanere immutato il senso di giustizia sociale che è l’anima di ogni democrazia moderna. Rendici , o bambinello, più tolleranti verso chi ha opinioni diverse, pelle diversa, credo diverso, stile di vita diverso. Non sarebbe male che ricordassi ai più che sei sempre fra noi e Ti trasformi come Batman e che dicessi loro che quando incontrano un barbone, un lavavetri, uno zingaro, un malato, un morto di fame; attenzione! Potrebbero essere la Tua controfigura. Vedi cosa puoi fare. Ora Ti saluto e ci sentiamo a Natale.
maestrocastello.

martedì 15 dicembre 2009

scende la neve lemme, lemme, lemme....


“Scende la neve lemme, lemme, lemme….” recitava una poesiola che mandavamo a memoria quando eravamo piccoli. Ai tempi della mia infanzia, la neve a Sant’agata cadeva abbondante per mesi e mesi. Capitava di andare la sera a letto con il cielo stellato e svegliarsi al mattino con un metro di neve. Si capiva subito che c’era stata la neve dal silenzio ovattato e innaturale della strada, poi arrivava il rumore delle pale che aprivano le vie per poter uscire. In ogni casa, dietro la porta, insieme alla scopa c’era anche una pala; ma qualche volta si doveva uscire dalla finestra perché la neve aveva coperto anche la porta d’entrata! A quel tempo non si ascoltavano i bollettini meteorologici televisivi come avviene oggi. L'unica fonte di questa "scienza del tempo" era custodita nell'annuale almanacco “Barbanera” che ogni anno veniva acquistato, per pochi soldi, dagli anziani del paese che lo consultavano periodicamente e dava loro tranquillità nello svolgere i lavori agricoli. La neve, sempre in abbondanza, ma in silenzio, precipitava sulle vie del paese e sui fili elettrici che troneggiavano sui tetti delle case, i quali non tardavano a lasciarci al buio per moltissimi giorni. La gente diceva: ”Si sono bagnati i fili ! ”. Quando nevicava era sempre per molti giorni, tale da rendere impraticabili tutte le strade del paese. Il sindaco faceva intervenire operai e gente di buona volontà per spalare la neve, creando così dei viottoli che dessero la possibilità ai cittadini di poter attraversare, da un capo all'altro, il paese. All'epoca non vi erano né pale meccaniche, né spartineve dell'Anas, come fortunatamente si hanno oggi. Pertanto chi voleva uscire di casa (senza lamentarsi o dare colpa ad altri), doveva munirsi di pala e aprire il varco per raggiungere la piazza, la chiesa o qualche bottega di generi alimentari. Col passare dei giorni aumentavano i disagi: era un problema recarsi a prendere l'acqua ai fontanini pubblici o portare al forno il pane fatto in casa; inoltre i viveri cominciavano a scarseggiare anche nei negozi. Il vento gelido di tramontana ghiacciava ogni cosa, creando ulteriori disagi a chi non aveva legna per riscaldarsi. Era facilissimo scivolare: se ti andava bene, davi solo una “culata” a terra; altrimenti ti fratturavi un arto inferiore. La scarpa maggiormente adatta sulla neve era lo scarponcino chiodato dalle “centrelle”, ma i meno fortunati adoperavano la "galoscia", scarpa a collo alto, costruita con gomma e tela cerata con tre bottoni laterali che sulla neve andava tantissimo, perché economica; nonostante fosse più fredda di un congelatore. Se la neve rappresentava un problema per gli adulti che vedevano assottigliarsi viveri e legna per riscaldare le case; per noi bambini era un divertimento: eravamo sempre in strada o a fare lo “sciulacchio” (una specie di scivolarella a cavallo di un legno che fungeva da slittino) oppure alla guerra delle palle di neve. Quante volte ritornavo coi vestiti zuppi! E lì erano botte sicure da mia madre e..”questa sera avrai il resto da tuo padre!”. Ma un ricordo dolce lo serbo dentro: mia madre , certe mattine, chiamava in aiuto la nonna per sbloccare, dall’esterno, la porta di casa che era ostruita dalla neve fresca della notte, poi mi caricava sulle spalle e mi portava fino alla scuola elementare, per stradine sommerse letteralmente innevate. A scuola, poi, non riuscivi a scrivere perché ti venivano “i geloni” che trasformavano le dita in autentici salsicciotti. Una volta che rimanemmo isolati a lungo, ricordo che giunsero soccorsi attraverso gli elicotteri che portarono aiuti alle famiglie più povere; ma fu un avvenimento per tutta la popolazione che aveva finalmente un argomento di conversazione, utile a rompere la monotonia di settimane rimasti chiusi in casa. Ho ricordi anche di serate intorno al braciere, di Novene di Natale che chiamavamo “Matutino”, di pranzi di Natale che erano occasione di una buona mangiata collettiva, di calze della Befana colme solo di mandarini, frutta secca, qualche caramella ed anche di carbone per i più cattivi. Strana la vita: allora che ero povero, mi emozionava l’attesa del Natale; ora che avrei i mezzi, mi riesce molto meno!
Buona vita!
maestrocastello.

sabato 12 dicembre 2009

la leggenda del vischio.


Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno.
Gli affari, quel giorno, erano andati benissimo: comprando a dieci, vendendo a venti, moneta su moneta, aveva fatto un bel mucchietto di denari.
Si levò. Li volle contare. Erano monete passate chissà in quante mani, guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e quella fatica a lui non dicevano niente.
Il mercante non poteva dormire. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Preva che tutti si fossero passati la parola per partecipare a una festa.
Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: - Fratello, - gli gridarono - non vieni?
Fratello, a lui fratello? Ma che erano questi matti? Lui non aveva fratelli. Era un mercante; e per lui non c'erano che clienti: chi comprava e chi vendeva.
Ma dove andavano?
Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli.
Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma lui cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Comprava a dieci e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare.
No, lui non poteva essere fratello a quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita.
Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote; anche i poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco.
Entrò nella grotta insieme con gli altri; s'inginocchio insieme agli altri.
- Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli. Perdonami.
E proruppe in pianto.
Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò.
Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline.
Era nato il vischio. (tratto da “Racconti di Natale” es. ELLECIDI).
Nel Vangelo di Matteo(Mc 10,17-31) si legge che un uomo andò incontro a Gesù e, gettosi ai suoi piedi, chiese: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: ” Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”. Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza»: Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca; va’, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!»: I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Coraggio, ragazzi, già mi vedo tutto il paradiso popolato di morti di fame, clandestini, zingari, disoccupati, cassaintegrati, barboni, irregolari, profughi e rifugiati, diseredati e figli di mignotta; tutta gente,insomma, che si puzzava di fame in alberghi a dodici stelle e di ricchi?... nemmeno l’ombra! Che goduria!
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 10 dicembre 2009

NATALE AL FRONTE



Nel dicembre 1914 inglesi e tedeschi si fronteggiavano dalle trincee separate da una striscia di terra brutta e piatta, divisa al centro da filo spinato.
Di tanto in tanto alcune sagome si avventuravano nella terra di nessuno, ma la maggior parte dei soldati rimanevano nel fango e nell'acqua che stagnavano nelle trincee, intenti solo ad evitare il fuoco dei nemico.
La Vigilia di Natale, l'aria era fredda e piena di nebbia. Improvvisamente alcuni soldati inglesi stupefatti videro delle luci avanzare lungo le trincee nemiche. Poi venne l'incredibile suono di un canto. I soldati tedeschi cantavano Stille Nacht. Quando il canto cessò i soldati inglesi risposero con First Christmas.
Il canto da entrambe le parti durò per un'ora. Poi una voce invitò tutti a superare le linee. Un tedesco con grande coraggio uscì dalla trincea, attraversò la terra di nessuno e scese nella trincea inglese. Altri commilitoni lo seguirono con le mani in tasca per dimostrare che erano disarmati.
«Io sono un sassone e voi degli anglosassoni. Perché mai ci combattiamo?» chiese.
Nell'alba limpida e fredda del giorno di Natale non ci fu nessuna sparatoria. Gli uomini avevano autonomamente stabilito un giorno di pace.
«Uno spirito più forte della guerra era all'opera», commentò un osservatore.
I comandanti di entrambe le parti non approvarono. Sapevano che l'amicizia fra nemici dichiarati avrebbe impedito la guerra. Ma la tregua continuò. Perfino gli uccelli selvatici, che tanto tempo prima occupavano il rumoroso campo di battaglia, ritornarono e furono nutriti dai soldati.
Sarebbero stati salvati 9 milioni di uomini, se quei soldati avessero potuto obbedire al loro desiderio di amicizia e di pace e la tregua non fosse finita subito dopo Natale.
Un soldato inglese, che aveva preso parte a quella memorabile pace natalizia, morì all'età di 85 anni. Fino alla fine dei suoi giorni non poteva sentire Stille Nacht senza che le lacrime gli rigassero le guance. Si ricordava degli amici tedeschi che aveva avuto in quel giorno di Natale e che, per quanto ne sapeva, aveva poi ucciso nei giorni che seguirono.
(tratto da "Nove racconti per nove giorni" Ed. ELLECIDI)


Vi ricordate cosa cantavano gli angeli a Betlemme? "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Evidentemente quei soldati erano uomini di buona volontà, a differenza dei loro comandanti o, per dir meglio "mandanti". Si fa la guerra spesso per futili motivi che potrebbero anche trovar soluzione; ma ciò non succede perchè il desiderio di guerra risiede nell'animo dell'uomo. Il sentimento di amicizia dovrebbe prevalere; ma finirebbe il motivo del contendere e non sarebbe vantaggioso per coloro che speculano con "l'industria della morte". Anche quest'anno in molte parti della Terra non c'è vera pace. Le armi continuano a mescolare la loro micidiale canzone di morte alle canzoni natalizie. C'è una soluzione? Basterebbe eliminare dalla nostra vita il concetto di "nemico"; ma la vedo molto dura.
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 9 dicembre 2009

I REGALI NELLO SGABUZZINO

Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati. «Avanti», disse una voce dall'interno. Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d'ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c'era un vecchio. «Guardi che stupendo paccone di Natale!» disse allegramente il postino. «Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce più triste che mai. Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Intuiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l'aria di spassarsela bene. Allora, perché era così triste? «Ma, signore, non dovrebbe fare un po' di festa a questo magnifico regalo?». «Non posso... Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figlia Luisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito: «Vieni a passare il Natale con noi». «Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente. Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta. «Ma...» fece il postino. Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti. «Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il postino allibito. «No», disse mestamente il vecchio. «Non c'è amore dentro».
(tratto da "Testi e storie di Natale).
Lo scambio di regali è una usanza che appartiene da lungo tempo alla nostra società, ma il nostro vivere sociale spesso ha trasformato un elemento di coesione tra individui in un semplice esercizio di consumo. Il regalo è un atto simbolico che presuppone l'esistenza di un legame che si vuol ravvivare attraverso un messaggio infiocchettato. Sarebbe bene regalarsi senza aspettare per forza un'occasione; altrimenti diventa come un rito, un qualcosa da ripetere più per dovere che per iniziativa personale. Spesso regaliamo solo per rispetto della tradizione e non c'è affetto in ciò che regaliamo. Il regalo deve essere sentito; altrimenti è meglio astenersi dai regali, credetemi!
Buona vita!
maestrocastello

domenica 6 dicembre 2009

lu faòne.


In questo periodo che va dall'Immacolata alla fine dell'anno, in tante zone italiane, è tradizione di accendere dei falò.
Mi sono sempre chiesto quale sia il filo che unisce fuoco e religiosità, ossia perché ci sia l’usanza, in tantissime zone della nostra penisola, di accendere fuochi alla vigilia di tante feste religiose. Assumono denominazioni diverse, come : “lu faone” a Castelluccia di Norcia, la “ ‘ndocciata” ad Agnone, “li focaracci” a Cascia, “la fòcara” a Novoli eccetera… Pensate che solo nel Molise che conta settecento paesini, si svolgono altrettanti falò religiosi in ognuno di essi. Questo rito millenario, carico di fascino, trae origine da riti pagani : si accendeva il fuoco, ad esempio, negli antichi riti solstiziali per evocare la potenza del sole, fonte di vita per la terra. Riti di propiziazione e di fecondità nel desiderio tutto umano di fertilità dei campi e di benessere per le comunità. Il fuoco assunse poi una valenza purificatrice: sanava il male e distruggeva ogni influenza negativa. Quando si affermò il Cristianesimo, fece sue queste usanze: al sole venne sostituito il Cristo, simbolo di luce e di purezza. L’usanza era sentita ieri più di oggi, quando invece le grandi manifestazioni legate al fuoco si sono per lo più ridotte a momenti conviviali intorno ai falò (occasione per arrosti di carne sulle braci residue e libagioni di vino) e ad elementi di attrazione turistica, come i falò della notte di mezz’agosto che i ragazzi accendono sulla spiaggia, allo scopo di puro bivacco. Il fuoco mi ha sempre affascinato perchè illumina, scalda ed aggrega come e più del sole. Anche la mia infanzia, ovviamente, è stata riempita da tanti “faoni”, come vengono chiamati anche dalle mie parti, alla vigilia di particolari festività paesane. Come i ragazzi della via Pàl che raccoglievano bottoni, noi ragazzi del ”castello” cominciavamo a procurarci legna già diversi giorni prima del giorno di vigilia e tutto in gran segreto. I piccoli andavano di casa in casa, mentre i più grandicelli battevano le campagne, alla ricerca di ciocchi o di qualunque cosa potesse ardere. La legna raccolta si portava in un nascondiglio fuori paese e si stabilivano turni di guardia, per evitare che quelli di altre zone potessero sottrarla. Il giorno di vigilia, già dal primo pomeriggio, iniziava il via vai di viaggi per trasportare la legna dei nascondigli e si accatastava al centro della piazza “Chiancato”, dove i ragazzi più grandi erigevano la catasta, secondo una regola precisa: sotto la legna più pesante e via via quella più leggera. Intanto si organizzavano delle staffette col compito di spiare quanto stavano facendo le altre zone del paese. Era una vera e propria gara a chi riusciva ad erigere il faone più imponente. Quando la catasta era ultimata si piazzava, proprio in cima, una lunga canna che reggeva un’immaginetta del santo. Se prima sembrava una faccenda dei soli ragazzi, man mano che s’avvicinava il momento di dar fuoco al faone, la piazza si riempiva di gente: le donne erano maggiormente devote; ma anche gli uomini appena tornati dalla campagna uscivano incuriositi dal vociare generale. Il compito di dare inizio al fuoco se lo litigavano fra i grandi ed appena le campane davano il segnale di inizio processione, il ragazzo prescelto accendeva il fuoco, tra gli applausi della gente. Più aumentavano le fiamme e più si alzavano cori di meraviglia delle donne che si facevano il segno della croce. Immediatamente ripartiva la staffetta per spiare gli altri faoni accesi e il commento era sempre quello: “il nostro è il faone più alto di tutti quanti!” ,“A sant’Angelo è giusto la metà!” Quando le fiamme bruciavano l’mmagine del santo, la gente si inginocchiava e gridava: “Evviva sant’Antonie”, oppure :”Evviva la Maronna!”. Tutto qua? Direte. Erano i tempi che la gente era felice anche con poco.
Buona vita!
maestrocastello
(alcune notizie sono tratte da: "lu faone di Agnone").

sabato 5 dicembre 2009

I sogni aiutano a vivere.


"Yamir Youssef viveva al Il Cairo e tutte le notti faceva lo stesso sogno:
sognava un uomo, tutto bagnato, che si toglieva una moneta di bocca e gli diceva:
- Yamir, la tua fortuna è a Teheran. Tu devi partire, e andare a Teheran.
Una settimana, un mese, un anno sempre lo stesso sogno, finalmente Yamir prese il fagottino e partì.
Arrivò a Teheran sull'imbrunire, nello stesso momento in cui nella piazza dove si trovava arrivavano dei briganti.
I briganti rapinarono tutti, lasciarono tre o quattro morti in giro e scapparono.
Quando giunse la polizia c'era solo Yamir, come un fesso, in mezzo alla piazza.
La polizia lo arrestò, lo prese a legnate per tre giorni, gli fece perdere 18 kg, e dopo una settimana arrivò il capitano per interrogarlo.
Yamir gli disse: - è colpa del sogno.
Il capitano lo guardò ridendo e gli disse:
- Yamir! Ma tu non devi credere ai sogni: i sogni sono delle falsità, delle bugie...pensa che io è un anno che sogno un giardino con una meridiana, e dietro la meridiana un pozzo, e dietro il pozzo un cespuglio, e dietro il cespuglio un immenso tesoro. Se avessi creduto a quel sogno sarei partito a cercarlo, invece no: è una gran puttanata, non devi pensarci. Ti vedo molto male: adesso ti faccio curare e poi ritorni a casa.
Infatti, dopo una settimana Yamir, un po' ritemprato tornò a casa.
Andò subito nel suo giardino, e passò la meridiana, passò il pozzo, passò il cespuglio
e trovò il tesoro."
La morale di questa favola orientale? Penso che sia del tutto superfluo che la suggerisca questo blog; piuttosto ci offre lo spunto per qualche riflessione sull’utilità dei sogni. I più si mostrano scettici ad affrontare temi come quello dei sogni che sfuggono alla pura attività del lucido pensiero. Il sogno, infatti, “è un fenomeno legato al sonno ed è caratterizzato dalla percezione di immagini e suoni solo apparentemente reali” (Wikipedia). In una certa fase del sonno che gli studiosi chiamano REM, se si creano certe condizioni ideali, noi siamo inclini a sognare, mettendo in moto un tipo di funzionamento mentale che ha leggi e meccanismi diversi dall’attività di pensiero. Durante il giorno siamo portati ad inibire (cancellare) pensieri dolorosi o ritenuti sgradevoli dall’ educazione ricevuta o dalla nostra morale; pensieri tutti che accantoniamo in una specie di dimenticatoio detto inconscio. Solo di notte, proprio durante lo svolgimento dei nostri sogni, quando si creano le condizioni ideali e ci liberiamo dai freni inibitori, apriamo quella stanza proibita e diamo sfogo alle nostre fantasie più recondite. Una volta svegli ci accorgiamo che ricordiamo a fatica spezzoni di ciò che abbiamo appena sognato, si accavallano fatti, personaggi molto distanti, luoghi, persone non più in vita ecc. Chi è capace di interpretare questi sogni? Ma gli psicoanalisti, attraverso un periodo di analisi, detto “training”: Sigmund Freud capì per primo che” il sogno è la via maestra per esplorare l’inconscio” e proprio con l’interpretazione dei sogni nasce la moderna Psicoanalisi. I sogni possono aiutare a ricostruire alcuni processi intrapsichici più ampi, mettendo in luce aspetti conflittuali o strutturali e possono assumere un ruolo importante nella guida interiore del soggetto per la propria reintegrazione psichica.
Jim Morrison cantava « Sogna perché nel sonno puoi trovare quello che il giorno non ti può dare » , mentre Pedro Solinas poetava:
“Sognare è il mezzo che l'anima ha/ perché non le fugga mai/ ciò che fuggirebbe/ se smettessimo di sognare/ che è realtà ciò che non esiste.”
E ancora dal Web è tutto un coro di voci di filo-sognatori :
-Senza sogni non mi diverto….
-senza sogni non c’è vita….
-senza sogni mi sento vuoto….
-Non riesco a pensare ad un mondo senza sogni….
-Sogno perché non costa niente….
- I sogni sono il pane per la mia fantasia…
Che dire? Forse nel mondo dei sogni perfino uno come Don Chisciotte troverebbe il terreno adatto per combattere battaglie alla sua portata.
Buona vita!
Maestrocastello.

sabato 28 novembre 2009

"Dacci oggi il nostro pane quotidiano".



Un giorno d’inverno, siamo a Ferrara, in una strada del centro cittadino c’è un uomo rattrappito dal freddo, vestito di stracci che ha appeso al collo un pezzo di cartone, con una scritta fatta col pennarello:”ho fame, aiutatemi”. Nessuno si accorge che sta morendo. Potrebbe rivolgersi ad un centro di assistenza oppure al pronto soccorso, ma non vuole avere niente a che fare con questa società. Dall’autopsia risulta che non ha neppure cinquantanni. Forse è morto per inedia. Sembra una favola moderna che ci riporta alla mente “la piccola fiammiferaia” di Andersen. La bambina, tanto sfortunata in vita, trova finalmente la serenità da morta. La povertà, sembra ammonire la fiaba, è una condizione che non può trovare rimedio in vita. Andersen scrive nell’Ottocento, secolo in cui le condizioni dei bambini delle classi popolari erano miserevoli, questi non avevano dignità di persona. Un po’ quello che accade oggi in molte parti del mondo e, sotto certi aspetti, a ben vedere, anche in casa nostra. Il barbone di Ferrara e la piccola fiammiferaia sono stati rimpiazzati dai tanti derelitti, veri o finti, che troviamo ai semafori e davanti ai supermercati. Sapete chi sono tutti costoro? Il nostro prossimo! Si è fatto tanto chiasso, nelle scorse settimane, a difendere il simbolo di un Cristo ammazzato, in nome delle radici culturali del nostro popolo e poi ci scordiamo l’insegnamento di quel Cristo. Ma chi è il nostro prossimo? Lo chiedo a quei politici ruffiani, neocrociati del terzo millennio. Forse è il caso che rileggano quel passo del Vangelo: “ Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre, dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui e ciò che spenlderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”. "Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui?" Gesù disse al suo interlocutore: «Va' e anche tu fa' lo stesso» . Purtroppo, oggi, il buon samaritano non scende più da cavallo. Siamo oltre 6 miliardi di individui ed un quinto di persone sulla terra non hanno da mangiare. Mentre le risorse scarseggiano, l’indifferenza dilaga. Nella riunione internazionale del 9 novembre scorso presso la FAO, contro la fame nel mondo, non è stato preso nessun impegno concreto da governi ed organizzazioni presenti. Come al solito, solo chiacchiere! Ed intanto l'uomo di Gerico continua a morire per strada!
Buona vita!
Maestrocastello.

mercoledì 25 novembre 2009

L'Italia paese di santi, poeti, navigatori ed....evasori!


L’Italia è un paese di santi, di poeti, di navigatori e, soprattutto, di evasori fiscali. Si distinguono in quest’ultima categoria, secondo gli esperti del ramo, artigiani, commercianti, medici, avvocati e piccoli imprenditori. Gente che fattura centinaia di migliaia di euro, ma ne dischiara solo qualche decina. A dare una mano a costoro concorriamo anche noi, cittadini comuni, che non esigiamo sempre la ricevuta fiscale, in cambio di qualche sconticino su acquisti o prestazioni artigianali. Si calcola che, annualmente, sfuggono al fisco 100 mila milioni di euro, pari all’importo di diverse “finanziarie” del governo italiano. Nell’art. 53 della Costituzione si dice che: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Ci siamo mai chiesti che cosa sono le tasse? E le imposte?; ma soprattutto, perché è importante pagarle?
Le tasse e le imposte servono per il benessere comune e quindi per fornire servizi (come scuole, ospedali…) a tutti i cittadini… di tutto il mondo e… di tutti i tempi!
Naturalmente sta all’efficienza di uno Stato, alle sue strutture organizzative, alla reale volontà politica di far pagare proprio a tutti, alla gestione dell’amministrazione finanziaria, ispirata da principi di trasparenza, semplificazione e controllo che la macchina statale percorra binari di efficienza e di giustizia.
La storia ci insegna che il pagamento delle tasse è fatto antico: già in Egitto bisognava pagare le tasse e l’amministrazione che se ne occupava era organizzatissima, annotava tutto e nulla sfuggiva di quanto era prodotto nel paese.
Contadini, artigiani e pescatori che portavano quanto producevano nei magazzini dello Stato erano ricompensati con la ridistribuzione dei prodotti stessi, a seconda delle necessità. Durante il Medio Evo vigeva un sistema di privilegi ed a pagare tasse e gabelle varie erano solo i servi della gleba : tra pedaggi, affitti dei poderi e corvées varie; i contadini non dovevano essere tanto allegri. Sempre la storia insegna ancora che se si tira troppo la corda, scoppiano le rivoluzioni. Oggi non ci sono più signorotti prepotenti ad imporre assurde volontà, ma governi nazionali che chiedono tasse in cambio di servizi. Ma chi paga più tasse? Si dice che gli americani pagano meno degli inglesi, che pagano meno dei francesi; mentre noi siamo “a pari merito” coi belgi. L’ideale sarebbe pagare una quantità equa di tributi ed avere in cambio servizi che siano all’altezza. La verità è che esiste solo un esiguo numero di tributi seri che rendono allo Stato ed un mare di pretesti solo per “far cassa”. Ce ne è perfino uno, inventato con Regio Decreto oltre un secolo fa, su strumenti di misura: metri, litro e bilancia. Nel tempo si sono susseguite tasse su banane, caffè, cicoria, cacao, su paludi e gradini di vecchie case. Che dire della tassa sui balconi? Ogni volta che c’è stato un triste avvenimento, poi, ne ha risentito sempre il prezzo della benzina.
Ascoltate cosa ha inciso negli anni su un litro di verde:
# 1,90 lire per la guerra di Abissinia del 1935;
# 14 lire per la crisi di Suez del 1956;
# 10 lire per il disastro del Vajont del 1963;
# 10 lire per l'alluvione di Firenze del 1966;
# 10 lire per il terremoto del Belice del 1968;
# 99 lire per il terremoto del Friuli del 1976;
# 75 lire per il terremoto dell'Irpinia del 1980;
# 205 lire per la missione in Libano del 1983;
# 22 lire per la missione in Bosnia del 1996;
# 0,020 euro per rinnovo contratto autoferrotranviari 2004
Il grave è che queste tassazioni non sono state mai più tolte e su queste accise paghiamo anche l’Iva; cioè la tassa sulla tassa. Assurdo!
Per finire, vi informo che a Ravenna e provincia si è pensato alla “tassa sulla pioggia”, cioè far pagare il costo dello smaltimento, da parte del Comune, dell’acqua piovana. Un temporale potrà far lievitare anche del tre per cento la bolletta idrica. E’ proprio il caso di dire: “ Piove? Governo ladro!”.
Buona vita!
maestrocastello

martedì 24 novembre 2009

Leggete per vivere!



Sembra ieri che a scuola ci dicevano: “Imparate le lingue! Si farà l’Europa e guai a chi non sarà in grado di farsi capire!” A distanza di trent’anni, mi domando: “che ne è stato della lingua italiana, quella che ci hanno insegnato nei banchi di scuola? Certo, attraverso la storia, la nostra lingua ha subito considerevoli cambiamenti. L’italiano di Dante, ad esempio, era molto diverso da quello del Manzoni dei Promessi Sposi. E’ giusto che la lingua italiana, a contatto con altre culture, faccia tesoro e si evolva, senza pur perdere la propria identità; ma i cambiamenti degli ultimi anni sono stati davvero disastrosi per il nostro bell’idioma nazionale. I moderni mezzi di comunicazione hanno portato a velocizzare il modo di comunicare, al fine di essere più diretti ed essenziali. L’avvento dei telefonini ha poi indotto i giovani a smorzare le parole, creando un linguaggio tutto loro nella produzione dei messaggini che impoverisce e mortifica la lingua di significato. Sono in voga frasi fatte soltanto da sigle: “TVB” sta per “ti voglio bene”, un numero ha sostituito una voce verbale: “6” sta “sei”, “snz” sta per senza, “1a “ sta per una(articolo) e così via. Lo Scrittore Alberto Arbasino rileva che” Purtroppo, l'italiano è una lingua espressiva e piacevole solo quando è ricca, elegante, composita, con parecchi divertimenti alti e bassi, antichi e moderni, internazionali e locali sfrontati e chic. In tutte le regioni. In tutti i ceti. E non per niente ci si trattiene volentieri a tavola a chiacchierare, dopo cena, e si paventa l' apertura del libro. Contrariamente ad altre società, altre culture, dove si finisce in fretta un pranzo fra noiosi, per correre a leggere della buona prosa. Ma se l' italiano viene molto immiserito”, si domanda sempre Arbasino, “farà poi molta strada? E se viene troppo involgarito, potrà avere un futuro? “. Alla base di questo fenomeno vi è la scarsa conoscenza della cultura italiana che è alla base della nostra lingua. Internet è sì uno strumento valido per la diffusione delle informazioni ; ma queste devono essere vagliate con una capacità analitica che può dare soltanto la cultura. La lettura è il mezzo idoneo che arricchisce ed aiuta a dotarsi di quegli strumenti che ci rendono poi capaci di analizzare la realtà. La verità è che noi italiani leggiamo poco e proprio i giovani che sono i principali fautori del cambiamento linguistico, non frequentano più letture per ragazzi come Salgari, De Amicis, Collodi che hanno aiutato le passate generazioni e dove si riscontra la bellezza di un linguaggio semplice, scorrevole ed il fascino dell’astrazione letteraria che solo un libro ti può regalare . Molto danno ha prodotto anche l’insorgere di linguaggi paralleli alla nostra lingua ufficiale; la lingua italiana è stata in questi anni corrotta anche dal politichese, dal legalese, dal burocratese, dal sinistrese, dal berlusconese, dal giornalese, dal televisese e dall’italinglese. Termini come “Palazzo”, “stanza dei bottoni”, “convergenze parallele”, “essere coesi”, “fare squadra”,“pressing”, “fallo da dietro”,“zona cesarini”, “cliccare”, “tronista” “cinepanettone”,"gossippare", "paparazzare",
"noantri", “beccarsi alla tale ora”, “darsi una punta” sono solo alcuni dei nuovi termini entrati nell’uso comune e li troviamo perfino nello Zingarelli. Oggi senti frequentemente anche parlare il “mercatese” : ” se lo sapevo lo dicevo…” o, peggio ancora, “ se saprei”. Nessuno conosce più l’uso del congiuntivo e proprio ora che impazza Facebook mi ammazzo dalle risate nel leggere strafalcioni dei tanti ragazzi che sono bravissimi a ciattare, ma hanno poca dimestichezza con la nostra lingua scritta.
Quale riflessione e consiglio può partire dal nostro blog? Ragazzi, leggete! leggete! leggete!
Flaubert diceva: “Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. Leggete per vivere.”
Buona vita!
Maestrocastello.

venerdì 20 novembre 2009

Il peso sulla luna è la metà della metà....
















Mancavano appena quattro giorni a Natale e due ragazzini di undici e dodici anni stavano viaggiando soli alla volta di Roma. Per bagaglio avevano due valigioni che non perdevano mai di vista. Si erano appena riuniti alla stazione di Foggia, l’uno proveniente dal paese di Sant’Agata di Puglia e il più grande che studiava al seminario vescovile di Bovino, e andavano a riunirsi al resto della famiglia che si era appena trasferita nella capitale. Vedere ‘sti due piccoli da soli destava la curiosità degli altri passeggeri che li tempestavano con domande tipo :
- Come mai viaggiate soli?
- Chi è il più grande di voi due?
- Che classe frequentate?
- Non avete paura?
Il più grandicello indossava la divisa del collegio: completo nero, collarino che portano i preti secolari e cappello, lo stesso che indossano bandisti e militari; ma con le iniziali proprio in centro SV (Seminario Vescovile); mentre il bambino proveniente dal paese era bardato in abiti civili. Il viaggio pareva interminabile, mettete pure che era la prima volta che quei ragazzi salivano su un treno; quindi erano un tantino sbigottiti e passarono l’intero pomeriggio a fissare i loro valigioni, appesi al bagagliaio, che custodivano, l’uno panni sporchi del collegio e l’altro ogni ben di Dio da mangiare che i nonni mandavano ai parenti per Natale. Nello scompartimento di seconda c’era un tepore che invitava ogni viaggiatore ad alleggerirsi nel vestiario. Anche il seminarista si era ridotto in maniche di camicia, mentre suo fratello Gerardo, nonostante fosse paonazzo in viso, non ne voleva sapere di scoprirsi e intanto continuava a grondare di sudore. Il seminarista che vedeva il fratellino in imbarazzo, credendo si sentisse male, lo trasse in bagno e questi finalmente sputò il rospo. Si vergognava di spogliarsi davanti agli altri e be aveva tutte le ragioni: la nonna nel preparargli la valigia aveva esagerato nelle cose da mangiare e, non essendoci più posto per il vestiario, lo aveva costretto ad indossare tutto doppio. Quel bambino indossava due paia di calze( una sull’altra) e così anche per mutande e  maglietta intima. La nonna, poverina, credeva che essendo inverno, fosse una cosa buona. Non aveva fatto i conti con le ferrovie dello Stato, riscaldamento a tutta callara! Alla stazione Termini ci aspettava papà che prese in consegna quei bagagli. Ricordo che qualcuno vedendomi il cappello con la scritta , mi chiese informazioni di servizio. Sul tram ero frastornato ed affascinato dalla simpatia della gente che mi stava dando il benvenuto in una città fantastica. Era il ’61 ed ero per la prima volta a Roma! Il latte te lo vendevano in bottiglie di vetro sfaccettate e dalla bocca larga che costava cento lire, nei jukeboxe spopolava “Selene” di Modugno che diceva che “il peso sulla luna è la metà della metà”, a Cinecittà, dove andammo ad abitare, giravano “Otto e mezzo” di Fellini ed io non avevo nessuna difficoltà ad avvicinare e salutare Mastroianni, la Cardinale, Sandra Milo o Rossella Falk che uscivano dai cancelli del centro sperimentale di cinematografia ed avevo solo dodici anni!
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 18 novembre 2009

Si fa giorno…..





“Le sei del mattino/ho aperto la porta del giorno ci sono entrato/ho assaporato/ l’azzurro nuovo nelle finestre….(Nazim Hikmet) così sembra che si svegliano soltanto i poeti, ma noi comuni mortali come ci svegliamo? Quali rituali compiamo ogni santa mattina e, soprattutto, quanto impieghiamo a carburare le nostre energie? Vi voglio proporre ciò che dicono in proposito dei miei ex alunni di quinta che mi divertivano un mondo per la loro freschezza ed originalità.
FEDERICO : “Tutte le mattine mamma mi viene a chiamare ed io continuo a dormire. Una, due e più volte e.. quando non ne può più; prende il cane e lo mette nel mio letto. Lui comincia a leccarmi tutta la faccia ed alla fine sono costretto ad alzarmi”.
GIANLUCA : “Mi alzo, inizio a scendere dala scala del mio letto a castello, dopo aver fatto appena due gradini, casco regolarmente giù dalla scaletta. Tutto tramortito, mi avvio verso la cucina, prendo i biscotti e… per quanto sono ancora insonnolito, mi cadono dalle mani.
CHIARA : “Ogni mattina mi sveglio presto con i rumori di mamma e papà che si preparano, ma io rimango nel mio letto a dormire; poi, come sempre, arriva mamma e comincia a chiamarmi. Io a far finta di dormire e lei a dirmi: “Chiara svegliati che fai tardi a scuola!, Dai!”. Ma io non mi alzo, lei perde la pazienza e dice: “Allora? Chiara!!!”. Dal tono di mamma capisco che mi comviene alzarmi subito”.
GIULIANO : “Al mattino è mia sorella a svegliarmi, ma io faccio finta di non sentirla. Lei mi dà le spinte ed io fingo di ricevere un massaggio, perciò, niente da fare, non mi sveglio!”.
REBECCA : “Si sta facendo giorno, suona la sveglia, Mamma e papà si sono già alzati e si sono vestiti. la mamma ci chiama dolcemente. Passano i minuti, i secondi e noi ancora nel letto; allora cambia tono, ci scopre dal calduccio e, prendendoci dalle braccia, ci tira sù e ci dice: “Forza, alzatevi!”.
FRANCEL : “Vado verso il bagno, inizio a guardare fisso il rubinetto e non faccio nessuna mossa, come se lui fosse il mio peggior nemico; quando la mamma passa per il bagno mi dice di sbrigarmi, perché ormai è tardi. Facendo uno sforzo enorme, inizio a lavarmi e comincia così la mia giornata, come tutti i giorni.”.
BENEDETTA : “Noi dormiamo, dormiamo, dormiamo, finchè mamma si arrabbia e noi cominciamo a svegliarci; ma siamo stanchi come se avessimo percorso cinque chilometri senza sosta. Metto giù un piede, poi l’altro, una bella stiracchiata e poi uno sbadiglio. Una volta raggiunta la cucina, colazione a base di cereali e comincia la nostra giornata”.
DANIELE : “Sono davanti alla doccia: piano piano entro e, appena l’acqua mi tocca, mi sveglio completamente. Per svegliarsi la mattina è sempre dura! “.
E voi come affrontate il doloroso momento del risveglio?
Cordialmente
maestrocastello

lunedì 16 novembre 2009

Ma è tutto scritto nelle stelle?


Vi siete mai fatto leggere la mano da una zingara o, per gioco, da qualche conoscente? Dei medici inglesi avrebbero stabilito che le linee della mano non mentono, perchè, a loro dire, nel palmo c’è scritto il nostro destino. Nella pelle della mano sarebbe tracciata la linea della vita: parte dall’indice e si distende verso il braccio e se presenta delle interruzioni trasversali, brutta faccenda, sono in vista dei guai imminenti! Sembra una cosa da ridere, ma sono sicuro che ognuno di voi sarà stato preso da improvvisa curiosità ed avrà già controllato la situazione personale. Per quanto mi riguarda, dovrei aver già avuto una vita zeppa di calamità; ma andiamo avanti. In qualche parte della Bibbia si afferma: “Beato l’uomo perchè non conosce la sua sorte” ed io mi trovo del tutto d’accordo, in quanto non credo affatto a maghi e preveggenti vari. Eppure gli italiani, in genere, vogliono conoscere il proprio futuro a tutti i costi ed il loro rapporto con l’imperscrutabile è molto intenso. Si stima che in Italia esercitino qualcosa come 155 mila maghi e astrologi per un giro d’affari di migliaia di milioni di euro ogni anno. “Telefono antiplagio” riporta che dal 1994 ad oggi sono 16.000 i casi di truffe ed abusi segnalati. Molti truffati restano in silenzio e solo 4 persone su 10 denunciano le truffe. Gli illeciti più frequenti sono: esercizio del mestiere di ciarlatano, evasione fiscale, circonvenzione d'incapace, truffa, truffa aggravata, estorsione, esercizio abusivo della professione medica e psicologica, abuso della credulità popolare, violazione della privacy, pubblicità ingannevole. D’altronde i maghi sono protetti da sindacati e da albi corporativi, i giornali ospitano la loro pubblicità e tantissimi appaiono giornalmente in tv, facendo la fortuna di molti editori. A nulla è valsa la vicenda Vanna Marchi e del fuggitivo mago Do Nascimiento o le penose apparizioni televisive di pseudo-maghi, incapaci di esprimersi in un italiano appena corretto e nemmeno le varie truffe scoperte e mandate sul piccolo schermo son servite da repellente; che tanti si affidano tuttora ad astrologi, chiaroveggenti ed azzeccagarbugli di ogni genere.
Ai tradizionali chiromanti, cartomanti e veggenti si aggiungono gli ufologi, i pranoterapeuti, gli spiritisti, i sensitivi, i rabdomanti, i radioestesisti. La storia confida che lo stesso Hitler aveva l’astrologo di fiducia, così Reagan ed Eisenhower che si affidava ai tarocchi; tutti, insomma, cercano di prevedere il proprio futuro. Quattro italiani su cinque ogni giorno consultano l’oroscopo su giornali e riviste, specialmente le donne, convinti che gli altri sappiano tutto su di noi e possano decidere della nostra vita più di quanto possiamo noi stessi. Da un anno la Gran Bretagna ha deciso di applicare una direttiva dell'Unione Europea che obbliga coloro che svolgono pratiche esoteriche ad avvisare i propri clienti che le prestazioni offerte sono un semplice intrattenimento non fondato su alcuna sperimentazione scientifica. Non sarebbe augurabile un comportamento simile anche da noi? Ma forse non sarebbe del tutto conveniente alle tv commerciali che con maghi e maghetti incamerano un mucchio di quattrini, prima fra tutte Mediavideo. Per le feste di fine anno ci aspetta la solita orgia delle previsioni astrologiche, non solo sulle reti private; ma anche sulle emittenti nazionali, a cominciare dalle reti pubbliche e spesso all’interno degli stessi telegiornali. Parole accattivanti e consigli vaghi e superficiali dati da tipi leziosi ed effeminati, dalla voce suadente e sempre con “ la erre moscia” che sono ospiti in tutte le trasmissioni del piccolo schermo. La colpa è anche nostra che abbiamo inculcato nei giovanissimi la sottocultura dell’oroscopo, infatti essi sanno benissimo di che segno sono, ma ignorano magari il perchè del ciclo delle stagioni o il perchè dell’avvicendarsi del giorno e della notte e crescono convinti che tutto accada, perchè è scritto nelle stelle!
Leggete pure il vostro oroscopo, ma resti solo un innocente passatempo, capace di farvi sorridere; mi raccomando!
Buona vita.
maestrocastello

venerdì 13 novembre 2009

Il pittore che dipingeva i cavalli. (Carlo Acciari)



Non senza un velo di malinconia ripenso alla promessa che ci eravamo fatti, io e Carletto, non più tardi dell’agosto scorso e cioè di realizzare un’intervista in cui parlavamo esclusivamente della sua pittura. Il tempo però, come un cavallo imbizzarrito, corre veloce e non ti lascia il tempo di programmare alcunchè.
Carlo s’è appena ricongiunto a suo figlio Roberto che sempre piangeva ed io sono qui a rimediare, in qualche modo, a quella mancata intervista. L’ultima estate ho trascorso molto tempo in sua compagnia. Ora mi chiedeva consiglio per piccoli lavori, ora mi mostrava un suo quadro appena ideato, ora voleva semplicemente parlare. Mi portava nel suo giardino, all’ombra di una tettoia apriva una birretta e... iniziava a ricordare fatti e personaggi del passato: la conoscenza diretta dei grandi personaggi della pittura come Picasso, De Chirico, Guttuso o quelli della Roma bene che gli avevano fatto visita nel suo studio alla Garbatella. lo incalzavo a parlare di ciò che era per lui la pittura e quale messaggio volesse lanciare ai non addetti ai lavori, per avvicinarli a questa splendida arte e mi rispondeva :”la pittura non è imitazione! La pittura è creazione, è immediatezza! Spesso comincio a sporcare una tela con una precisa idea in testa e va a finire che ne realizzo un’altra che s’è intromessa nel frattempo nel mio pensiero. Gli chiedo da cosa nasce la predilezione a raffigurare i cavalli e mi confida che coltiva fin da piccolo questa passione, che ha dimestichezza con questi splendidi animali, ne conosce ogni tratto e riconosce in loro comportamenti che ravvisa anche nel carattere degli uomini: fierezza, impulso e voglia di esprimersi in tutta libertà. Il segreto della sua arte parte da un ammasso informe di colori, attraverso tratti sapienti ed essenziali prende forma questa vigoria animalesca che è la metafora di una natura che scalpita nei suoi pennelli, vogliosa di prendere corpo sotto forma di indomiti cavalli. Sono affascinato dalla piega della conversazione e gli chiedo quale sia il suo percorso artistico e lui mi parla del suo interesse per l’impressionismo pittorico. Carlo è presto attratto da maestri quali Monet, Degas, Renoir e soprattutto Paul Cèzanne e dal loro atteggiamento artistico fatto di amore di sintesi, eccitazione mentale, combustione cromatica ed esplosione luminosa. Anche quando non dipinge cavalli, ma semplicemente scene del suo quartiere; i tratti repentini, la scelta dei colori, il rimarcare del particolare induce lo spettatore a vedere oltre e cioè : Carlo dipinge la condizione umana! Parla a raffica e s’infuria con se stesso se non ricorda un nome o un particolare. Poi mi confida che è rammaricato per non aver studiato abbastanza e di avere lacune in tanti campi del sapere e ciò gli è valso qualche critica riduttiva in campo artistico. Lo vedo stanco, affaticato forse per il caldo inverosimile dell’ultimo agosto ed allora mi congedo. Di lì a qualche giorno mi richiama e capita che mi impartisce una dimostrazione pratica di pittura. Su cartoncino ammucchia una varietà di tinte e decidiamo insieme che realizzerà un paesaggio marino: da quell’iniziale ammasso prendono forma in successione cielo, mare, scogli, imbarcazioni in una sfumatura di tinte dalle tonalità le più diverse e tutto in un battibaleno! Lui si scalda, gli passa tutta la stanchezza precedente e gioca con le parole e ancor più con i colori: è tornato Carlo dei bei tempi! Proprio al centro di quel paesaggio, mi confida: vuole s’intuisca la presenza del Divino, espresso da un gioco sapiente di colori. Nasce qui una disamina di come lui sia sempre stato alla ricerca del Divino in ogni cosa, nell’arte come nella vita in genere. Ed io sono sempre più affascinato da quel ragazzo ottantenne che, da spirito libero, è consapevole dei suoi limiti e si pone domande e si immagina risposte su temi così alti. Ora Carlo se n'è andato alla chetichella. Al suo funerale la gente della sua Garbatella che lo considerava uno di loro, era serena e consapevole che quando muore un artista, è solo il corpo che ci abbandona; perchè il suo spirito aleggia sempre nel cuore e sulla bocca della gente che gli ha voluto bene. Grazie Carlo, per i bei pomeriggi trascorsi in tua compagmia, per le tue lezioni di arte; ma, soprattutto, grazie per la tua lezione di vita.
maestrocastello

lunedì 9 novembre 2009

Il crocifisso non deve diventare un'arma!


Il crocifisso è sempre stato esposto nelle aule scolastiche? Ma qual è il luogo deputato ad ospitare un crocifisso? La storia dice che l’esposizione dei crocifissi nelle scuole pubbliche italiane venne disposta mediante circolare, con riferimento alla Legge Lanza del 1857, per la quale l’insegnamento della religione cattolica era fondamento e coronamento dell’istruzione cattolica ( quella era la religione di Stato). L’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici è invece datata 11 novembre 1923 (con ordinanza ministeriale); mentre nelle aule giudiziarie, fu disposto con Circolare del Ministro Rocco il 29 maggio 1926 (siamo in piena era fascista). Ora siamo nel 2009 ! C'è stato nel frattempo un Concordato (Patti Lateranensi del 1929) e la sua Revisione nel 1984 e bisogna considerare inoltre che negli ultimi trent'anni sono avvenuti notevoli mutamenti della società con cui dobbiamo fare i conti. Già con la revisione del concordato del 1984, voluta da Craxi, la religione cattolica non è più l’unica religione di Stato da oltre vent’anni. Si è abbandonato il principio della religione cattolica come religione dello Stato, attenuando così la posizione di privilegio del passato riconosciuta alla religione cattolica e, nello stesso tempo, si è contribuito al rafforzamento dei principi costituzionali di libertà individuale e collettiva in materia religiosa
(art. 8- 18.-21della Costituzione Italiana). L’ora di religione cattolica nelle scuole pubbliche è facoltativa, anche se impartita da docenti che vengono stipendiati regolarmente dallo Stato Italiano, con i soldi anche di quei contribuenti che hanno un diverso orientamento religioso o non credono affatto. Ma passi! Il nuovo secolo ha portato nelle nostre aule milioni di bambini colorati da paesi lontani, bambini che sono italiani a tutti gli effetti, che mangiano la pastasciutta e che pregano un dio diverso dal nostro. Siamo stati messi difronte alla necessità di allargare il nostro orizzonte culturale e non guardare sempre e solo al nostro orticello; ma per molti ciò risulta ancora estremamente arduo ed inaccettabile. Le questioni legate ai problemi dell'integrazione hanno acceso in questi anni vivaci dibattiti che evidenziano come, ancora, facciamo fatica ad accettare queste presenze (a molti sgradite) e tutti i problemi ad esse legate. Il crocifisso nelle aule scolastiche, onestamente, non ha mai rappresentato un problema per nessuno, tant'è che la sua presenza nelle aule è, sì, gradita; ma mai imposta o controllata. So, per esperienza diretta, che tante aule sono sguarnite di crocifisso e nessuno se ne scamdalizza.
La recente sentenza dell'Alta Corte Europea che vieta l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche ci induce a fare alcune doverose considerazioni : se da un lato sancisce un diritto per i non credenti; mi pare che esageri quando afferma che il crocifisso "costituisce una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni”. Il pericolo vero è che questa del crocifisso diventi la crociata del terzo millennio e che il Simbolo della sofferenza e della pace sia costretto ad assistere all'ennesima Guerra Santa, combattuta da gente
in completa buona fede; ma anche da chi è aduso a trarre vantaggio da ogni cosa. "Meno croce e più vangelo" predicava don Milani che, per rispetto ai suoi studenti, riponeva il crocifisso nel cassetto quando insegnava a Calenzano.
Penso che per un cristiano-cristiano l'unico luogo dove deve stare il crocifisso è un non luogo, cioè la sua coscienza, come afferma anche don Aldo Antonelli in questa provocatoria riflessione che vi propongo intgralmente.
Buona vita!
maestrocastello



"Non nelle aule del tribunale, là dove spesso vengono condannati gli innocenti ed assolti i delinquenti; né sulle vette dei monti e delle colline, deturpate dalla bulimia vorace di impresari senza scrupoli e amministratori conniventi; e nemmeno nelle aule scolastiche, là dove spesso si ricicla una cultura intrisa di violenza e di soprusi. No! L’unico luogo in cui degnamente può stare una croce è un non luogo: è la coscienza del credente, là dove nascono e maturano quei comportamenti che fanno del cristiano, questo sì, il vero segno della di Lui presenza.
Lamentiamo e protestiamo contro quello che nei secoli è stato un vero e proprio trasloco abusivo da una testimonianza esistenziale interiore ad una invadenza superficiale esteriore. Una croce ridotta a simbolo culturale costituisce, per la sensibilità del credente, una profanazione di svuotamento; mentre per molti politici ed altrettanti ecclesiastici diventa moneta di scambio per il consolidamento delloro potere. Simbolo equivoco è diventata questa croce trasformata in spada, che invece di unire divide e che invece di proporsi si impone".

don Aldo Antonelli

martedì 3 novembre 2009

Vuoto d'amore.



Siamo alla fine degli anni novanta ed una sera mi trovo in piazza Fiume, a Roma, davanti
alla libreria Minerva. Le sue vetrine illuminate rischiarano quell'angolo di piazza
che, altrimenti, resterebbe buia a quell'ora di sera. La mia passione per i libri mi
porta a curiosare e sono calamitato verso quell'angolo illuminato di cultura.
In una vetrina troneggia "Clinica dell'abbandono", una raccolta di poesie di Alda Merini;
ma il mio sguardo è catturato da una distinta signora impellicciata che si
aggira morbida fra le vetrine gremite di libri. Guarda con estrema cura ogni testo,
dedicando molto tempo a ciascuno, sembra che intrattenga un colloquio
con quei libri e manca solo che se li accarezzi, proprio come si fa con un piccolo animale.
E' in compagnia di un'altra donna con cui si intuisce che fa dei commenti e quando
si volge nella mia direzione, noto una sigaretta fra le sue dita che sprigiona
abbastanza fumo da infastidirla. Con la mano fa il gesto di scacciare il fumo
e sposta i capelli che le coprono parte del volto; è proprio in quel momento che intuisco che la signora
misteriosa ha lo stesso viso paffutello che avevo appena visto sulla copertina di poesie.
Riconosco in lei la poetessa Alda Merini che avevo tante volte apprezzata in tivvù,
ospite nelle trasmissioni di Costanzo. Come un bimbo che è stato sorpreso a rubare marmellata,
arrossisco per l'imbarazzo. Lei mi regala un candido sorriso ed io me la cavo con un laconico:
- Buona sera ! ed un inchino.
Ho sempre ripensato a questo tenero ricordo,
quando ho approfondito la conoscenza di questa "piccola ape furibonda" o quando
la proponevo sulle pagine di questo blog. E così mi piace ricordarla, pacata come quella sera a
piazza Fiume, ora che è scomparsa e tutti sembrano ricordarsene all'improvviso.
Un suo pensiero, come un testamento, mi piace rimarcare : "per scrivere bisogna anzitutto sapersi perdere,
mettersi in gioco dal profondo, anche a rischio di finire in manicomio, come è successo a me."
" ...Guardando come va fuori, certe volte ne ho nostalgia. In manicomio non ho mai visto
certe invidie, certe cattiverie; ma anzitutto solidarietà".
Mi piace salutarla coi suoi stessi versi , così presi un po' alla rinfusa:

Sei "nata il ventuno a primavera,
piccola ape furibonda".
"le più belle poesie" hai scritto
"sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e la mente aguzzata nel mistero".
Ed ora ci lasci un "vuoto d'amore" !

Cordialmente.
maestrocastello

domenica 1 novembre 2009

Questi genitori.




Un ragazzo che conobbi ai giardini pubblici un giorno mi confidò:
- Che pazienza dobbiamo avere con questi genitori, noi bambini!
- Come? La pazienza dovete averla voi?
- Certo - mi rispose il ragazzo - Prenda mio padre, per esempio, certi giorni torna a casa con il nervoso. E noi, tutti zitti, si distende sulla poltrona, come un imperatore e guai a chi apre bocca.
Vorrei vederlo con i grandi...
Poveri figli. I genitori escono e li lasciano soli, con due parole.
- Dormi, tesoro! Ti porterò la cioccolata.
Mentre i genitori sono fuori, i figli mangiano tante cose buone, ma stanno in pensiero. Dicono:
- Anddranno sotto le automobili? Incontreranno i banditi? Si senntiranno male? Avranno paura di camminare al buio? Prenderanno troppo freddo?
Solo quando i genitori tornano a casa, i ragazzi si addormentano contenti: stanchi ma contenti.
Quante preoccupazioni per questi genitori!
(Adattato da Cesare Zavattini, "Parliamo tanto di me", Bompiani)

Quante volte abbiamo detto o sentito dire da un adulto:
- Mio figlio è uscito in bicicletta.........
- Con questo freddo il mio Ricccardo..........
- E' già tardi e Paola...........
ed al posto dei sospensivi vi lascio immaginare quanto afferma una madre in appensione.
In questo buffo racconto, invece, sono i figli che si preoccupano dei genitori, contrariemente a quanto siamo solitamente abituati. Il testo potrebbe sembrare solo una trovata originale di questo celebre autore, scritto nel lontano 1930. Ma, si sa, mutano i tempi ed anche i comportamenti nella società e può accadere che ciò che prima sarebbe stato improbabile, poi diventa naturale. Accade appunto che adolescenti arrivino ad essere preoccupati dei comportamenti dei loro genitori.
Il report di Children’s Rights in Society evidenzia infatti che in Svezia, contrariamente a quanto avviene da noi in Italia, sono gli adolescenti ad essere preoccupati per le pratiche on line seguite dai loro genitori. Babbo e mamma guardano siti porno ed intrattengono conversazioni scabrose in chat. In un articolo sull'argomento di Arianna Bernardini é specificato che lo fanno soprattutto di notte, dopo aver messo a letto i propri figli, che però a volte si alzano e colgono i genitori in atteggiamenti poco edificanti.
"Venire a sapere che il proprio padre parla di sesso in chat, con una donna diversa dalla propria madre, genera nel figlio il timore che la famiglia possa sfasciarsi". Ecco cosa ha riferito un quindicenne all’associazione BRIS in merito al suo papà che ha effettuato una conversazione notturna in chat: "Parlavano di sesso e di come si sarebbero incontrati"....."Mi ha fatto stare davvero male. Non so se dirlo alla mamma oppure no, temo che possano divorziare".
La Bernardini riferisce, poi, il caso di una bambina dodicenne preoccupata perché la madre, da quando ha iniziato a giocare a World of Warcraft,(un videogioco on line):" sembra avere la testa sulle nuvole e non occuparsi affatto della famiglia e della casa. Ha trascorso tutta l’estate, giorno e notte, lì dentro. E quando non sta al computer sembra un’anima in pena, ha lo sguardo perso nel vuoto e non parla e non si rende conto che priva la figlia dell'attenzione di cui ha bisogno".
E che dire di quei genitori che sottraggono tempo e denaro alle famiglie per dedicarlo a macchinette "mangiasoldi", in sale bingo o sale scommesse di ogni genere, dilapidando l'intero stipendio che sarebbe più giusto investire sui figli?
Mi sembra che non hanno poi tutti i torti questi figli a preoccuparsi dei loro genitori.
cordialmente
maestrocastello.

mercoledì 28 ottobre 2009

Il bambino e la sera.




Conosci la storia di quel bambino.
che preferiva la sera al matttino?
Mah, a pensarci bene,
non mi pare,
se me la vuoi raccontare....
Prima però voglio sapere
se sono cose vere!
Certo, sono vere sì!
Eccole qui:
" Un bimbo aveva paura della sera,
perchè è sempre un pò nera.
Ma una volta la sera gli parlò
e il bimbo si tranquillizzò.
Anzi diventarono amici,
fedeli e felici".
(da filastrocche per recitare - Nuove Ediz. Romane)





Già la paura, questo sentimento sgradevole che ci accompagna fin dalla nascita, che è cresciuto con noi e non ci ha più abbandonati; anche quando abbiamo indossato i calzoni lunghi. Quante, le nostre paure di bambini! Paura dei ladri, paura della notte, dei fantasmi; anche se ci avevano dettto che i fantasmi non esistono. Paura del vento, paura dei tuoni, del temporale, del buio, delle ombre. Il ricordo di una mia paura infantile? Quando mia madre andava sarta, a giornata in casa di altri e, d'accordo con la nonna che abitava nella casa difronte, mi lasciavano solo a dormire. Al mio risveglio, non vedendola, ero preso da mille pensieri e sudavo....sudavo.... le ombre riflesse sulle pareti mi guardavano minacciose e smettevo il respiro al rumore dei passi della strada, nella speranza di riconoscere i suoi che si facevano attendere inutilmente. Pensavo che mi avesse abbandonato! Poi le paure sono cresciute insieme a me, da ragazzo e da adulto: paura tutte le volte che ho dovuto sosttenere esami ( paura di non farcela); tutte le volte che avevo un incontro importante (paura di non essere all'altezza o di non poter dimostrare qualche cosa all'altro), la paura nel fare le scelte importanti della vita: di mettere su famiglia, di diventare padre. Ma presto ho capito che non si possono eliminare del tutto le paure, perchè fanno parte del nostro essere; ma si possono certamente limitare i danni. Dicono che ammettere di aver paura è un gesto di coraggio. Un altro modo per vincere le paure è la conoscenza delle cose; non a caso ho proposto la filastrocca "il bambino e la sera" (...Ma una volta la sera gli parlò e il bimbo si tranquillizzò.). Basta parlare e scompare l'ignranza e la paura. Da genitore e poi da maestro, ho sempre cercato di parlare un linguaggio "elementare" che fosse diretto a sconfiggere l'ignoranza e tutte le paure che comporta; spero di aver colpito dalle parti del bersaglio.
Cordialmente,
maestrocastello.

domenica 25 ottobre 2009

Ti aspetto qui, Signore.




La stazione di Zimà
C'è un solo vaso di gerani dove si ferma il treno,
e un unico lampione, che si spegne se lo guardi,
e il più delle volte non c'è ad aspettarti nessuno,
perché è sempre troppo presto o troppo tardi.
"Non scendere", mi dici, continua con me questo viaggio
e così sono lieto di apprendere che hai fatto il cielo
e milioni di stelle inutili come un messaggio,
per dimostrarmi che esisti, che ci sei davvero.
Ma vedi, il problema non è che tu sia o non ci sia
il problema è la mia vita quando non sarà più la mia,
confusa in un abbraccio senza fine,
persa nella luce tua, sublime, per ringraziarti
non so di cosa e perché.
Lasciami questo sogno disperato d'esser uomo,
lasciami quest'orgoglio smisurato di esser solo un uomo;
perdonami, Signore, ma io scendo qua,
alla stazione di Zima.
Alla stazione di Zima qualche volta c'è il sole
e allora usciamo tutti a guardarlo
e a tutti viene in mente che cantiamo la stessa canzone
con altre parole e che ci facciamo male
perché non ci capiamo niente.
E il tempo non s'innamora due volte di uno stesso uomo
abbiamo la consistenza lieve delle foglie,
ma ci teniamo la notte per mano stretti fino all'abbandono,
per non morire da soli quando il vento ci coglie.
Perché vedi, l'importante non è che tu ci sia o non ci sia:
l'importante è la mia vita finché sarà la mia.
Con te, Signore è tutto così grande,
così spaventosamente grande, che non è mio non fa per me.
Guardami, io so amare soltanto come un uomo
guardami, a malapena ti sento e tu sai dove sono...
ti aspetto qui, Signore, quando ti va, alla stazione di Zima.
( Roberto Vecchioni)
Questa canzone-preghiera di Vecchioni era su una delle tante audiocassette che facevo girare spesso nell’autoradio, quando negli anni novanta vagavo in terra di Sardegna con la mia famigliola, alla scoperta di qualche spiaggia non ancora battuta. Oggi che sono riuscito a recuperarla, mi piace condividerla con quanti non conoscessero questa autentica poesia che tocca i sentimenti ed invita ad una riflessione profonda. Colgo in essa soprattutto la consapevolezza della fragilità dell’uomo che il poeta sbatte continuamente sotto il muso di questo Dio in cui s’imbatte (…”abbiamo la consistenza lieve delle foglie”…), inoltre sottolinea l’enorme distanza che lo separa da Lui (…”con te Signore è tutto così spaventosamente grande”….) ; ma soprattutto
ribadisce l’orgoglio di essere uomo, consapevole dei limiti e delle debolezze che questa condizione comporta; ma per nulla intimorito dal suo Dio, quasi in un senso di sfida, come a dire: "se mi vuoi, mi devi accettare così come sono!" (“…guardami, io so amare come un uomo…). E’ tenerissima poi la strofa finale :”…ti aspetto qui, Signore, quando ti va, alla stazione di Zima”. Dopo aver dato la sua disponibilità a ripetere l’incontro con Dio; fa sorridere, infatti, la pretesa di aspettarsi da Dio le successive mosse. Trovo geniale un tipo di preghiera così schietta e diretta, come ci rivolgesse ad un amico e, in fondo, Dio è nostro amico e nostra madre che ascolta i nostri sfoghi e sopporta anche se lo trattiamo male; ma è sempre disposto poi ad incontrarci sulla strada del perdono. Sono certo che ora Dio fa periodiche tappe nella stazione di Zimà.
Buona lettura e buon ascolto!
Cordialmente
maestrocastello.



lunedì 19 ottobre 2009

Chi ha paura dei sentimenti?


Chi ha paura delle emozioni vive veramente? O piuttosto, chi ha una visione ragionieristica della vita, chi si fa troppi calcoli, si pone dei limiti che già sono insiti nella vita stessa e pensa solo realisticamente; non manca forse d’ambizioni e di fantasia? Una volta le nonne dicevano ai nipoti: prima o poi dovrai mettere la testa a posto!”, ma qual è il posto giusto dove la testa deve stare? Sarebbe come educare i figli all’idea che chi ama deve porre dei limiti al proprio affetto. In amore non si calcola il desiderio, non si contano i baci, non si misurano gli abbracci; perché si cerca l’altro e non se stessi nell’altro: amare non è ricerca di uguaglianze, ma bisogno di diversità. Qualcuno di voi si ricorda di quando si è lasciato soggiogare dai suoi ragionamenti e stava quasi rimanendo imprigionato nei calcoli che si era fatto…vittima delle proprie paure….; ma quando poi ha deciso di ascoltare l’amore che aveva dentro… ha mandato tutto all’aria e non gli è fregato niente di tutte le paure del mondo, di ciò che non comprendeva e gli sembrava assurdo.. Anzi, proprio allora, proprio nell’istante in cui si è arreso, ha capito che aveva vinto.
Chi ama, ama! scrive Erich Fried, grande poeta austriaco, nella mirabile poesia “Quel che è”, proprio a proposito del sentimento dell’amore.

E' assurdo
dice la ragione
E’ quel che è
dice l'amore
E' infelicità
dice il calcolo
Non è altro che dolore
dice la paura
E' vano
dice il giudizio
E' quel che è
dice l'amore
E' ridicolo
dice l'orgoglio
E' avventato
dice la prudenza
E' impossibile
dice l'esperienza
E' quel che è
dice l'amore
(Erich Fried)

E nel passo di un’altra poesia, sempre Fried aggiunge:
" Oh l'amore è cosa tortuosa,
nessuno è sufficientemente saggio
da scoprire tutto ciò che racchiude,
altrimenti penserebbe all'amore
fino a quando le stelle non siano fuggite
e le ombre non abbiano divorato la luna" (Erich Fried).

Buona vita!
maestrocastello

giovedì 15 ottobre 2009

C'era una volta......un amico.


C’era una volta un orso che non voleva amici perché si sentiva più libero. Egli amava passare le giornate in solitudine. L’orso, si sa, adora il miele e un giorno di primavera vide un alveare e decise di avvicinarsi per fare provviste. L’orso era sicuro che non ci fossero api; ma quando aveva assaggiato appena un po’ di miele un esercito di api iniziò a rincorrerlo. Chi lo poteva aiutare se non aveva amici? Eppure in suo aiuto venne uno scoiattolo che dal suo albero aveva visto la scena. Questo gentile animaletto colse una margherita che velocemente posò vicino all’alveare. Le api attirate dal polline corsero tutte verso quel fiore e l’orso fu salvo. I due animali corsero nel bosco e si divertirono come matti. Da quel giorno l’orso comprese che non si sarebbe più annoiato, perché aveva trovato un amico sincero. Già, l’amicizia! Da più parti si lamenta che tanti valori siano ormai scomparsi; ma credo che il valore dell’amicizia, vecchio come il mondo, sia destinato a non raggiungere mai il pensionamento. Ma quale significato diamo alla parola “amico”? Seneca, filosofo e drammaturgo latino, in una lettera che scrive a Lucilio tratta dell’amicizia in modo circostanziato. L’amico, a mio avviso, deve possedere delle peculiarità assolute, il rapporto che si instaura con lui deve essere esclusivo e non è possibile instaurare con tutti quelli che si conoscono, altrimenti la parola “amico” perderebbe il suo significato più profondo. Le parole di Seneca sono inequivocabili: avere tanti amici può valere a non averne nessuno. Di amico vero, si intende. Proprio l’esiguità del numero li rende più preziosi ed unici, il resto sono solo conoscenze. Si dice che “l’amico si vede nel momento del bisogno”, ma attenti a non intessere un’amicizia solo perché potremmo poi trovare una eventuale spalla su cui andare a piangere o, peggio ancora, per scambiarci favori personali. Seneca dice che le amicizie nate solo per interesse sono destinate a perire prima o poi! La complicità deve caratterizzare una coppia di veri amici, così come caratterizza una coppia di innamorati; non per niente l’amore fu definito una folle amicizia, bella e assoluta. Non è retorico dire che l’amico è qualcuno che ti aiuta senza chiedere nulla in cambio e il suo sorriso è capace di illuminarti la giornata. Per un amico faresti anche a botte, come dice Morandi e solo a lui sei capace di dire quello che diresti solo a te stesso; perché sai che lui è pronto a consigliarti per il meglio, rispettando le tue scelte che magari non condivide. “Chi trova un amico trova un tesoro. Ma state molto attenti ai detti popolari....! Infatti state a sentire quanto dice Rex Akragas : “Chi trova un amico trova un tesoro. Chi trova un tesoro trova tanti amici. E fin qui niente da dire. Ma se tanti amici trovano un tesoro... beh il continuo leggetelo sulla cronaca di domani.”
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 8 ottobre 2009

Crescere… crescere…. Crescere….




Mi è capitato ultimamente di ritornare nel luogo che mi ha visto, per oltre un trentennio, educare diverse generazioni di fanciulli e rivedere quelle classi gremite di uomini e donne in erba mi ha scatenato mille riflessioni che quando ero in piena attività non avevo proprio tempo di considerare. Guardo quei fanciulli di prima elementare e ripenso a quante classi di prima mi sono state affidate in tutti questi anni e a quante energie ho profuso per favorire, nel migliore dei modi, la loro crescita fisica, affettiva ed intellettuale. Quelle classi le ripenso come tanti vagoni di un treno che, magari faticosamente, sono poi tutte giunte, in successione, alla stazione centrale. Oggi mi capita di incontrare, di persona o magari sul web, quei fanciulli di una volta che sono divenuti padri e madri di famiglia, affermati professionisti o semplici operai ed il pensiero di aver contribuito a gettare le basi alle loro giovani vite, mentre mi riempie di orgoglio; mi fa sorgere il desiderio di porre loro certe domande come: cosa significa diventare grandi? Cosa li ha aiutati a crescere? Se pensano di essere arrivati, oppure manca ancora qualcosa alla loro crescita completa.
Certamente mi risponderebbero che diventare grandi significa affrontare la realtà in modo consapevole, responsabile ed autonomo. Significa anche perdere le illusioni nelle quali si erano cullati da piccoli… che il mondo non è tutto e sempre bello e roseo; ci sono le difficoltà e i momenti duri da affrontare e superare e sono proprio quelli che poi ti aiutano a “crescere”, a conoscere sempre meglio te stesso e la realtà che ti circonda. Che diventare grandi significa anche molte altre cose:
come mettere insieme un bagaglio di esperienze e conoscenze, attraverso l’impegno e la volontà, le gioie e i dolori, le soddisfazioni e le delusioni, le vittorie e le sconfitte. Significa acquisire quella capacità di essere indipendenti, di essere autonomi, di farsi delle opinioni, di operare delle scelte, di assumersi delle responsabilità; ma anche di porsi degli obiettivi che giustifichino le nostre azioni, stabilire dei valori sui quali fondare la nostra esistenza Mi direbbero anche che non esiste una singola esperienza che ci fa crescere, ci sono tante cose, tanti avvenimenti esteriori e non che hanno contribuito alla loro crescita: la famiglia, qualche amico giusto, un amore, dei dispiaceri, la nascita di un figlio che non ti fa dormire di notte, ma ti dà tanta felicità durante il giorno. Non nascondo che sarei lusingato se qualcuno menzionasse anche il maestro delle elementari come artefice della propria crescita, Sicuramente sarebbero tutti concordi che non si smette mai di crescere, con le sollecitazioni che danno le moderne tecnologie e con la vita media che si va allungando sempre più siamo tutti in fase di crescita permanente.
Cordialmente maestrocastello!